Cosenza ricorda Roberta Lanzino (di Claudio Dionesalvi)

di Claudio Dionesalvi

Articolo scritto cinque anni fa, pubblicato da “il manifesto” a 25 anni dal più brutale e ignobile delitto compiuto in terra bruzia.
Ripropongo il testo nel 30° anniversario, mentre la mente mi riporta a quella ragazza meravigliosa, che nei corridoi del liceo scientifico di via Popilia, sorridente mi abbracciava.

Fonte: Inviato da Nessuno (http://www.inviatodanessuno.it/?p=283)
(nella foto, gli Ultrà Cosenza in corteo il 5 ottobre 1988. Chiedevamo verità e giustizia per Roberta)

Roberta aveva un volto rinascimentale. Ti bastava osservarlo pochi istanti per non dimenticarlo più. Nei sogni di chi l’ha conosciuta ritorna rotondo il viso, si stagliano le arcate spaziose degli occhi, le movenze delicate. Sembra di poter sentire ancora gli echi della sua risata gioiosa rimbombare tra i corridoi del liceo scientifico “Scorza” di Cosenza. Ma il sogno s’arrende a immagini rapide, violente, terrificanti: le sevizie sul suo corpo violato, le pugnalate mortali.

Sono trascorsi 25 anni esatti da quel 26 luglio 1988, quando Roberta Lanzino fu violentata e uccisa da mani ignote. Il brutale delitto avvenne lungo la via della Falconara, un’antica strada inerpicata sulla catena costiera che separa Cosenza dal litorale tirrenico. La 18enne aveva preceduto i genitori di pochi minuti, viaggiando in motorino, nel percorso verso la sua casetta al mare.

Da quel giorno, nessun tribunale è riuscito a renderle giustizia e verità. I rettili dalle sembianze umane che le tolsero la vita, sinora sono sfuggiti al meritato castigo. Titolare dell’inchiesta: il Pm Domenico Fiordalisi, artefice di altre spinose operazioni dalle quali non è uscito in modo brillante. Di Roberta, dopo il ritrovamento del suo corpo, sparirono i vestiti. È evidente che all’epoca c’era veramente poco di scientifico nelle modalità di conduzione delle indagini. Neanche per l’inchiesta sull’investimento di un cane randagio, forse, l’approssimazione sarebbe stata peggiore. Fu lasciato campo libero a curiosi, passanti, turisti dell’orrore, investigatori faidaté che rovistarono il luogo del delitto, inquinando ogni possibile prova.

Negli anni successivi, un primo processo contro i cugini Giuseppe, Rosario e Luigi Frangella, pastori residenti nella zona, inizialmente ritenuti responsabili dell’omicidio, si è risolto con la loro assoluzione. Nel 2007, un nuovo procedimento, stavolta a carico di Francesco Sansone, agricoltore, già in carcere per due omicidi commessi nel biennio ’89 – ’90, secondo gli inquirenti ricollegabili all’assassinio di Roberta. Vittime: Rosaria Genovese, strangolata e gettata in un pozzo perché avrebbe rivelato dettagli dell’omicidio Lanzino; e un maresciallo omonimo del Sansone. Nella ricostruzione degli investigatori, il presunto mostro avrebbe agito con la complicità di Luigi Carbone, un pastore scomparso il 27 novembre 1989.

Decisive, ai fini dell’apertura del secondo procedimento, le rivelazioni dell’ex boss della ‘ndrangheta cosentina, il pentito Franco Pino, le cui esternazioni in principio furono quanto meno sottovalutate.

La terrificante vicenda di Roberta si verificò nel periodo della pax mafiosa cosentina. Le ‘ndrine erano da poco riuscite a siglare un accordo di spartizione degli interessi criminali sul territorio, dopo anni di faide che avevano portato alla morte di circa cinquanta persone. La città era retta da una cupola politico-affaristico-mafiosa di cui non sono stati mai svelati i contorni e gli intrecci. Erano gli anni di misteri e omicidi senza responsabili, come quello del calciatore Denis Bergamini per la cui morte è stata riaperta di recente l’inchiesta.

La psicosi del maniaco assassino senza nome, libero e impunito, penetrò nelle coscienze dei Cosentini e le condizionò a lungo. Dopo la morte di Roberta si visse in una sorta di coprifuoco non dichiarato, simile solo a quanto era accaduto tempo prima nella Firenze dei delitti del mostro.
Venticinque anni dopo, per non lasciare che l’oblio cancelli quest’ennesimo mistero all’italiana, a Cosenza sono stati organizzati un corteo, un convegno e un motoraduno.

il manifesto, venerdì 26 luglio 2013