Cosenza tra fallimenti e Covid: ridotti così quanto tempo possiamo ancora tirare avanti?

Cosenza, si sa, non è una città industrializzata del nord. Cosenza è una piccola città di provincia del profondo sud, con i classici problemi legati al mancato sviluppo del meridione: disoccupazione, servizi pubblici scadenti, corruzione, illegalità e massomafia in ogni dove. Economicamente parlando Cosenza è una città che non presenta nessun segno di “attività produttive”. Al di fuori del pubblico impiego che “coinvolge” una parte consistente degli abitanti, e del “welfare familiare” unico argine all’esplosione totale della già diffusa povertà, e ovviamente al netto dei traffici criminali, l’economia cittadina viaggia su pochi binari: commercio, ristorazione (food & drink), e lo stretto necessario nei settori secondario e terziario. Altro non c’è.

L’arrivo della pandemia in aggiunta alle sciagurate scelte urbanistiche del sindaco hanno messo in ginocchio quel poco che restava del commercio cittadino. Gli incassi sono calati anche fino al 70%. Che per una attività commerciale significa il fallimento. Stessa cosa per le attività legate al bere e al mangiare che a Cosenza sono uno dei pilastri dell’economia cittadina, anche loro hanno subito perdite significative. Giallo, verde, arancione, rosso rubino, verde smeraldo, il continuo cambio cromatico/pandemico che ha interessato il nostro territorio, legato al numero dei contagi, ha di fatto “inibito” le abitudini dei cosentini che oggi “faticano” ad entrare in un bar. Non si capisce mai come ti devi comportare. E non certo per colpa dei baristi. Ma della confusione che regna a livello politico che fatica a trovare soluzioni serie ed efficace da sottoporre agli esercenti. Gli unici a viaggiare “sulla cresta dell’onda” sono i “negozi” di generi alimentari di ogni ordine e grado, le tabaccherie, e i pusher.

Se non fosse per il reddito di cittadinanza, per tanti oggi sarebbero guai seri. Una misura che allevia le condizioni di chi in tempi di pandemia non riesce a “svoltare” in altro modo. Se la pandemia non fa girare soldi, a risentirne economicamente è anche tutto “l’indotto” che ruota attorno alle attività economiche cittadine, lavoro nero compreso.

Non esageriamo se diciamo che come città siamo oramai alla canna del gas: il Comune è fallito, le attività commerciali chiudono al ritmo di una al giorno, i ristoratori, i baristi, i piazzaioli, i pub, gli albergatori, i pasticceri, sono sull’orlo di una crisi di nervi, il terziario ha totalmente intaccato i propri risparmi e le nonne e i nonni non ce la fanno più, in poche parole siamo sommersi dai debiti e rischiamo di restarci sotto. Quello che la politica poltronara fa ancora finta di non capire è che se dovesse saltare anche quest’altra stagione la situazione economica per molti potrebbe diventare irreversibile. Il che, visti gli allarmi sull’aumento dei contagi, è altamente probabile, ma di rimedi, che in altre parte del mondo hanno già messo da tempo in campo, per scongiurare questo disastro annunciato, neanche l’ombra.

Tutto è affidato ai “bonus”, che tra l’altro faticano ad arrivare, e nella maggior parte dei casi non risolvono il problema. Sganciati da una visione politica a lungo termine di un reale e concreto rilancio dell’economia cittadina, intenzione da tutti i sindaci enunciata e mai praticata, attraverso, ad esempio, forti richiami “culturali” capaci di attirare nell’immediato un robusto turismo di prossimità in città, i bonus “attagnano”, ma non risolvono il problema. Sempre al netto della pandemia.

A questa grave situazione si aggiunge la mancanza di un piano vaccinale regionale serio ed efficace, l’unico strumento all’oggi per sperare di poter tornare ad una vita normale, causa la totale incapacità di chi oggi governa la regione Calabria. Dopo aver distrutto la sanità pubblica per favorire quella privata degli amici degli amici, dopo anni di squallido ladrocinio a danno dell’Asp di Cosenza (nessuno è in grado di dire con esattezza a quanto ammonta il debito, si parla di quasi un miliardo di euro), dopo decenni di utilizzo delle strutture ospedaliere per fini personale e elettorali, oggi continuano, nonostante la gravità della situazione, a speculare sulla salute dei calabresi, e questa volta lo fanno con i vaccini. Non solo quei pochi vaccini che arrivano in Calabria spariscono per andare chissà dove, ma quello che più preoccupa è che di questo passo ci vorranno “secoli” per vaccinare quasi due milioni di calabresi. E tutto questo tempo a disposizione proprio non ce l’abbiamo. È mai possibile che nessuno dei politici che ci governa senta il peso di questa responsabilità? Possibile che nessuno è capace di stilare un piano vaccinale, magari mettendoci sopra anche un po’ di moneta, a cui sottoporre la popolazione, nel rispetto delle priorità delle categorie a rischio, in tempi non diciamo rapidi ma ragionevoli?

Ma cosa devono farci di più per farci alzare la testa? Qui rischiamo di finire tutti falliti e loro litigano per le poltrone e su come continuare a scippare i calabresi. Per scongiurare tutto questo bisogna pretendere l’avvio di una campagna di vaccinazione capillare. Solo così si può ripartire e non fallire. Ma sembra che a nessuno interessi, molto probabilmente subiremo una “terza ondata” con conseguenti e giuste restrizioni, che peseranno, questa volta come macigni su tutti. Siamo al conto alla rovescia, il nostro tempo sta per scadere e bisogna muoversi subito, perché in queste condizione, e con un’altra “stagione mancata”, difficilmente supereremo un altro inverno… Sempre economicamente parlando.