Cosenza, il pasticciaccio di Viale Parco

Giacomo Mancini

La ripresa edilizia a Cosenza coincide con il ritorno di Giacomo Mancini. Che, nel 1993, dopo non essere stato rieletto deputato, si prende la guida della città andando oltre i partiti.

La Cosenza che si trova di fronte è cresciuta in maniera squilibrata, senza spazi e servizi pubblici, inserita in un’area urbana più vasta già in fermento. Rende era in rapida espansione e l’Università cresceva sempre di più con il conseguente aumento delle richieste di alloggi in affitto da parte degli studenti.

Nonostante questo, la città non riusciva ad affermare il proprio ruolo come nodo di un sistema urbano più vasto. La crescita lineare verso nord aveva emarginato due aree in particolare: quella del centro storico e quella di via Popilia.

Mancini disegna la nuova Cosenza. L’obiettivo è quello di riaffermare il ruolo centrale del capoluogo con la localizzazione di attività e servizi culturali e sociali di livello nazionale e capaci di fare la differenza.

Il concetto, purtroppo, è vecchio come il cucco: attraverso l’affannosa ricerca della vocazione del territorio si giustificano speculazioni edilizie più o meno consistenti.

Mancini approva la variante al piano regolatore Vittorini, entrato in vigore nel 1972, ventidue anni dopo, nel 1994. La variante era stata il pomo della discordia per intere generazioni di politici cosentini e aveva determinato la caduta di almeno quattro giunte negli anni Ottanta.

All’inizio, il sindaco si impegna ad abbattere le barriere che isolano il centro storico e via Popilia dal resto della città: il fiume Crati e il rilevato ferroviario. L’occasione giusta arriva con i fondi del Programma di iniziativa comunitaria Urban nel periodo 1994-1999. La programmazione dei fondi strutturali stava muovendo i suoi primi passi e Urban nasceva per riqualificare le aree urbane degradate ed eliminare l’emarginazione sociale attraverso la cooperazione tra pubblico e privato. Sembrava fatto apposta per Cosenza, che entra nel novero delle 16 città italiane e delle 118 europee che si divisero 900 milioni di euro.

Il centro storico doveva avere nuove attività economiche, sociali e culturali; via Popilia doveva essere riqualificata con il tanto auspicato abbattimento del rilevato ferroviario e la realizzazione di un nuovo asse viario, il viale Parco.

Corso Telesio e il centro storico rinascono a nuovo splendore. Più di cento nuove attività e la Casa delle Culture, gestita direttamente dal Comune, sede privilegiata per ogni tipo di attività culturale. Cosenza vecchia diviene punto nevralgico della città: centro commerciale di giorno e punto d’incontro di sera per migliaia di persone, giovani e meno giovani.

Il nuovo viale Parco incappa in una serie quasi infinita di intoppi e problemi giudiziari. Costruito decisamente male, finisce in mezzo a una faida politica per il controllo della cabina di regia. Al posto dei binari, viene realizzato un grande asse viario pensato sia per le automobili che per i pedoni. Superati tutti i problemi, diventa subito evidente che sarà proprio quella la zona (ma anche quella complessiva di via Popilia) a diventare il teatro di una consistente speculazione edilizia tuttora in corso.

Gli obiettivi di Giacomo Mancini, alla fine, non sono stati raggiunti. Il giudizio finale è semplice quanto spietato: solo operazioni di facciata. Destinate al successo nella fase iniziale ma al fallimento nel lungo periodo. Dopo l’entusiasmo iniziale, il centro storico è piombato di nuovo nel degrado a causa della mancanza di adeguate politiche di gestione dell’ordinario, che sarebbero state necessarie per rendere strutturale il cambiamento. Le botteghe chiusero, i luoghi di ritrovo si spostarono altrove e quella politica di recupero dell’esistente si arenò.

Viale Parco ha aumentato la permeabilità del tessuto urbano ma è stato cementificato in maniera eccessiva e imbarazzante.

Oltre i palazzi, rimangono le condizioni di povertà e disagio sociale e l’auspicata normalizzazione non è avvenuta. La sensazione è che quel confine prima attestato lungo il rilevato ferroviario si sia spostato di qualche decina di metri, senza generare alcun sano effetto di rigenerazione urbana.

Non si può non sottolineare però come l’intera operazione fosse inficiata a monte dall’idea che gli spazi della residenza e quelli delle attività commerciali e produttive dovessero essere separati tra loro.

Da un lato viale Parco e la residenza, dall’altro il centro storico e le attività commerciali e produttive. Anche se forse non era nelle intenzioni iniziali, questo dualismo ha alterato l’equilibrio complessivo impedendo di fatto un ripopolamento strutturale del centro storico e una rivitalizzazione dell’area di via Popilia.

In aggiunta, sono state forse sottovalutate quelle dinamiche di progressiva dispersione della residenza e del commercio che caratterizzavano in quegli anni l’area urbana.

Il caso di viale Parco, in particolare, dimostra quanto sia labile il confine tra riqualificazione e valorizzazione immobiliare. Ma non solo, purtroppo.

L’INCHIESTA

L’inchiesta giudiziaria sul viale Parco ha smascherato ancora di più il grande bluff del modello di buongoverno tanto decantato, che si è dimostrato invece un esempio di involuzione sociale.

L’inchiesta della procura di Cosenza è stata aperta nell’aprile del 2006 in seguito all’improvvisa apertura di una voragine di oltre un metro di profondità in una delle carreggiate, sul terzo lotto del viale, che determinò la chiusura dell’arteria.

Era proprio evidente a tutti che, tra il 2000 e il 2002, c’era stata una cattiva esecuzione dei lavori con l’utilizzo di materiali non idonei per qualità e quantità.

In particolare, non era stato utilizzato il bynder ovvero il tappetino che si frappone tra il bitume e il massicciato della sede stradale (da qui il nome “Bynderopoli” dato all’operazione dal sostituto procuratore Antonio Bruno Tridico).

Inoltre era stato utilizzato calcestruzzo a dosaggio e non a resistenza. Il “rumore” che fece l’inchiesta, anche a carattere nazionale, fu eclatante. Anche Repubblica e Corsera scrissero che sotto il viale Parco si nascondevano rifiuti e addirittura carcasse d’auto utilizzati come riempimento al posto del troppo costoso bynder.

Gli investigatori contavano di smascherare anche il riciclaggio di ingenti flussi di denaro presumibilmente stornati dall’appalto. Il costo dei lavori era di 15 milioni di euro e fu aggiudicato con un ribasso del 36%, che, come sanno gli esperti, giustificava il “risparmio” sui materiali.

A pagare per tutti in un primo tempo erano stati un imprenditore e direttore di banca, cugini, arrestati dalla procura con l’accusa di falso ideologico e riciclaggio di denaro. L’imprenditore Mariano Vulnera, presidente dell’associazione temporanea di imprese Urban 2000, si era aggiudicato l’appalto per la costruzione dell’opera ed Enrico Chiappetta era il direttore di filiale della Bcc di Cosenza. Ma nell’inchiesta erano coinvolti anche funzionari del Comune, altri imprenditori e altri professionisti.

Tra questi il dirigente comunale Rino Bartucci, che ammise di aver firmato falsi collaudi.

I risultati dell’inchiesta, alla fine, sono stati nulli. Le responsabilità politiche sono certamente di Giacomo Mancini ma anche di quei politici che gli sono succeduti. Insomma, Mancini e i “soliti” Nicola Adamo e Franco Ambrogio, nessuno dei quali ha risposto del “sacco” delle casse comunali.

Proprio lo scorso anno la Cassazione ha definitivamente assolto Enrico Chiappetta e ha dichiarato prescritto il reato per Mariano Vulnera.

Rimangono però gli interrogativi politici di fondo: chi e perché non ha controllato la legittimità dei lavori? Chi non ha voluto che si insediasse una commissione d’inchiesta? Domande finite senza risposta che inchiodano quel centrosinistra, lungamente al governo della città, che ha praticamente prosciugato le casse comunali.