Il riscatto attraverso la cultura (di Lucia Vulcano)

Dovete sempre avere il coraggio di osare, di riscattarvi ma soprattutto di non aver paura ad affrontare questa tematica poiché solo attraverso la cultura le persone possono riscattarsi e far capire alla gente che non è un marchio a fare la persona. (g. c.)

IL RISCATTO ATTRAVERSO LA CULTURA

di Lucia Vulcano

Questa non è solo una soddisfazione che sono riuscita ad ottenere, ma è anche una rivincita nei confronti di chi, in questi anni, non ha creduto in me e mi ha semplicemente sotterrata, gettandomi addosso il peso di un’etichetta che grava ancora sulle spalle di una bambina prima, e di un’adolescente poi.

Nel momento in cui ho preso visione della traccia, riguardante la mafia e la sua figura principale Carlo Alberto Dalla Chiesa, vittima della stessa, ho subito capito che questo sarebbe stato il mio tema “ideale”, perché ho sentito che esso mi appartenesse sia perché un tale argomento mi ha sempre appassionato, ma anche e soprattutto perché l’ho vissuto in maniera diretta e so cosa si prova ad affrontare situazioni che non tutti sanno comprendere.

Come un animale da pascolo, mi hanno ustionata con il rovente marchio della cattiveria. Ancora brucia così forte da non potermelo scrollare da dosso, ma in fondo già mi avevano avvisata. Mi hanno avvisata quando mi hanno tolta dal progetto solo perché ero figlia a mio padre; mi ha avvisata anche quell’educatrice che, con un barbaro coraggio, si rivolse ad una bimba di soli 10 anni dicendole: “Lucia tu vivrai a vita con questo marchio, rassegnati!” eppure io non mi sono mai rassegnata e mai lo farò. Tornavo a casa in lacrime e cercavo rifugio tra le braccia di mia mamma, che se avesse potuto avrebbe preso una gomma e avrebbe cancellato tutto ciò che incupiva i miei pensieri, percuoteva il mio animo. Quella gomma purtroppo non esiste e per questo ricorderò sempre le notti in cui presero il mio papà e lo portarono via.

Le forze dell’ordine agirono in silenzio, nel buio della notte, quella stessa notte alla quale ognuno affida i suoi silenzi, confida i propri timori, i suoi più intimi pensieri e dalla quale si lascia cullare. Ma i pesanti passi di quegli uomini ruppero quel profondo silenzio e ogni centimetro percorso da loro verso mio padre era un piccolo, profondo, lacerante, logorante colpo sul mio cuore. Sempre più vicino, sempre più forte, più intenso, più doloroso.

Ma ciò non bastava, la gente non si accontentò e cercò di colpirmi ancora più forte fino a sgretolare il mio animo, a calpestare e spazzare via la mia autostima, la mia voglia di vedere il bello in ogni aspetto della vita. Ma mia mamma mi ha insegnato a distinguere tra me e ciò che non mi apparteneva, tra Lucia e ciò che Lucia non è. Mi ha costantemente ricordato che nel mio nome avrei dovuto ritrovare la forza, che la luce che mi accompagna avrebbe ridato una nuova energia alla nostra famiglia e che tramite di essa io, noi saremmo stati guardati in modo diverso, in modo buono, in modo giusto.

Il mio nome, era una promessa che indirettamente feci a mia mamma il giorno in cui io nacqui e questo 20, che in sede di maturità equivale ad un bel 10, è una piccola dimostrazione che io le promesse riesco a mantenerle come sono riuscita a mantenere alto l’amore per la vita, per la gente, quella stessa gente che molte volte ha cercato di privarmi del dolce sapore della felicità.

Poi concludo ricordando a chi, con meschino far cinico, al posto di abbracciare la fragilità di una bimba, dar freno alla sua vulnerabilità, le si è accanito contro, evidenziandole i lati deboli, sottolineandone quanto male facesse quella profonda ferita che grondava sangue, che un marchio non è una carta d’identità, non è un passe-partout, né tanto meno un filtro con cui poter distinguere gente giusta da gente sbagliata. Essa è solo un’esperienza di vita che mi ha colpita, è parte del mio passato, del mio presente ma non del mio agire.