Cosenza deviata, il farmacista Santoro socio in affari con la spia del maresciallo per il Porto di Diamante

La storia degli “spioni” entra nel vivo. Avevano creato un archivio riservato utilizzando un server di Amazon in Oregon e lì hanno scaricato migliaia di foto, video, conversazioni private via WhatsApp e altre applicazioni di messaggi, registrazioni di colloqui. Dati segreti ottenuti effettuando le intercettazioni ambientali e telefoniche per conto dei magistrati, ma anche spiando illegalmente migliaia di computer e telefonini. Sono imbarazzanti i risultati dell’inchiesta dei magistrati di Napoli sulle due società informatiche eSurv e Stm, titolari dell’appalto con le Procure di mezza Italia ma partendo da Cosenza e Castrovillari. E non è finita perché adesso si indaga per scoprire l’identità di chi ha utilizzato quelle informazioni, ma soprattutto come le ha utilizzate. Perché il sospetto evidente è che siano servite anche a svolgere attività di dossieraggio e di ricatto. Senza escludere il coinvolgimento di appartenenti ai servizi segreti italiani o stranieri. Per questo sono stati indagati i quattro titolari delle aziende — Marisa Aquino e Vito Tignanelli, moglie e marito, cosentini, quest’ultimo in forza alla Polstrada di Cosenza per Stm e Giuseppe Fasano e Salvatore Ansani di eSurv, questi ultimi due da ieri agli arresti domiciliari — con l’accusa di violazione delle norme sul trattamento dei dati personali e la frode in pubblica attività.

Chi effettuava l’accesso ai fascicoli giudiziari poteva acquisire «il numero del procedimento penale e la Procura competente, il numero di Rit (registro delle intercettazioni telefoniche), il grado e nominativo degli operatori di polizia giudiziaria», dunque conoscere lo stato delle inchieste in corso. Ma non è tutto. Perché le verifiche effettuate dagli specialisti del Ros hanno accertato che «le Imei utilizzate per gli accessi ai dati riguardano altri procedimenti penali, sono in uso ad altri organi di polizia giudiziaria» e soprattutto «sono in uso a persone da identificare».

Fin qui le informazioni “ufficiali”, veicolate anche dai grandi media. Scendendo nel dettaglio, si è scoperto che Vito Tignanelli si è accompagnato per molto tempo al procuratore capo di Castrovillari Eugenio Facciolla, per il quale ha svolto molti “servizi” conoscendo anche l’ormai famigerato maresciallo Carmine Greco, alias Carminuzzu, arrestato a luglio 2018 dalla Dda di Catanzaro, detenuto a Rebibbia, che è il grande “pentito” di questa storia. Nella quale sono coinvolti a pieno titolo anche diversi magistrati della procura di Cosenza, alias porto delle nebbie, che si sono “serviti” a loro volta per molto tempo delle “spiate” di questo poliziotto infedele e senza vergogna.

Ma non è finita qui. Perché giusto un mese fa attraverso Il Fatto Quotidiano abbiamo scoperto un’altra  vicenda più che imbarazzante. Tignanelli non è soltanto la spia del maresciallo Caminuzzu Greco, non è socio soltanto della Stm srl, ma ha pure il 10% della Sakata Sro, finanziaria slovacca il cui amministratore è un farmacista cosentino, Graziano Santoro. “Attraverso una ricerca di fonti aperte – scrivono gli investigatori – si è appurato che Santoro aveva preso in appalto i lavori del porto di Diamante” e che il fratello Giorgio sarebbe “inserito in una loggia massonica” (vicenda della quale ci siamo già occupati e tratteremo a parte). Nei brogliacci la cerchia è sempre la stessa e vede Graziano Santoro e Tignanelli in contatto con magistrati calabresi nei confronti dei quali c’è un fascicolo aperto a Salerno.

La vicinanza tra Tignanelli e Santoro può avere un solo significato, dunque: la spia e forse anche tutti i suoi “superiori” sono impelagati fino al collo anche in un’altra faccenda che Iacchte’ racconta ormai da anni ai suoi lettori.

Da tempo stiamo raccontando ai lettori di Iacchte’ una favola dei nostri tempi. Ovvero quella del paese di nome “Gioiello” (Diamante) e del suo sindaco, tale signor Disadorno (Magorno), tornato in sella nel suo paese dopo averlo lasciato a qualche malaccorto prestanome “ribelle”. Una favola, per modo di dire, che non riguarda solo la sanità e gli intrecci con la clinica Tricarico di Belvedere e il clan Muto ma anche (e forse soprattutto) il porto di “Gioiello”.

Forse non tutti sanno che, in questa favola dei nostri tempi, ci sono tanti cosentini protagonisti e non certo di secondo piano. Confessiamo, per esempio, che solo con grave ritardo ci siamo resi conto che il proprietario dell’immenso appalto-casino del porto di “Gioiello”, fermo ormai da anni e sempre sotto gli occhi di tutti nel suo infinito squallore, è un cosentino doc.

Si chiama Graziano Santoro ed è il fratello di Giorgio, avvocato massone beccato dalla Finanza l’anno scorso come evasore totale dal 2010 al 2016 ma proprietario di 17 immobili e di 60 conti corrente. Ed è anche il titolare di un’avviata farmacia a Cosenza, a due passi da piazza Fera. Come? Vi state chiedendo come mai un farmacista è proprietario di una scogliera di un paese come Diamante, e come mai non ha terminato i lavori pur avendo avuto ben 4 milioni di euro dalla Regione Calabria?

Beh, avete ragione, non si tratta di una domanda stupida ma logica. I protagonisti di questa storia sono tanti: all’inizio fu Nicola Adamo, poi compa’ Pinuzzu Gentile, poi Ernesto Magorno. E poi, ma tanto dopo, Graziano Santoro, che altri non è che il “finanziatore-pollo” di quest’opera destinata a fare la fine di “incompiuta”. Santoro è prima alleato con Nicola Adamo, quando questi era vicepresidente della Regione e assessore ai Lavori pubblici con Loiero presidente. Diciamo pure che è una sua “creatura”. E che i porti “turistici” sono tra gli espedienti più sicuri per rastrellare soldi e mangiare allegramente tutti insieme.

Poi si allea con compa’ Pinuzzu appena cambia il governo regionale, che tanto è la stessa, identica cosa, sistema un po’ di faccende con le più importanti famiglie di “Gioiello” e parte con una serie di dichiarazioni d’amore verso la costa, dicendo di voler donare alla città una avveniristica struttura che avrebbe reso “Gioiello” un polo d’attrazione irresistibile per i turisti. Il risultato fu spargere cemento sulla scogliera più suggestiva della Calabria. Ad oggi, senza risultati. Anzi, col risultato di aver distrutto una scogliera bellissima, che ora sta lì a testimoniare il degrado della nostra politica.

Foto GURU

Eppure, compa’ Pinuzzu Gentile, a Catanzaro, quasi saltellava sulla sua scrivania piena di carte e decreti, qualche anno fa, e addirittura ne sventolava uno nella sala consiliare di “Gioiello”, affermando solennemente che c’erano 1 milione e mezzo di euro a disposizione per rifacimenti strutturali legati al porto, quali due ascensori, un ponte sul fiume Corvino, un restyling dei magazzini sotto il lungomare, ed altre grandezze simili.

Ovviamente, solo chiacchiere.

Francesco Cirillo, “gioiellese”, ha raccontato più volte questa storia e si è convinto che in molti credono ai “ciucci che volano”.

“…. Hanno creduto al Porto canale che sarebbe diventato un’enorme palude al centro del paese, per fortuna bocciato dalla Soprintendenza ai beni ambientali di Cosenza; hanno creduto al porto del francese Martinez ed al suo director fuggito con i soldi della cassa; hanno creduto nell’arrivo di un cinese miliardario che avrebbe risolto tutti i problemi del paese, e poi hanno creduto ad un porto ed a un “santo” che porterà “oro” per tutti.
Ma intanto il porto, questo porto non si fa.

Eppure i soldi c’erano (che c’erano è sicuro, che ci siano ora non si sa), le autorizzazioni ci sono, i consensi, a parte le uniche opposizioni degli ambientalisti, c’erano ( almeno vedendo le processioni che si facevano all’arrivo del “santo” portatore d’oro da Cosenza), i sindaci c’erano pure (gli ultimi due, Caselli e Magorno sono stati sempre favorevoli alla sua costruzione), c’era pure l’onnipresente assessore ai lavori pubblici della Regione Calabria, Pino Gentile che sventolava un decreto di 1 milione e mezzo di euro per opere collaterali al porto in aggiunta ai miliardi precedenti.
E c’era anche un progetto rivisitato, con una variante che si è dovuta di nuovo far approvare, pur sapendo che questo tipo di progetto e di appalto non poteva essere modificato.
Cosa è mancato quindi per poter terminare un’opera che doveva essere finita entro il 2010? Le ipotesi possono essere tante e tutte meritevoli di attenzione.
La prima, più lampante, è che i lavori siano stati sbagliati sin dall’inizio per colpa dei progettisti. Il pietrame scelto era troppo fino ed il mare alla prima mareggiata ha portato via tutto.
Sotto gli occhi di tutti i “gioiellesi” si sono visti camion scaricare pietruzze per realizzare il braccio a mare.
Quale scienziato ha potuto mai mettere in atto un’azione simile ? Chi ha sbagliato quindi ? I tecnici della ditta ? La Regione, ente appaltatrice che non ha controllato ? E con quali soldi si sono fatti i primi lavori ? Con quelli del privato (circa due milioni di euro) o con quelli della Regione (due milioni di euro di soldi pubblici)? Non c’è nessun magistrato, che non sia massone, che può mettere il naso in questo spreco di danaro pubblico ?

Seconda ipotesi. E’ stato tutto un trucco sin dall’inizio, per prendersi intanto, un pezzo di territorio conteso da tanti speculatori ed aspettare che arrivino soldi pubblici in abbondanza per fare il porto, ma con l’obbiettivo di creare ristoranti ed esercizi commerciali nella parte sottostante il lungomare. Questo lo prevede il contratto firmato fra Regione e privato e chi crede che non si voglia fare questo è meglio che guardi in cielo e veda i ciucci che volano sul porto.

Terza ipotesi. Il proprietario dell’appalto ha davvero sbagliato tutto. E’ una persona onesta ed è stato preso in giro da malfattori. In questo caso allora lasci tutto e dica le cose come stanno, denunciando il tutto a qualche magistrato, liberando questo paese dal peso di questo inutile e fantomatico porto.
Ad oggi, allo stato attuale delle cose, se si vuole davvero bene a questo paese, si può fare solo una cosa, lo tengano bene in mente sia il PD, che tutti i partiti e movimenti che credono in questa inutile opera, così come l’intera amministrazione. Revocare la concessione della Regione e riconvertire l’area…”. 

Ma ovviamente non è finita qui.In principio c’era un porticciolo naturale, bastavano piccoli accorgimenti ed il gioco sarebbe stato fatto. E invece no: quando ci si è azzardati a fare il passo più lungo della gamba, ecco il patatrac. Brutture su brutture e prese per i fondelli ai cittadini.

Era il 2000 e partiva il bando per i “Lavori di ristrutturazione e completamento del molo ricovero natanti da diporto del Comune di “Gioiello” e della sua successiva gestione”. Apriti cielo: pareri su pareri ne rallentano l’avvio. Si decide di affidare i lavori alla Ati (associazione temporanea di impresa) Icad s.r.l – Gioiello Blu s.r.l. guidata appunto da Graziano Santoro. Nasce anche un sito “Marina di Gioiello” con tanto di sede e ufficio stampa, e si cominciano a vendere i posti barca…

Dopo tutti i pareri favorevoli della Conferenza dei servizi e altre riunioni che non servono a nulla, l’ennesimo fermo arriva dal Via, Valutazione di impatto ambientale. Mica pizze e fichi.

Insomma, la struttura non conciliava le esigenze funzionali con quelle paesaggistiche e ambientali. Un parere che non può mancare mai in questo tipo di opere e arriva nel 2004.

Nel 2009, quando ancora Nicola Adamo era vicepresidente alla Regione e assessore ai Lavori pubblici, si procede all’approvazione del progetto esecutivo e all’aggiudicazione definitiva dei lavori e della successiva gestione dell’opera, sempre alla Ati guidata da Graziano Santoro.

Iniziano i lavori: il sindaco Ernesto Magorno non vede l’ora (lo avrebbe più volte affermato) di tagliare il nastro. Lo dice anche alle telecamere di Striscia la Notizia.

Il 14 ottobre 2011, quando alla Regione è già salito Scopelliti al posto di Loiero e Pinuzzu Gentile ha preso quello di Adamo (ma nella sostanza le cose sono rimaste perfettamente uguali) viene convocata una conferenza stampa dal sindaco Magorno, alla presenza del procuratore della Gioiello Blu, Santoro, e di tutta la giunta. Presente naturalmente anche Pino Gentile, il quale conferma l’impegno della Regione Calabria per il completamento del porto e dei relativi indotti, quali strutture e altro.

Ma anche stavolta il diavolo ci mette lo zampino: su due “scogli” (così vennero definiti) vengono trovati reperti archeologici. Di nuovo lavori fermi. Altro stop, altra rabbia per i cittadini di Gioiello che cominciano a capire che qualcosa non quadra.

Cosa? Presto detto. Il famoso parere ambientale: integrazioni e variazioni di certo mettono in discussione la Valutazione di impatto ambientale. E Pinuzzu Gentile va su tutte le furie, dice alla stampa “di essere stato ingannato”. Beh, certo, per ingannare un assessore regionale ai lavori pubblici ce ne vuole. Qualcuno avrà mentito sul Via. Ma sì… una cosa all’ italiana, una bugia piccola piccola… E da allora tutto tace.

Tace anche il “benefattore”, il cosentino Graziano Santoro, che pure viene definito da tutti una bravissima persona. Il farmacista di sani principi di certo non immaginava di finire in questo vortice “politico” ma deve essersene fatto una ragione anche lui. Se è vero, com’è vero, che mentre la Regione Calabria (ed è quanto dire!) pagava regolarmente la sua parte dei S.A.L (Stati di avanzamento lavori) l’imprenditore-farmacista, intuito il disastro dietro la porta, cominciava a tergiversare. Sì, insomma, non pagava più. E così, dopo avere accumulato qualche milione di euro di arretrati, la ditta ferma i lavori… Che sono fermi da anni! Come tutti possiamo vedere.Magorno su questo tace da anni. La verità è che la Regione Calabria avrebbe dovuto rescindere il contratto in danno con il farmacista, che però qualche soldino lo ha scucito, e allora ha dovuto fare buon viso a cattivo gioco. Tanto, chi si accorgerà in Calabria se c’è una incompiuta in più?

E poi, questo Graziano Santoro sa un sacco di cose, che tra l’altro gli sono state presentate su un piatto d’argento: i soliti accordi.

La politica gli aveva “consigliato” caldamente di prendere come direttore dei lavori il famoso gatto de “Il gatto e la volpe”. In realtà fa l’ingegnere e si chiama Raffaele Salatino e deve il suo nomignolo di “gatto” al fatto che si accompagna con un altro ingegnere, nello studio tecnico di via Roma 57, che si chiama appunto Volpe. Due “ragazzi” svegli, non c’è che dire. E sui quali il dottore Santoro potrebbe scrivere un trattato.

Luigi Zinno

Cosentini, sempre cosentini. E negli uffici principali chi gestiva tutto era il superlativo ingegnere Porcilaia. Ci riferiamo al Responsabile unico del procedimento scelto dalla Regione, che al secolo è stato battezzato come Luigi Zinno ma che un po’ tutti hanno rinominato “Zimma”, da cui poi nasce il nomignolo di “ingegnere porcilaia”.

Zinno non ha bisogno di presentazioni. Lanciato dal vecchio Mancini, si è infilato benissimo alla Regione e si inserisce sempre negli affari importanti. Ma qui, a Gioiello, Zinno-Zimma non è solo. A condire tutto, come scrivevamo qualche giorno fa, c’è un giovane ingegnere ben inserito che lavorava in questo ufficio e collaborava alla direzione dei lavori… Come dire: il controllato si controllava da solo. Che è sempre meglio di farsi controllare da un altro.

Arturino Veltri bell’i papà

Questo giovane ingegnere fa parte di un’altra bella famiglia cosentina e si chiama Arturo Veltri. Ebbene, Arturino bell’i papà è figlio di Paolo, attuale Direttore del Dipartimento di Ingegneria Civile dell’Unical, già Preside della Facoltà di Ingegneria, nonché fratello dell’ex senatore dei DS Massimo, il quale si è sempre vantato di “non aver mai fatto mettere piede in università” al figlio, per evitare accuse di nepotismo…
Casualmente, Arturino è il genero del famoso (o famigerato?) ingegnere Francesco Tucci, nipote di Mario Occhiuto alias il cazzaro, onnipresente nei lavori del comune di Cosenza…

Insomma, il solito “reticolo” di parentele ed intrecci alla cosentina. Che ci permette di capire meglio perché la politica ha paura che Graziano Santoro, il farmacista-imprenditore, vuoti il sacco.

Siamo arrivati quasi alla conclusione di questo “tormentone” e ridiamo la parola a Francesco Cirillo, “gioiellese” doc, che non sa giustamente darsi pace per tutto quello che abbiamo raccontato.

Bisogna avviare, subito, una richiesta di risarcimento contro la Regione, la ditta appaltatrice ed il proprietario dell’area, per i danni che questo paese ha subito nella mancata realizzazione dell’opera.
E’ stata devastata un’ area bellissima peraltro protetta da un decreto ministeriale fin dal 1968 (DM del 16.11.1968 pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n.41 del 15.2.1969), sono stati divelti scogli secolari, è stato deturpato un ambiente marino in area Sic e vicino al parco marino della Rivera dei cedri: e vi sembra poco tutto questo ?

Ora si scopre che in tutta questa matassa del porto di Diamante c’è anche la spia dei magistrati cosentini e del maresciallo Greco… Un po’ troppo per continuare a stare zitti, non vi pare? Al netto delle chiacchiere di quel furbacchione di don Magorno che solo adesso scarica Santoro: troppo facile “mollare” la zavorra quando la nave sta affondando e anche se c’è qualcuno che sa nuotare non è detto che riesca a salvarsi perché il mare sa chi deve salvare e chi no…