Cosenza, vi spieghiamo perché ci siamo dimessi dall’associazione antiracket Lucio Ferrami

Dal profilo FB di Sandro Pezzi

Una fortuita coincidenza fa si che la sentenza della Corte di Cassazione, che condanna definitivamente il clan Rango Zingari, coincide con la Santa Pasqua, che per la ‘ndrangheta è periodo di riscossione.
Si perché generalmente il pizzo si paga in coincidenza delle festività di Natale, Pasqua e Ferragosto.
Vi raccontiamo la nostra storia.

Un mattina come tante, 2 proiettili di fucile davanti al Primadì, di cui ero titolare. Io e Michela pensiamo “Sono arrivati”, in fondo ce lo aspettavamo. Il commercio al Sud è doloroso, devi pagare la tangente o devi assumere il parente del boss, devi pagare il boss per avere lo stand in fiera (dal lungofiume alla villa vecchia), devi pagare offrendo da bere al boss , devi pagare per tenere sotto controllo il tuo locale con discutibili agenzie sempre del boss, devi pagare, addirittura, se vuoi vendere del pesce fresco del boss.
Noi non abbiamo pagato. Dopo meno di un’ora abbiamo denunciato l’accaduto.

In questura ci hanno chiesto meravigliati se gli estorsori fossero già venuti a richiedere il pizzo perché normalmente funziona così. Ti chiedono il pizzo, tu paghi e sei salvo, se non paghi subisci le intimidazioni fino a decidere di chiudere o addirittura di suicidarti.
Per noi no, è stato esattamente il contrario. Era un semplice avvertimento. Era “stiamo arrivando, ora a te la scelta”. E’ un po’ come dire, decidi tu cosa fare. La normalità a Cosenza è questa, scegli semplicemente la modalità di pagamento.
Passano i mesi e pensiamo solo a quello, davanti agli occhi degli amici del bar che ci vedono evidentemente turbati. Ma noi da bravi commercianti, sorridiamo davanti, piangiamo dentro.

Passano i mesi, lentamente. Tuttavia, ci facciamo trasportare dagli eventi belli del Primadi e dall’allegria travolgente dei nostri clienti.
Dopo 6 mesi.di nuovo il buio.
Era un lunedì allegro, come tanti, al Primadi l’aperitivo, al retrobottega il torneo di burraco.
Arriva un tale Domenico Cafiero, per conto di Adolfo Foggetti, a chiederci 1800 euro da consegnare di li a 2 giorni.
La stessa somma l’avremmo dovuta pagare per ogni festività, pasqua ferragosto e natale.
Una somma ragionevole, a detta di molti, considerato il successo del locale.
Noi non abbiamo pagato. Si trattava, per noi, di un meccanismo perverso, di una somma illogica, insensata e inammissibile. Abbiamo deciso di proseguire per la nostra strada, di ribellarci a questo sistema meschino, pur consapevoli che saremmo stati soli e impauriti.

Così abbiamo deciso di denunciare. Difatti, la sera stessa abbiamo avvertito la polizia e l’indomani ci siamo recati in questura per denunciare i fatti e abbiamo consegnato i video – sorveglianza della nostra attività.

La vicenda è stata raccontata, con alcune discrasie, da Adolfo Foggetti, nelle sue dichiarazioni da pentito: “… Secondo i miei propositi, il Primadì avrebbe dovuto pagare 1.500 euro a festività. Cafiero si è recato al locale, due volte, a nome mio, la prima volta ha parlato con un lavoratore, la seconda col proprietario. Quest’ultimo ha detto di non avere intenzione di pagare e si è rivolto a X X chiedendogli se era vero che Luca Cafiero fosse un mio uomo. X X, per quanto mi ha immediatamente detto, gli ha riferito che Luca Cafiero non aveva nessun rapporto con me. Da quanto riferitomi da XX ho capito che il proprietario del Primadì non solo non era disponibile a pagare, ma era possibile ci denunciasse in quanto non aveva fatto quello che di solito fanno coloro i quali subiscono l’estorsione, cioè non aveva chiesto un contatto con la criminalità organizzata. Proprio sulla scorta di questa deduzione, ho detto a Luca Cafiero di non insistere nella pretesa estorsiva…”.

L’ufficio fa presente che il proprietario del Primadì ha denunciato di aver rinvenuto davanti la saracinesca dell’entrata del proprio locale due cartucce di fucile. Foggetti risponde: prima di incaricare Luca Cafiero di parlare con il proprietario del Primadì, avevo dato ordine a Domenico Mignolo di piazzare una bottiglia piena di liquido infiammabile davanti al Primadì. Evidentemente lo stesso Mignolo ha utilizzato le cartucce con finalità intimidatoria.
In realtà noi non abbiamo chiesto alcunché ad XX, in quanto, la sera stessa dello spiacevole episodio, avevamo già avvertito i poliziotti con i quali eravamo in contatto dopo la minaccia dei proiettili.
Iniziano per noi dei mesi interminabili. Conoscendo in parte la storia del clan e la sua elevata ramificazione, attraversiamo giorni angoscianti e attimi di paura, che si accentuano, paradossalmente, nella notte degli arresti. Poi il processo di primo grado, poi il processo in Corte d’Appello e infine, oggi, il giudizio della Cassazione che ha confermato le condanne.
Ci siamo costituiti parte civile nel processo insieme alla associazione antiracket Lucio Ferrami che abbiamo visto nascere e della quale abbiamo fatto parte fino a qualche mese fa, allorquando abbiamo deciso di rassegnare le dimissioni per le motivazioni che brevemente riportiamo e che racchiudono il senso dell’odierno racconto.

“…. Brevemente. Sin dal primo tentativo di estorsione subito, ho deciso di denunciare alle forze dell’ordine una vicenda che mi ha evidentemente traumatizzato.
In seguito, poiché ho sempre sostenuto, e continuo a sostenere, l’importanza dell’associazionismo – come fondamento non solo nella formazione individuale ma anche e soprattutto nei confronti della società – ho individuato un organismo che potesse sostenere le mie stesse cause, cercando così di dare il mio contributo con la massima serietà e impegno. Il tutto, nella convinzione che l’associazione antiracket di Cosenza nasceva quale strumento di risveglio delle coscienze dei cittadini e dei tanti imprenditori che, presumibilmente, nel silenzio e nella paura, decidono di non denunciare. L’associazionismo in questo settore dovrebbe, infatti, avere un richiamo forte e decisivo. Purtroppo, con dispiacere, constato come tale richiamo non sia stato affatto intrapreso dall’associazione antiracket di Cosenza.

Del resto, io stesso, più volte, ho ribadito questa situazione di inerzia della nostra associazione, proponendomi e proponendo iniziative volte a far conoscere la nostra realtà. Ad esempio, durante le riunioni, che hanno, a mio avviso, soltanto appesantito i tempi di raggiungimento degli obiettivi essenziali, ho espresso il mio dissenso e ho rilevato la necessità di creare rete e “contatto” sul nostro territorio, abbracciando gli imprenditori e tralasciando, invece, i signori delle istituzioni.
Mi spiego.
Sarebbe stato auspicabile partire da piccoli ma importanti segnali alla città (un adesivo, una bottiglietta etichettata da consegnare a qualche giornale, un incontro con la città, presentazione di libri, una cena sociale) al fine di coinvolgere le coscienze civili.
Di contro, la partecipazione, da dietro le quinte, ad eventi istituzionali (quale ad esempio i giovani americani) non ha avuto alcun riscontro pratico.
L’obiettivo dell’associazione, a mio avviso, non si è mai realizzato.

Del resto, i fatti parlano chiaro. Negli ultimi anni della vita dell’associazione, nessuno è entrato quale nuovo membro, qualcuno addirittura ha deciso di non partecipare più.
Non solo. È incomprensibile pensare che la nostra associazione non abbia mai partecipato ad iniziative o incontri realizzati in città, ed aventi ad oggetto la legalità e il pizzo, pur essendo l’unica associazione di riferimento fatta da imprenditori che hanno subìto e denunciato e avrebbero, quindi, potuto ben testimoniare la drammaticità dell’evento stesso. Non ultimo, un incontro tenuto alla Camera di Commercio sulla legalità o i cinque giorni di “musica contro le mafie”.

Nessun coinvolgimento, nessuna richiesta di audizione, nessuna presenza.
E così, tutte le altre iniziative rimaste aleatorie, come la nuova sede, lo sportello d’ascolto, il consumo critico e così via.
Il tutto per voler significare quanto sia, invece, necessaria ed indispensabile una rete valida su Cosenza, città assai omertosa, in cui l’80 per cento delle attività commerciali pagano, in silenzio, il pizzo. Attività commerciali assai bisognose di sostegno valido e CONCRETO da parte di chi il fenomeno l’ha subito e lo ha respinto.
Con la speranza che l’associazione possa conseguire risultati migliori, dalla data della presente si intende risolto ed interrotto ogni rapporto instaurato con codesta Associazione.
Sandro Pezzi“.