Guerra in Ucraina, 62° giorno. La domanda ridotta all’osso non è più chi vincerà ma come se ne esce

(Domenico Quirico – La Stampa) – Salvare la faccia giova. Pare ragionevole ritagliare nel genere della diplomazia che impiega sofisticate tortuosità, che deve trovare vie di accesso spesso coperte e taciturne, travestirsi, farsi accogliere in ambienti ostili e imparare a camminare in punta di piedi, ricavare un sottogenere specifico: per questa forma di astuto compromesso che sembra riservata alla litigiosità banale dei singoli.

Vi sono infatti molti e ottimi motivi per cui concedere una via di uscita anche a quelli che hanno torto, anzi soprattutto a quelli che hanno torto, aiuta a scuotersi dai calzari il fango limaccioso della guerra.

Non è forse l’arte, anzi la obbligatorietà sociale del salvarsi reciprocamente la faccia, una delle regole dei popoli di più millenaria saggezza come i cinesi, una etichetta collettiva, socializzata che cancella l’onta del rango, dell’obbedienza?

Ragionare sulla necessità di salvare la faccia è ancor più obbligatorio in questa guerra ucraina sommamente confusa e in cui non si riesce a evadere dalla questione teologica delle responsabilità.

Ovvero stabilito che il colpevole è Putin e ogni altro disquisire sull’anteguerra superfluo, visto che lui stesso ha voluto liberamente assumere e addirittura se ne fa vanto questa colpa, bisogna eliminare le colluvie di trapassi logici e sofistici.

Ora la domanda ridotta all’osso non è più chi vincerà ma come se ne esce. L’arte, la prudenza e anche la moralità della politica consistono appunto nell’intervenire a tempo debito, e senza precipitazioni e violenze inconsulte e disperate e senza illusioni, sulla via di uscita.

Dopo due mesi di guerra, fatua appare la speranza che sia una provvidenziale mano russa, un golpe oligarchico che verrebbe comunque salutato come democratico, a metter fuori gioco il talento imperialista di Putin, che non dà certo segni di rinunciare alla sua pretesa di ottenere conquista e carico di potenza di nuovo mondiale.

Fatua perché ogni giorno che passa, blocco o non blocco del gas, nonostante argute e fini citazioni degli economisti, la certezza di un fallimento russo che ci consegni l’aggressore legato mani e piedi da una catena di assegni a vuoto, costretto a implorare la misericordia di un bancomat funzionante, appare sempre più remota. Ancor più improbabile, anche se li si rifornisse di un arsenale così gigantesco da svuotare quelli della Nato, che gli ucraini possano stravincere la guerra marciando su Mosca e mettendo, loro, un vero zar sul trono al posto di questo Pugacev uscito dal Kgb.

Allora bisogna ricorrere alla antica saggezza della diplomazia, immaginare un’ipotesi di accordo facendosi guidare da esempi virtuosi ed efficaci. Ad esempio il congresso di Vienna. A cui venne ammessa, e non come reprobo, anche la Francia rappresentata da quella volpe del trasformismo che era Talleyrand ex vescovo ex rivoluzionario ex pari dell’impero e infine rimonarchico, esempio perfetto di quanto si può utilmente cambiare nel corso della vita e della storia seguendo il buon senso e il realismo.

Eppure i vincitori uscivano da più di un ventennio in cui le aquile francesi avevano messo a soqquadro i loro Paesi e i loro troni, devastando dal Manzanarre alla Moscova. La pace reazionaria di Vienna assicurò un lungo periodo di equilibrio prima di venir abbattuta da altri inevitabili scossoni della Storia.

Cattivo esempio sarebbe invece imitare gli avidi negoziatori di Versailles 1919 che a salvare la faccia a tedeschi e ottomani non pensarono affatto. Anzi presero a modello il «vae victis» della pace alla cartaginese e fecero ad esempio sfilare i due delegati tedeschi venuti a firmare davanti a una lunga fila di veterani francesi sfigurati dalle ferite riportate in guerra, portati a presenziare alla cerimonia, perché fossero un richiamo vivente ai danni causati dalla aggressione tedesca.

Molti oggi invocano questo diplomatico salvare la faccia. Il problema è che forse non è più praticabile. Perché salvare la faccia non riguarda più soltanto Putin che, in quanto aggressore e tiranno, ha bisogno di non ammettere sconfitte e neppure mezze vittorie. Riguarda anche gli Stati Uniti, l’Ucraina e l’Europa.

A Putin per salvar la faccia e non imboccare la via della vittoria a tutti i costi o del walhallah di stampo hitleriano ma con il dito sulla bomba atomica, a questo punto occorre esibire non solo il Donbass e la Crimea che aveva già in tasca ma almeno la metà dell’Ucraina per dimostrare che quell’area di sicurezza che esigeva per allontanare l’assedio della Nato se l’è conquistata con la forza.

E Zelensky? Dopo la difesa eroica pagata con migliaia di morti, città ridotte in briciole, dopo Bucha e Mariupol, pensate che possa salvare la faccia con gli ucraini mettendosi a discutere su cosa concedere a Putin? Per gli americani e i loro scudieri più fedeli, Gran Bretagna, polacchi, baltici, è ancor peggio.

Che sia per una politica di prestigio e di potenza intesa alla pace o non millantandola e mentendola per insipienza o passione si sono posti da soli nella condizione di poter salvare la faccia in un solo modo, esibendo la caduta di Putin come prova della superiorità della democrazia (americana) sulle tirannidi. Si riesce a immaginare il presidente Biden che incontra Putin per discutere un accordo che ponga fine al disordine internazionale dopo averlo etichettato come macellaio e soprattutto genocida?

Roosevelt ha forse mai tentato un approccio diplomatico con Hitler nei quattro anni della guerra? Un simile esercizio di realpolitik spregiudicata andrebbe al di là del tollerabile anche per l’elettore americano che si interessa del mondo solo quando le turbolenze toccano i suoi interessi diretti. L’Europa, anzi gli europei in ordine sparso, pensano di salvarsi con il machiavellismo ostentatorio e impudico: mando le armi, metto le sanzioni come impongono gli americani e la Nato ma… son sempre pronto a trattare.

Una contraddizione a cui se si vuol trovare una scusante è la impotenza di fatto, per la quale la Storia non ha indulgenze né pietà, e nemmeno considerazione. C’è un protagonista che invece si è conservato la possibilità, comunque vada a finire, di salvare la faccia. Ovviamente la Cina, con la sua inattaccabile armatura contro il tempo.