Cosenza, Gratteri e Franchino ‘i Mafalda: dalla Sacra Corona Unita alla guerra di mafia

Cosenza ‘Ndrine Sangue e Coltelli –

La criminalità organizzata in Calabria – di Antonio Nicaso e Nicola Gratteri 

Perché il Cosentino faceva gola a reggini e campani?

La mancanza sul territorio di organizzazioni tipicamente mafiose lasciava vuoti di potere su molti territori che si presentavano particolarmente appetibili. Era il periodo dei massicci investimenti dello Stato in lavori pubblici di grande portata: il completamento dell’A3 Salerno-Reggio, le dighe sul fiume Esaro, gli incentivi economici per la valorizzazione della Sibaritide eccetera. Inoltre, i rapporti di amicizia e di alleanze che via via si sono andati a stringere da parte dei cosentini con reggini e campani durante la guerra di mafia, hanno determinato la progressiva intensificazione della loro presenza fisica sul territorio, con quel che ne consegue…

Nel circondario di Cosenza alla fine degli anni Novanta si è registrata l’ascesa del clan degli zingari (Cassano e zone limitrofe) con a capo il pericoloso Franco Abbruzzese alias Cicciu u zingaru, interrompendo il divieto di fedelizzazione per gli zingari. E’ il clan numericamente più forte ed attrezzato con potenti armi delle quali si riforniscono direttamente da canali pugliesi e albanesi. Il clan operava in stretta sinergia con gli zingari di Cosenza, con azioni delittuose che vedono attivi gli uni e gli altri aderenti.

L’avvento mafioso della comunità nomade di Cosenza per mano e volere di Francesco Bevilacqua (alias Franchino ‘i Mafalda), fidelizzato e partecipe del clan Pino-Sena sin dal 1980, che dopo una lunga carcerazione per fatti-reato consumati con esponenti di spicco della Sacra Corona Unita in cui era inserito autorevolmente, rientrato a Cosenza alla fine del 1998 per decorrenza termini custodia di fase, ha subito assunto un ruolo di primo piano nella riorganizzazione criminale delle cosche, legandosi con i maggiorenti del clan di Cosenza in cambio del riconoscimento mafioso della comunità degli zingari di cui era a capo“.

Fin qui Gratteri. 

Il rapporto “collaborativo” instaurato dalla “confederazione” con la criminalità nomade dopo l’estate del 2000 si incrina. Rapporto che prevedeva una precisa divisione del mercato della droga: gli “italiani” trattavano la cocaina, gli zingari l’eroina.

La rottura dell’alleanza viene sancita dalla strage di via Popilia. Nel novembre del 2000 vengono infatti massacrati a colpi di kalashnikov, Benito Aldo Chiodo e Francesco Tucci. La strage viene concepita da Franco Bevilacqua con una crudeltà incredibile.

La “carriera” di Bevilacqua si concluderà appena un anno dopo, nel 2001 con il suo arresto a Gioiosa Jonica. In seguito a quell’arresto, Franchino passa dall’altra parte e si pente. 

L’ex boss dei rom è stato catturato in una villetta di Gioiosa Jonica, lo stesso anno in cui Gianfranco Iannuzzi, il ‘collega’ che sparò insieme a lui in quella che fu definita la strage di via Popilia (gli omicidi di Aldo Chiodo e Franco Tucci e il ferimento di Mario Trinni), scomparse vittima di lupara bianca. Bevilacqua decise di ‘pentirsi’, rivelò diversi particolari sugli assalti ai furgoni portavalori, affiliazioni, dinamiche tra clan, estorsioni e fece ritrovare la Lancia Thema sulla quale viaggiavano prima di aprire il fuoco. Era stata nascosta nella zona industriale di Rende nel cantiere di proprietà di Sergio Perri, l’imprenditore edile che a soli sette giorni di distanza fu trucidato insieme alla moglie Silvana De Marco.

LA RICOSTRUZIONE DEL FATTO DI SANGUE A VIA POPILIA

Il commando di sicari giunse sul posto dopo le 18 a bordo della Lancia Thema preceduto da una moto che faceva da staffetta. “Siamo partiti per compiere l’omicidio – disse Bevilacqua dopo il pentimento – da dietro i campetti di calcio e con me c’era ‘Ntacca (Gianfranco Iannuzzi, poi scomparso per lupara bianca). Abbiamo usato una macchina rubata ma quelli che erano andati a prenderla hanno trovato un posto di blocco prima del Parco Robinson e perciò hanno ritardato di una ventina di minuti… Noi eravamo preoccupati perché non arrivavano… Così, quando sono arrivati, abbiamo fatto tutto in fretta sbagliando a inserire dei caricatori e si sono inceppate due armi… In questo fatto di sangue siamo coinvolti in parecchi dagli specchietti agli esecutori…”.

Il 19 gennaio 2016 la Corte d’Appello di Catanzaro ha confermato la condanna di primo grado a nove anni per Franco Bevilacqua, detto appunto “Franchino ‘i Mafalda o Francu i Mafarda”, trafficante di droga, rapinatore di furgoni blindati con la Sacra Corona Unita e feroce assassino. Bevilacqua, oggi collaboratore di giustizia, è accusato di aver guidato il commando della strage. Oggi sono stati arrestati anche coloro che facevano parte del commando.