“Faccia da mostro”, ecco cosa disse la prima volta in tv a “Servizio pubblico”

di AMDuemila

“C’era il nostro gruppo di fuoco. E poi un altro gruppetto non organico della famiglia. C’eravamo noi, faccia da mostro. Sapevamo che frequentava un campo di addestramento di Gladio, in Sardegna”.

Le parole del pentito Giuseppe Di Giacomo, riportate nella ricostruzione proposta da Servizio pubblico solo tre anni fa restituiscono un’immagine inquietante di Giovanni Aiello alias “Faccia da mostro”. Di quel “gruppetto” parlano anche altri collaboratori di giustizia, Francesco Elmo e Vito Lo Forte.

Il primo ha detto ai pm: “C’era un gruppo per le operazioni speciali, per il lavoro sporco. C’era l’agente dei servizi civili e militari a chiamata di De Francesco e per l’alto commissariato”. Ed il secondo, che avrebbe anche riconosciuto una foto, aggiunge: “Li chiamavamo il bruciato e lo zoppo”. Alla luce della prematura scomparsa di Giovanni Aiello, vale quindi la pena quindi rileggere quelle dichiarazioni.

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di Aaron Pettinari – 27 aprile 2014

Dal “caso Agostino” all’Addaura, Servizio pubblico mette in mostra le contraddizioni degli ex agenti

Non solo Marcello Dell’Utri. La puntata di Servizio Pubblico, dal titolo “Bye bye Marcello” è stata particolarmente intensa non solo per il racconto della “fuga” dell’ex senatore di Forza Italia in Libano.
E’ stata infatti la “prima volta in tv” di Givanni Aiello, alias “Faccia da mostro”, ex poliziotto in pensione che per anni ha lavorato con Bruno Contrada (ex numero 3 del Sisde ed ex capo della Squadra mobile a Palermo), indagato da quattro procure e considerato come personaggio chiave di tanti misteri che hanno fatto la storia della Sicilia e non solo. La sua figura viene accostata a fatti rimasti ancora oggi senza verità come il fallito attentato all’Addaura, la strage di via d’Amelio fino all’omicidio del poliziotto Nino Agostino e di sua moglie, incinta, Ida Castelluccio.

Quel nome, “faccia da mostro”, gli era stato attribuito dai pentiti a causa di un volto sfigurato da una fucilata.
Lo chiama così il pentito Giuseppe Di Giacomo che ai pm, nella ricostruzione proposta da Servizio pubblico, raccontava: “C’era il nostro gruppo di fuoco. E poi un altro gruppetto non organico della famiglia. C’eravamo noi, faccia da mostro. Sapevamo che frequentava un campo di addestramento di Gladio, in Sardegna”. Di quel “gruppetto” parlano anche altri collaboratori di giustizia, Francesco Elmo e Vito Lo Forte. Il primo ha detto ai pm: “C’era un gruppo per le operazioni speciali, per il lavoro sporco. C’era l’agente dei servizi civili e militari a chiamata di De Francesco e per l’alto commissariato”.

Ed il secondo, che avrebbe anche riconosciuto una foto, aggiunge: “Li chiamavamo il bruciato e lo zoppo”.
Il collega Walter Molino è riuscito a raggiungere Aiello nel piccolo paesino di Montauro, in provincia di Catanzaro. Per la prima volta il suo volto viene mostrato durante una trasmissione televisiva. L’ex poliziotto, come era ovvio aspettarsi, dice di non avere nulla a che fare con queste storie. “In questa storia non c’entro niente – dice – mi sono congedato nel 1977 a causa di una ferita da arma da fuoco che mi ha deturpato il volto. Da allora sono un semplice pensionato, faccio il pescatore e non ho mai più messo piede in Sicilia”.
In ogni modo smentisce di aver lavorato per i servizi segreti, anche quando il giornalista di Servizi pubblico gli ricorda di un’intercettazione della Dia in cui è lo stesso Aiello ad ammettere di aver avuto un ruolo commentando la presenza di Gheddafi in Italia.
Un passaggio che è importante ricordare

Aiello: Secondo te Gheddafi perché dorme sotto la tenda quando viene in Italia?
Amico: Così se ne può andare quando vuole!
Aiello: No! è tutta una questione di sicurezza! Se gli buttano una bomba chi ti dice che dentro c’è lui! Lui gioca con queste cose. Può darsi pure che dorma in albergo.
Amico: E chi lo sa che albergo è?
Aiello: Ah non lo sa nessuno. Pure io, quando ero nei servizi segreti, non è che sapevamo queste cose.

Molino insiste, ricordando una seconda intercettazione in cui, sempre Aiello, dice ad un amico di comprare L’Espresso, in quanto c’era un articolo in cui si parlava di cose che lo riguardavano. Ed anche in questo caso l’ex poliziotto nega la circostanza dicendo che “non era proprio così”. Ancora una volta però sono le sue stesse parole, intercettate dalla Dia, a smentirlo.

Un amico: Pronto?
Aiello: Ehi sono io. Hai letto L’Espresso di questa settimana?
Amico: No perché
Aiello: Allora se ti capita compralo e dagli un’occhiata. Parla di Palermo, di Borsellino e di cose varie.
Amico: Quello che è in edicola adesso?
Aiello: Leggi! Così leggi qualcosa anche di… personale, insomma! Parliamo delle stragi.

Aiello sostiene apertamente di essere stato a Palermo fino al ’75, ’76, di aver lavorato quando a capo della Mobile vi era Bruno Contrada. Dopodiché non sarebbe più stato in Sicilia.
Anche in questo caso viene però smentito da una recente perquisizione della Digos che in casa sua ha trovato un vero e proprio arsenale di armi, oltre a prove schiaccianti di un suo recente viaggio in Sicilia durato tre mesi, e ricevute di titoli di Stato risalenti ai primi anni ’90 e ammontanti a un valore di circa 600 milioni di lire.