Crollo dell’Auditorium Nicola Calipari: rrobba du Comuni jettala aru iumi

Il crollo del tetto dell’Auditorium Nicola Calipari, sito nel complesso di Palazzo Tommaso Campanella a Reggio Calabria, sede del Consiglio Regionale, è la rappresentazione plastica (ma anche metaforica) di quello che sta succedendo in Calabria: tutto attorno a noi crolla, ma continuiamo imperterriti a far finta di niente. Preferiamo guardare altrove, forse per scaramanzia o per esorcizzare il “malaugurio”, presi come siamo a sanare le disgrazie degli ultimi mesi, lasciandoci trasportare dal dolce e rassicurante racconto del “tutto va bene madama la Marchesa”. Preferiamo l’illusione al vero. Il virtuale al reale. Non abbiamo più voglia di soffrire. Preferiamo, di fronte alla palese rovina, chiuderci nelle nostre piccole certezze economiche, culturali e sociali, convinti che questo basti a garantirci la sopravvivenza all’interno di un sistema economico oramai al collasso. Come se non avessimo bisogno di nessun altro, forti del nostro conto in banca e della sicurezza del nostro posto di lavoro, e tanto basta per andare avanti. Come se una crisi economica, come quella che sta per arrivare, non coinvolgesse, alla fine, tutti: poveri e ricchi. Come se, per fermare tutto, bastasse adottare il classico “occhio non vede, cuore non duole”.

Se nessuno raccoglie i pomodori, se le fabbriche si fermano, se il commercio va a rotoli, se la piccola e media azienda agricola smette di produrre, se il terziario salta, i problemi non sono solo degli “operai”, ma di tutta la comunità. Anche dei ricchi, ma soprattutto di chi ancora oggi, rispetto a tutto quello che succede, continua a voltare la faccia dall’altra parte. A poco serve essere ricchi se il mercato è vuoto. E a poco serve “il si salvi chi può”, che non garantisce per niente la “conservazione della specie sociale” appartenete alla classe della media e alta borghesia. Se crolla il mondo del lavoro, già precario di per se in Calabria, la rovina è totale. E le previsioni non sono certo rassicuranti. L’intero comparto legato all’accoglienza, alla ristorazione e al turismo rischia seriamente di saltare, il che equivale, con le dovute proporzioni, alla chiusura degli stabilimenti Fiat di Torino dell’epoca. Ma nonostante ciò continuiamo a nutrirci delle chiacchiere politiche e degli spot promozionali che pubblicizzano una regione che non esiste, un lavoro che non c’è, e servizi che nessuno ha mai visto o usato.

Si sa: fino a quando non ci ‘ncappi non ci credi, è nella natura dell’uomo pensarla così. E la malapolitica conosce bene questo pensiero, che strumentalizza a proprio piacimento, mettendoci gli uni contro gli altri. Una strategia che funziona sempre, almeno fino a che sono in grado di distribuire denaro pubblico alla solita fetta di società che li sostiene solo per convenienza.

Ritornando all’Auditorium crollato, solo per miracolo non ci sono state vittime, un tempo, dei lavori pubblici si diceva: rrobba du Comuni jettala aru iumi! Traduzione: tutto ciò che è costruito dall’ente pubblico non dura a lungo, perché nessuno esegue i lavori come si deve. La cosa che più conta è lucrare: sui materiali, sulla manodopera, sulle forniture. E così si finisce sempre col costruire strutture scadenti destinate a crollare al primo soffio di vento. E gli esempi, anche tragici, in Italia non mancano.  Una cultura del malaffare talmente consolidata da diventare prassi tollerata anche dalla magistratura. Se un lavoro è del “Comune” è giusto farlo a “cazzo di cane”, tanto nessuno pagherà mai eventuali tragiche conseguenze derivanti dalla cattiva esecuzioni dei lavori. In Italia crollano scuole, ponti, strade, edifici, e raramente si arriva a punire i responsabili. L’impunità è garantita.

E così sarà per l’Auditorium Nicola Calipari, una struttura costruita 15 anni fa, non ci sarà nessun colpevole. Perché non interessa a nessuno trovare il responsabile, spesso legato al politico marpione che gli ha fatto prendere l’appalto. Sarebbe, per certa politica, come ammettere le proprie responsabilità, meglio non “scavare” nelle carte, le sorprese potrebbero essere tante.

A guardare le immagine del crollo l’impressione è quella di un collasso dovuto all’eccesivo peso dei pannelli solari installati, sul tetto della struttura, qualche anno fa. E se così è la domanda sorge spontanea (non c’è bisogno di essere dei tecnici per sapere questo): prima di installare i pannelli solari qualcuno si è preoccupato di fare qualche “prova di carico” del tetto dell’Auditorium? Sarebbe bastato questo per prevenire il disastro… ma si sa, e lo abbiamo già detto: rrobba du Comuni, jettala aru iumi!

Meno male che nessuno si è fatto male!