Domenico Quirico: “Così la pace sembra sempre più lontana”

(DOMENICO QUIRICO – lastampa.it) – Il cammino verso la Guerra (da scrivere ormai al maiuscolo viste le dimensioni che prenderà) è eternamente vincolato al pensiero sequenziale: ovvero al terrificante schema secondo cui una dichiarazione insensata o un episodio nefasto succede a un altro sostituendosi ad esso, per poi, come su una catena di montaggio, far posto a quello successivo. Fra gli indaffarati sobillatori di questa discesa agli inferi ci sono politici, agenti dei media, economisti, trafficanti e finanzieri, manager e imbonitori del tubo catodico, disinvolti pubblicitari del guerra è bello. Sono stati istituiti a tal scopo, a Occidente e a Oriente, reparti addetti specificamente alla sobillazione.

Minoranze politiche dalle vedute assai limitate, acquattate nei due fronti opposti, da mesi si ostinano con successo a commerciare con l’odio, anteprima necessaria per seguire ideologie anacronistiche. Menti incorreggibili, autocratiche ma purtroppo anche democratiche, per giustificare la propria esistenza e il potere, stanno radunando milioni di uomini attorno a vessilli dalla parvenze medievali.

Ci invitano da ogni pulpito a concentrare tutte le nostre forze nell’opera di distruzione. Si procede così, a piccoli passi ma sempre più rapidamente in tutte le direzioni, in un processo che nessuno osa controllare e tanto meno mettere in discussione. Gli avventisti dell’armiamoci e vinceremo!, indifferenti di fronte a tutte le catastrofi del ventesimo e ventunesimo secolo, si lasciano andare senza ritegno ai loro deliri bellicisti. L’isterico ottimismo non conosce limiti: neppure, pare, quello a cui si faceva finora ingenuo affidamento, dell’autoconservazione. Il disordine del mondo è ridotto a uno schema binario, pare che ci siano solo due opzioni: o noi o loro!

Putin, che in questo modo pensiamo di intimidire e disarmare, esulta: è esattamente questa eclissi della ragione che voleva, in un mondo a spicchi diviso da Cortine impenetrabili, eternizzerà il suo ottantacinque per cento. L’odio è il suo liquido amniotico, ne conosce ogni segreto. Davvero questa guerra è ordine contro disordine? O invece analogia, omologia, specularità, contiguità, simmetria… Imperialismo contro imperialismo, mercanti di cannoni contro mercanti di cannoni, un atroce problema di concorrenza?

Negli ultimi giorni si fa incalzante la lista degli scribi analfabeti e dei farisei faccendieri. Citiamone alcuni. Charles Michel, con la zimarra addirittura di presidente europeo ma l’aria di uno che va al mercato con la sporta sotto il braccio per scegliere carne e fagioli, si stropiccia le mani, con certezza da apostolo e finezza di innamorato, per «l’economia di guerra» prossima ventura. «È una modalità che creerà posti di lavoro e crescita in tutta l’Unione», dice lui senza neanche più fingere il modulo umanitario parolaio, barattandolo con un criminale consumismo bellico. Offre stipendio, pensione, carri armati e bellica fratellanza ai senza lavoro. Il guaio è che non viene disossato di contumelie e risate. Mentre i pescecani delle industrie della sicurezza, i mercanti di morte diventati saccentuzzi espettoranti in esimi consigli di amministrazione, pregustano commesse per i prossimi cento anni: Signori, bisogna programmare la produzione, dateci tempo…

Gli fa eco, dall’altra sponda, il linfatico portavoce del tiranno moscovita, Peskov, che manda in pensione – finalmente! – i pudori della operazione militare speciale. Basta, fase nuova: «Adesso siamo in guerra, è l’Occidente che ci costringe!».

Malandati, spossati e allibiti vediamo Presidenti come Macron che barattano digestive affezioni al glamour con foto ufficiali in divisa da pugile e fanno dichiarazioni di guerra di stampo assiro sovietico minacciando i «codardi»…

Negli stati maggiori i geni militari, costretti a accontentarsi da tempo di francobolli strategici individuabili sul mappamondo solo con la lente di ingrandimento, possono predisporre manovre annibaliche su scenari di migliaia di chilometri dalla Finlandia al Mar Nero, e preparano le operazioni per trasformare capitali con milioni di abitanti in repliche di Pompei. E noi che credevamo che il progresso avesse preso in appalto il futuro! E ci illudevamo che la vista anche solo televisiva o fotografica di un branco di mutilati e di storpiati che formano gli eserciti avesse convinto che la guerra è solo orrenda, mandando in pensione la «virile mitologia» di coloro che amano la guerra ma senza farla, imponendola agli altri… Nei grandi schemi globali, ideologicamente gratificanti, bene contro male eccetera, chi, Michel, Macron, Peskov eccetera, chi fa il conto delle vittime, per ora, ucraine e russe? E visto che sono vittime che evidentemente non importano, chi si domanda cosa provano e come soffrono?

Come si è arrivati a questo punto quasi senza accorgersene? Grazie a una estensione della unicità del riferimento, la guerra inevitabile, servita con graduazioni sapientemente omeopatiche. L’espressione di orientamenti divergenti, battersi cioè per tregue, cessate il fuoco, la pace, finisce per perdere qualsiasi significato, a parte l’uso sovrabbondate di citazioni retoriche (lavorare per la pace… La diplomazia si metta al lavoro… Cercare mediatori…) la cui esegesi è costantemente variabile.

La morte di ogni ipotesi alternativa a una guerra sempre più ovvia e totale si ottiene come sempre con dotte calunnie. Il tirannello moscovita e i suoi accoliti fanno in questo il loro mestiere. A stupirci è quanto accade nelle democrazie dove il dissenso e la varietà delle idee dovrebbero essere indispensabili, di più sacrosanti. Intellettuali servili e i cani da guardia della guerra-business invece usano la mannaia: Putin? Un mostro che vuole assoggettare il mondo intero. Nessuno spiega con che mezzi, dove sono le prove se non la sua cattiveria demoniaca. Ma questo basta per condannare qualsiasi dubbio, graduazione e discussione. Si distribuiscono non analisi, dati, ma ossessioni «à la page’». Le enunciazioni che meglio fruttano a loro vantaggio risultano tanto più efficaci quanto più sono l’obitorio della ragione.