Cosenza, l’incendio è servito per impossessarsi di tutto lo stabile?

Tra le tante cose che non tornano nella tragedia del rogo di corso Telesio, c’è di sicuro la questione “casa” Noce.

Il marchese conte duca Roberto Bilotti Serbelloni Mazzanti Viendalmare della nobile casata dei Ruggi di Aragona, nel suo piagnisteo davanti ai microfoni di Repubblica e dell’Ansa a poche ore di distanza dal rogo – oltre a raccontarci la chiacchiera dell’inestimabile valore delle presunte opere andate in fumo – dice di essersi rivolto, da otto anni a questa parte, alla procura di Cosenza per chiedere lo sgombero di un “ammezzato” di sua proprietà, occupato abusivamente dalla famiglia Noce. E, nonostante le tante denunce, nulla ha fatto la procura per ristabilire la legalità in quello stabile.

Anche qui c’è da tanto da chiarire rispetto alle parole pronunciate dal duca conte marchese Roberto Bilotti Serbelloni Mazzanti Viendalmare, perché, come tutti sanno, la famiglia Noce abitava in quella che era una volta la torre campanaria del Duomo da almeno 50 anni. Chiunque può testimoniare questo. E tutti sanno che l’appartamento posto al secondo piano della “torre” (che in realtà sarebbe il primo piano rispetto all’ingresso di vico Padolisi), è sempre stato di proprietà di Franchino Noce. Appartamento che dopo la morte dei genitori, per volere della nonna Concetta, era stato “intestato” a Roberto Golia, nipote di Tonino e figlio della sorella Donatella. Questo aveva creato problemi tra i fratelli al punto che Pinuzzu, che ne rivendicava la proprietà, in una delle tante liti familiari aveva “costretto” Tonino e Roberto e Serafina a spostarsi al piano superiore.

Tra Pinuzzu e Tonino, affiancato da Roberto e Serafina, non correva più buon sangue da tanto tempo. Tant’è che Pinuzzu, alcolista cronico, si era e si è “lasciato andare”, e pur di non tornare a “casa”, passava e passa le sue giornate e le sue notti alla Villa Nuova. Trovando rifugio, qualche volta, presso l’ex Oasi francescana. C’è chi dice che Pinuzzu attualmente risiede a via Popilia. Dove non si sa.

In sostanza l’appartamento di proprietà di Roberto Golia, dopo la morte dei nonni, era diventato una sorta di discarica e per questo motivo impraticabile. E questo aveva costretto Tonino, Roberto, e Serafina a restare al piano superiore che avevano trasformato anche questo in una discarica. Era diventato “più comodo” per loro restare al terzo piano. In attesa di una nuova disinfestazione del loro appartamento.

Dunque il duca conte marchese Roberto Bilotti Serbelloni Mazzanti Viendalmare, ammesso che l’ammezzato fosse suo, cosa tutta da dimostrare, al massimo avrebbe potuto chiedere di spostare i tre al primo piano nell’appartamento di loro proprietà. E non cacciarli via dallo stabile, magari per impossessarsi anche del primo piano di loro proprietà ed avere finalmente la “torre” tutta libera.

La presenza della famiglia Noce in quello stabile, oltre ad un oggettivo problema di igiene pubblica, era un problema anche per chi mirava a far diventare “palazzo Compagna” un unico stabile con la “torre”. La loro presenza creava danno all’immagine del palazzo. E la proprietà del primo piano rappresentava per qualcuno, una volta allontanati, un ottimo affare. E siccome non c’era altro modo per scacciarli, ci ha pensato il fuoco. Che come tutti oramai hanno capito è partito dal portone d’ingresso, e non dal terzo piano dove hanno trovato i cadaveri carbonizzati dei tre poveri disgraziati.

Certo è che questa volta la procura non potrà risolvere il problema con la classica archiviazione. Tutta la città è in attesa di sapere come sono andate realmente le cose. Ed i quesiti posti devono trovare soddisfacenti risposte. Se c’è qualcuno in procura intenzionato ad insabbiare tutto, per coprire qualche pezzotto di cartone, stia attento: questa volta l’intera città verrà a prendervi nei vostri uffici.

GdD