Cosenza, il buco del “Marulla” è diventato una voragine

di Gianluca Tavellin

Fonte: L’Arena (Verona)

COSENZA Il calcio è morto, è morto un’altra volta a Cosenza. Un finale annunciato ma al quale nessuno voleva credere. Un po’ come nelle recenti catastrofi che hanno segnato l’Italia. In diecimila fuori dallo stadio, in ottantotto da Verona. Tutto inutile, non si gioca, perché era una partita che non si doveva giocare. Ma perché? Perché un agronomo, il signor Castelli, ha messo i panni dell’uomo del monte ed ha detto sì? O perché la politica voleva mettere il cappello ad un rifacimento a tempo di record? O perché ancora la già provata Lega di serie B, non voleva un altro problema? Adesso però il buco del manto del San Vito Marulla è diventato una voragine dove tutti gli ottimisti sono andati a fondo.

SETTI NERO. Da oltre dieci giorni il Verona aveva chiesto la possibilità di un rinvio o quella di giocare in campo neutro a Benevento. Martedì scorso l’erba a Cosenza doveva ancora arrivare. A Fiumicino Setti, in arrivo da altre destinazioni per lavoro, è nero in volto. Attaccato al telefono fino alle ultime operazioni di imbarco. Le hanno provate tutte per far giocare i gialloblù su un campo di patate, che se fosse stato tale almeno non ci sarebbero stati grossi rischi per la salute.

LO SPIFFERO. Il tassista di Rende che porta gli arbitri al campo, lo spiffero che esce dal pullman dell’Hellas e la notizia che viene battuta anche dalla pay tv più importante. A Cosenza si va verso il rinvio, che poi è un modo di dire errato. Alle 17 l’arbitro Piscopo in uno scenario lunare fa effettuare il riscaldamento alle squadre. In campo tra carabinieri, addetti al campo con tanto di macchinetta del gesso per segnare le righe, dirigenti e calciatori, ci siamo pure noi. L’erba è bruciata perché sotto le pezze il terreno in molti punti sembra addirittura marcio. La cosa è incredibile è quella che si alzano alcune zolle con le mani. Figurarsi dopo uno scatto, un contrasto oppure una scivolata di capitan Caracciolo. No, troppo pericoloso. Tutti sapevano ma qui tutti ignoravano. Dalla diretta di Dazn, con il cartello gara in ritardo causa maltempo, peccato che a Cosenza c’erano 31 gradi con un sole meraviglioso, all’assessore De Cicco che postava una notizia sui social secondo la quale si sarebbe giocato. ANCORA UN TEMPO. Intanto l’arbitro dopo il sopralluogo con i due capitani ed il riscaldamento concedeva altri quarantacinque minuti per decidere meglio. In questo lasso di tempo i dirigenti del Cosenza facevano la loro parte e quelli del Verona pure. Al Bentegodi si ha una certa esperienza di rizollatura, serpentine riscaldate, fari “caldi” e altro ancora. Stefano Cacciatori si è messo in tasca, con grande rispetto, il dottor Castelli, il perito della Lega di serie B. L’agronomo avrebbe giurato che l’altro ieri non era male ma nella notte il campo avrebbe “spurgato”. Ci sono cose alle quali però non ci si può sottrarre e sono il tempo e la natura. La speranza è che il terreno al massimo facesse quelle enormi zolle in stile Argentina ’78, quando Kempes o Causio giocavano a muretto con le zolle. No, qui a Cosenza giocatori e arbitri si sarebbero davvero fatti male.

UFFICIALITÀ. Arriva alle 18.30. «Non si gioca». Alberto Pecchio, ufficio stampa Hellas e il direttore operativo del Verona Francesco Barresi rendono ufficiale quanto aveva deciso Piscopo di Imperia. La gara non si disputa per terreno impraticabile e non per motivi meteo. Martedì il giudice sportivo darà i tre punti al Verona, forse un punto di penalità al Cosenza ed una multa. Poi ci sarà il tempo per il ricorso dei silani con poche possibilità di essere accolto.

FACCIA A FACCIA. A fine gara Setti sembra quasi voler rincuorare il suo collega Guarascio. Gli ispettori della Lega sorridono, tanto ci ha pensato l’arbitro mentre poco più in là in mezzo alla celere e alle macchine del seguito del Verona, un bambino sconsolato con la maglia del Cosenza chiede al papà: «Ma è vero che abbiamo pure perso?». Al San Vito hanno perso in molti. Perfino quelli del Verona, al quale va riconosciuto l’antipatico ruolo dei: «Noi ve l’avevamo detto».