Cosenza, per gli antagonisti (di sinistra) ci sono Gabriele e… Gabriele

Uno strano mondo quello della sinistra antagonista cosentina. E non lo dico per marcare distanze da questo universo che più di ogni altro mi appartiene: politicamente, culturalmente, filosoficamente.

Ma una riflessione voglio farla: dopo l’editoriale del direttore Gabriele Carchidi in cui “annuncia” al procuratore Spagnuolo la sua/nostra indisponibilità a ricevere altre notifiche, vista l’evidente persecuzione da parte dei soliti noti di chi non si adegua, abbiamo ricevuto centinaia di messaggi di solidarietà e di “incoraggiamento” ad andare avanti. Semplici cittadini, liberi professionisti, delusi dalla politica, chi non arriva a fine mese, disoccupati, cassintegrati, migranti, ex detenuti, pensionati, onesti lavoratori, e gente che si suda la giornata. Siamo stati persino contattati da alcune testate nazionali interessate al caso “Iacchite’”. Sono solo due le categorie che non ci hanno contattato: i compagni (esclusi due) e i corrotti.

Non scrivo perché non abbiamo ricevuto la loro solidarietà, di cui non abbiamo bisogno, ma perché prima o poi questo atteggiamento schizofrenico dei compagni qualcuno dovrà farglielo notare. Pare che le “cause” politiche da sposare debbano essere solo quelle provenienti da fuori Cosenza. Una “esterofilia politica” che mi lascia perplesso ogni qualvolta si mette in atto. Come se di “esempi” di repressione non ne avessimo anche nella nostra città. E non c’entra niente la necessità politica, che comprendo, di istituire una nuova “Internazionale”, di allargare gli orizzonti, e vedere al di là del proprio naso, o di fare di tutto il mondo un unico paese, detto in uno slogan: proletari di tutto il mondo unitevi!

Questa esterofilia, secondo me, è un modo per tenersi lontano dai guai cittadini: meglio parlare dei cazzi degli altri che di quelli nostri. Perché a raccontare i cazzi di quelli che vivono a migliaia di chilometri da Cosenza non si corrono rischi, a raccontare quelli di casa nostra sì. Nel senso che: se dò del fascista ad Erdogan perché imprigiona giornalisti, tutto sommato che mi può succedere? Niente. Ma se dò del fascista al procuratore capo Spagnuolo che si comporta allo stesso modo di Erdogan, i rischi ci sono eccome. Quindi è meglio convocare un sit-in per chiedere la liberazione di Gabriele Del Grande, a cui va la nostra piena solidarietà e l’augurio di una pronta libertà, piuttosto che a favore di Gabriele Carchidi. Così i rischi sono azzerati e l’immagine di compagno militante salvata.

Eppure Carchidi scrive e dice le stesse cose dei compagni, parla dei poteri forti, della corruzione, della ‘ndrangheta, dell’inutilità dei partiti, dei diritti calpestati, delle libertà negate. Argomenti che sono il pane quotidiano per chi si schiera come antagonista allo stato di cose. Ma nonostante ciò, nessuno ha sentito l’esigenza di accostare al nome di Del Grande, anche quello di Carchidi. Come se a Cosenza, che i compagni vivono quotidianamente, non ci fossero questi problemi. Come se non sapessero quello che sta succedendo ad una delle poche voci libere di questa regione.

Una differenza, però, tra quello che scriviamo noi e quello che scrivono i compagni c’è, ed è forse la causa del loro non schierarsi “localmente”: noi facciamo nomi e cognomi di chi affama il popolo, e non ci limitiamo alle sole “didascalie”, mentre nei documenti da loro prodotti non ho mai letto un nome e un cognome di un mafioso, di un politico corrotto, di un giudice colluso, di un imprenditore boss. Tutto rientra sotto l’ombrello dei “poteri forti”. Ma chi sono questi poteri forti, da loro non lo saprete mai. Tranne se sono di fuori Cosenza. Fare nomi a Cosenza non è cosa buona, come non è cosa buona mettersi contro la procura corrotta.

Non dico che non si doveva manifestare per la liberazione di Gabriele Del Grande, non mi permetterei mai, ma un minimo, magari senza esporsi più di tanto, di accostamento tra il “caso turco” e quello cosentino me l’aspettavo. Ma evidentemente la paura è tanta, e questo accostamento non conviene. Non conviene che la Digos scriva che tizio, caio e sempronio manifestavano a favore di Carchidi. Meglio stare lontano da Iacchite’, magari con la scusa di non condividere la cifra stilistica. La scusa dei pavidi. Di quelli che predicano “scontri” e poi si scandalizzano per due maliparole, dette a mafiosi e corrotti. E’ chiaro che è tutta apparenza, di sostanza politica e di lotta neanche l’ombra. Un modo per sopravvivere “culturalmente”. Giusto per darsi un tono da rivoluzionari e da emancipati. Tradendo uno dei principi fondanti della lotta al nuovo capitale: la globalizzazione (dei mercati, della corruzione, del malaffare) è sotto casa tua. Tranne che per gli antagonisti cosentini.

GdD