Giiustizia corrotta: tra compari si assolvono l’uno con l’altro

Come sempre accade in Italia gli scandali che riguardano pezzotti da 90 delle istituzioni (magistrati, presidenti della repubblica, primi ministri, ministri) e non solo, dopo il primo clamore mediatico, finiscono, sistematicamente, nel dimenticatoio: insabbiate o incenerite. In Italia l’attitudine a coprire la disonestà e l’immoralità di certi rappresentanti dello stato è oramai divenuta una prassi istituzionale. Una di quelle regole non scritte che bisogna applicare e che vale, però, solo per i pezzi da 90. Il tutto sempre abilmente nascosto sotto la coltre del segreto di stato. Un modus operandi che ha reso permeabili le istituzioni a qualsiasi organizzazione criminale. Si sa: il pesce puzza sempre prima dalla testa. Se chi è chiamato a vigilare sulla correttezza e sul rispetto delle regole e della Costituzione, è corrotto, va da se che tutto il resto si adeguerà a questo. Da qui si può capire bene lo stato delle cose, e soprattutto perché l’Italia, all’interno dei paesi occidentali, risulta tra gli stati con il più alto tasso di corruzione nella cosa pubblica: l’incrostazione del malaffare e della corruzione nelle istituzioni è talmente stratificato che non basterebbe una bomba nucleare a rimuoverla.

L’Italia è un paese che fa fatica a tirare fuori la verità dai grandi “casi” di cronaca giudiziaria. E questo accade ogni qualvolta è coinvolto in prima persona lo stato. Del resto tirare fuori la verità dai grandi misteri italiani, significherebbe incriminare per alto tradimento le alte sfere delle istituzioni. Lo stato non può giudicare lo stato: sta tutta qui la soluzione del problema. Fino a che esisterà l’immunità per i pezzotti, l’Italia è destinata a restare il paese dei misteri, e dei casi irrisolti.

Lo scriviamo da sempre, in Calabria, tra le tante emergenze, esiste anche un’emergenza Giustizia: a fronte di qualche procura efficiente e di diversi magistrati onesti, tutto il resto del “comparto Giustizia”, in un modo o nell’altro, è coinvolto nel “sistema corruzione”. C’è chi è coinvolto in prima persona, e gli esempi non mancano, e c’è chi non è coinvolto ma che, di fronte ai tanti illeciti che giornalmente si consumano sotto i loro occhi, non vede non sente e non parla. Che per un pm (onesto e ligio al dovere) suona un po’ come una sorta di “ossimoro professionale”: l’obbligatorietà dell’iniziativa penale in questo caso va a farsi benedire. I colleghi corrotti sono garantiti dalla prima regola della casta più pericolosa d’Italia: l’omertà. Praticata da tutti, buoni e cattivi. Chi la rispetta fa carriera. Un premio che fa gola a tutti: onesti e corrotti. È così che funziona la magistratura, e il caso Palamara, per quello che è venuto fuori, questo meccanismo lo ha spiegato bene. E nello specifico calabrese a descrivere la drammatica situazione in cui versano i tribunali calabresi, le tante inchieste portate avanti dalla procura di Salerno: oltre 15 magistrati indagati per corruzione. Ma di risultati, all’oggi, neanche l’ombra, caso Petrini a parte. Qualche testa bisogna pur sacrificarla.

A proposito di grandi scandali italiani, che fine ha fatto il caso Palamara? Quello che si preannunciava come la madre di tutti gli scandali, dove risultano coinvolti tre quarti dei magistrati italiani, come volevasi dimostrare, è finito, o sta per finire, a tarallucci e vini. A pagare fino ad oggi il solo Palamara. Anche qui qualche testa bisogna pur offrirla all’opinione pubblica.

Ad occuparsi dell’oramai chiacchierato caso Palamara il procuratore capo di Perugia, dottor Cantone, amico di Renzi, che ha chiesto al vicepresidente David Ermini di aprire una pratica per tutelare i suoi pm dopo quelli che considera ormai insistenti e ripetuti attacchi che gli sono giunti da una parte della stampa che accusa la sua procura di non avere tempestivamente trasmesso tutti gli atti acquisiti nell’indagine proprio a carico dell’ex pm Luca Palamara. L’inchiesta è delicata e i Pm devono avere la giusta concentrazione, e non possono essere distratti dai soliti pettegolezzi di certa stampa. Evidentemente il dottor Cantone ritiene inopportune alcune osservazioni, sulla gestione dell’inchiesta, poste dai soliti giornalisti prezzolati.  Vuole lavorare in silenzio il dottor Cantone, della serie: meno se ne parla e meglio è. E per quel che riguarda i risultati non c’è problema: prima o poi arriveranno. Ovviamente meglio poi che prima. E quantificare il “poi” giudiziario equivale a fare un terno al lotto. Della serie: campa cavallo che l’erba cresce.

Nel mentre arrivano per la prima volta al plenum del Csm le chat di Palamara: si parla dei primi cento casi, che la prima commissione, è chiamata ad esaminare. E come da copione iniziano a fioccare le archiviazioni.

Tra i primi casi esaminati non poteva mancare la Calabria con la presenza di uno dei tanti magistrati coinvolti nell’inchiesta: il dottor Alberto Liguori procuratore capo di Terni e già magistrato di sorveglianza in Calabria. Un caso che dimostra il valore delle regola più seguita dalla casta: cane non mangia cane. Specie se il “cane” è calabrese.

Vediamo il caso: il giudice Enrico Di Dedda ha appena lasciato vacante la poltrona di presidente della sezione penale del tribunale di Cosenza (2017), ed urge altra nomina. Ed iniziano le pressioni su Luca Palamara.

A telefonare a Palamara, l’amico di tutti gli amici magistrati, il procuratore capo di Terni Liguori che dice: “parti subito con qualcuno di Area, poi con i laici di sinistra e i membri di diritto… dai Luca, fatti valere”. Palamara risponde: “andrò fino in fondo… e sarà l’antipasto”. E Liguori risponde: “così mi piaci” . E ancora Palamara: “A Ciccio, li sfondo, lo sai”.

Spieghiamo: il dottor Liguori, così come riportato in altre intercettazioni, aveva chiesto a Palamara che a prendere il posto di Di Dedda fosse la dottoressa Lucente, invece del dottor Carpino, ed è per questo che gli chiede di adoperarsi in tal senso. Ma a frenare l’entusiasmo di Palamara che non vede l’ora di fare il favore al compare Liguori, il suo amico e collega Massimo Forciniti. In una conversazione intercettata Forciniti dice a Palamara: “ricordati di non portare in plenum la “questione” del presidente della sezione penale di Cosenza, non mettiamo troppa carne al fuoco”. E Palamara risponde: “già parlato con Iacovitti”. Come a dire: ok… ce ne occuperemo dopo aver sbrigato le pratiche più corpose e urgenti degli amici degli amici. Un “lavoro” che Palamara non riuscirà a portare a termine, solo ed esclusivamente per scandalo sopraggiunto, ed è per questo che la nomina resterà al dottor Carpino, così come deliberato dal CSM.

Ma Liguori non molla – il che denota il suo totale impegno nel condurre una pratica che non appartiene al suo dovere di magistrato e che sfocia in un turpe mercato delle nomine che, come sa bene Liguori, sono regolate da precise norme e regole, ed attengono solo ed esclusivamente all’organo superiore della magistratura –  richiama Palamara e gli dice: “adesso fammi vedere se ci tieni alla Calabria: ribalta pst Cosenza da Carpino e Lucente, appuntamento plenum giorno 13 dicembre, salutami Renzi… abbracci Alberto”.

Ora, non ci vuole uno scienziato per capire che il dottor Liguori è consapevole di chiedere un qualcosa che va contro l’etica professionale, ma nonostante ciò si avvale anche lui di questo turpe sistema per sistemare amici e amiche nei posti apicali della magistratura calabrese. È lecito a questo punto chiedersi il perché il dottor Liguori ci tiene tanto a questa nomina, da quale interesse è mosso per adoperarsi con così tanta passione e slancio? Una domanda a cui nessuno risponderà mai.

Bene, alla luce di tutto questo com’è finita la valutazione della posizione del dottor Liguori da parte del Plenum? Con una bella archiviazione, insieme alla sua collega Alessandra Camassa, presidente del tribunale di Marsala. I primi due casi giudicati sui cento in totale: due archiviazioni. È questo l’andazzo.

E la motivazione dell’archiviazione è la giusta cornice a questo drammatico quadro che nessuno è in grado di cancellare: la posizione del dottor Liguori, nonostante il suo evidente coinvolgimento nel mercato delle vacche è stata archiviata perché le sue indebite pressioni risalgono ad un po’ di tempo fa. Dice il dottor Di Matteo su questa archiviazione: “per la gravità, la reiterazione e la finalizzazione delle richieste non ci sarebbero stati dubbi per il trasferimento per incompatibilità se Liguori avesse lavorato in Calabria”. Ma poiché dirige la procura di Terni i suoi comportamenti, secondo le regole della prima commissione, non incidono sull’ufficio che dirige, perché non sceglie chi lavora con lui, né tratta questioni attinenti all’esercizio delle sue funzioni”. In una parola: archiviazione, con 21 voti a favore e due astensioni. Cane non mangia cane. Il perché si interessava a questa nomina non interessa a nessuno dei magistrati che hanno valutato il caso. Il tutto si può derubricare ad un semplice ed innocuo “errore di gioventù”. E’ così che si assolvono tra di loro. Non pagheranno mai per gli abusi che commettono. Questa storia è l’ennesima conferma di come vanno le cose a certi livelli in Italia: ci sono uomini e donne delle istituzioni che godono di una immunità del tutto incostituzionale, ma accettata e tollerata non solo dalle istituzioni, ma dall’intera opinione pubblica. Una casta di privilegiati che da sempre continua ad autoassolversi da tutto ciò di drammatico che succede in Italia. Nonostante le loro evidenti responsabilità. Come a dire: loro sono loro, e noi non siamo un cazzo! E adesso tocca a Mario Spagnuolo e Antonio Bruno Tridico e ai loro rapporti con Palamara.