Guerra in Ucraina. Finalmente si introduce un embrione di diplomazia (di Domenico Quirico)

(Domenico Quirico – La Stampa) – Manovre o segnali? Forse manovre e segnali. La telefonata di Austin, capo del Pentagono, al ministro della difesa russo Shoigu, primo contatto diretto tra stati Uniti e Russia dall’inizio della guerra, innanzitutto. Pur lontani da facili e verbose fiducie verrebbe voglia di incorniciarla, la telefonata, dandole il significato non di una ennesima rimasticatura di propaganda ma di propositi di una fase nuova.

Finalmente. Si introduce un embrione di diplomazia. Lo scopo dichiarato è quello di proporre il cessate il fuoco immediato e ristabilire linee di comunicazione per impedire che il focolaio si allarghi diventando incontrollabile e pericoloso.

Sarebbe un ritorno a quella abitudine ai prudenti contatti che hanno retto in questi anni, anche durante il conflitto siriano, i rapporti esili tra Mosca e Washington, per evitare sul terreno scontri e frizioni. Riaffiora la consapevolezza che il rischio di perdere il controllo e innescare l’Apocalisse non è stato cancellato queste settimane scervellate e zeppe di escandescenze.

Si inizia a lavorare a testa fredda senza megalomanie? E’ il primo passo, per questo il più difficile, che gli europei per bocca di Draghi hanno chiesto agli americani come indispensabile avvio di un negoziato? O una formalità per smascherare la cattiva volontà di chi dal Cremlino non vuole certo rinunciare ai suoi sfacciati soprusi in Europa?

Forse entrambe le cose. Si apre però una scucitura vistosa, e si spera, provvidenziale, nella dichiarata volontà americana di trasformare la guerra sul suolo ucraino, parole proprio di Austin, in un tritacarne in cui macinare addirittura in modo definitivo le velleità di potenza di Putin. con un simile avversario non era possibile accordo. Che sia stato affidato il messaggio non alla diplomazia ma ai militari è altrettanto importante: sono i tecnici della possibile guerra totale che sembrava fino a ieri inevitabile, ma anche i tecnici del raffreddamento dello scontro militare e della sua complicata e ingegnosa casistica: tregua, arresto delle forze contrapposte sul terreno, verifica del rispetto del cessate il fuoco, scambio di prigionieri.

Parlare con Shoigu equivale nella tetra geografia del potere russo a parlare con il Capo, con Putin. Dopo 80 giorni di guerra, le sanzioni, l’isolamento, la Russia è purtroppo sempre quella torva ed egocratica di febbraio. Ci si rassegna dunque a quella negazione assoluta di Putin come interlocutore che finora è stata l’alfa e l’omega della risoluta posizione americana: costruita attraverso la lunga serie di definizioni «genocida», «criminale di guerra», «pericolo per il mondo», un figuro losco che solo per la geografia apparteneva ancora all’Europa. Automaticamente si rendeva il negoziato inimmaginabile e immorale fino a quando fosse al potere. Insomma si fissava come condizione per la vittoria dell’occidente la resa incondizionata.

Parlare con Mosca coglie quello che fin dall’inizio è stato il nucleo centrale di questa guerra, ovvero la richiesta di ridiscutere gli equilibri di forza tra le potenze che Putin ritiene cambiati: insomma una Yalta del terzo millennio. Un negoziato con gli Stati uniti offre la via di uscita per Putin, che renderebbe meno importanti i problemi sui territori occupati in Ucraina. Ma bisogna convincere anche Zelensky ad accettare una trattativa in cui rinunci a quella ipotesi di vittoria che ormai la propaganda ucraina annuncia come prossima.

E forse non è il problema minore se il negoziato ci sarà. Mentre si aprono timidi spiragli altri attori, invece, approfittano largamente degli spazi di manovra e di ricatto che questa guerra offre loro. Uno di questi, forse il più abile e spregiudicato, è il turco Erdogan che si è opposto all’ingresso di Svezia e Finlandia nella Nato. Citando come ragione il primo comandamento eterno della politica turca, il bigottismo anti curdo: questi due paesi, ha detto, danno rifugio ai terroristi del Pkk, nella Nato non li voglio. Il pacificatore tra Russia e Ucraina cambia maschera, indossa altri panni: e fa anche un favore al suo amico Putin. Come sempre il veto alla fine non lo metterà. Ma ci invierà un conto salato da pagare.