In morte di due operai caduti sul lavoro lungo la Riva Sud di uno splendido Mar Jonio

di Vito Barresi

Dove sono morti i due operai che lavoravano al cantiere per la costruzione di un nuovo pezzo di lungomare, una volta c’era un lido intitolato a Poseidon. Era una spiaggia abbandonata, un calanco bagnato da qualche rigagnolo che scende giù dalle colline d’argilla. Ma quel lido nella sua semplicità spartana, achea, aveva trasformato il senso di quell’angolo di marina crotonese, dando un altro valore a quel luogo.

L’immagine è abbagliante ed essa è rimasta sospesa nella mia memoria finché non si è tramutata, purtroppo, nello sfondo più amaro, doloroso, persino troppo luminosamente triste, simile a un dipinto impressionista, un paesaggio della Costa Azzurra. Questo è avvenuto appena appresa la notizia della morte dei due sfortunati lavoratori, travolti da una valanga omicida di pietre e di cemento. Le immagini si sono come sovrapposte, sfumata l’una, in primo piano l’altra. Solo lo splendore e il fascino solingo del luogo temprano il sentimento di lutto e di cordoglio che sorge spontaneo in ogni ansa dell’animo profondo e fatalista del popolo crotonese. Di loro certamente tanti fiori si ricorderanno alla vicina processione di maggio, dove una sosta sicuramente commossa li ricorderà nella notte eterna del pellegrinaggio umano.

E per questo suo contrasto così straziante forse ancora più crudele. Sia detto subito che quel lido con questa brutta vicenda non c’entra niente. Ma la sua essenziale bellezza, con sullo sfondo la linea d’orizzonte segnalata da una bocca di gas e di petrolio, balza alla memoria davanti alla pietà e alla misericordia che suscita il dolore della caduta sul lavoro di questi due lavoratori martiri.

Sono rimasti cadaveri su un cantiere messo in un tratto che sembra copertina di romanzo, sulle rive dello Jonio. Davanti a uno di quegli scorci pittoreschi che oggi la mattina a correre si fotografano per Instagram o per i social. Quella piccola promenade che si trova pure nell’archivio mondiale delle letterature di ogni tempo, nelle pagine dei viaggiatori, con Gissing, Douglas, Le Normand.

In un posto senza nome dove in primavera spesso spiaggiano i delfini stanchi delle onde oceaniche capricciose, forse in cerca di un rifugio che solo Nettuno conosce bene.

Quei due lavoratori uccisi dalle pietre rotolanti di un muro vecchio, infracidito e nemico non erano un nessunoma avevano un vissuto vero, semplice, forte, essenziale.

Giuseppe Greco, 51 anni, sposato, lascia la moglie e due figli. Era di Isola Capo Rizzuto, fin da ragazzo muratore a mastro, sulle impalcature tra cemento, cardarelle, ponteggi, gli volevano bene per il suo attaccamento al mestiere.

Kiriac Dragos Petru era nato a Botosani in Romania, emigrato, muratore della vita aveva costruito il suo sogno trovando casa a Crotone.

Avevano il loro nome, le loro umane, sociali e personali insicurezze, le loro lotte per la vita, il lavoro, la famiglia, ora ridotte in quelle fragilità riverse nell’argilla e tra la sabbia rossa, elementi primigeni da cui in solitudine le famiglie dovranno ripartire e raccontarefare memoria, sacri e affettuosi ricordi strappati d’un colpo, lacerati dal sole accecante che pure non ha asciugato le lunghe e singhiozzanti lacrime dei congiunti.

A vederli, corpo supino sulla terra umida di primavera, sul filo che intreccia la vita e la morte nella storia del lavoro operaio di questa Calabria, non sono poi tanto diversi dai martiri di Melissa, come pure dai morti Thyssen a Torino.

Al momento non si segnalano interrogazioni parlamentari presentate sul “duplice omicidio bianco” di Crotone. Chissà, forse perché solo gli eccidi di ‘ndrangheta a Montecitorio hanno un’altra eco.

Siamo sul viale Magna Gregia, zona di scavi archeologici con resti di discussioniparole, esposizioni della propria erudizione. Se si scava per l’archeologia tutti parlano. Forse per questo qui bisogna far presto a far lavori di ogni tipo senza che nessuno se ne accorga.

Neanche gli eruditi, cultori della materia, quelli che si accorgono quanto brilla in valore un bronzetto, hanno detto che nello scavodue lavoratori, due figli del popolo ci hanno rimesso la pelleTutti zitti.

Se può essere una parola di cordoglio, una lievissima, consolazione che fa di queste due morti insieme piuma e montagna, memoria di felicità perduta e peso di più rigorosa responsabilità sociale, a dire il vero son morti davanti al mare degli dei e forse per questo sono rimasti come sospesi nella luce mediterranea di un mattino d’aprile che non si potrà dimenticare.

Sulle lenzuola che li hanno coperti si leva un alito di vento e in esso, Eolo invisibile, sembra dare tante assurde risposte nel vento.

Blowin in the wind, la risposta è nel vento che soffia leggero e tiepido tra quella rampa gibbosa e collinare che sale sui calanchi subacquei e il cimitero in riva al mare di Crotone, che li ha guardati senza salvarli, distanti, lontani, assenti. Sì questi due lavoratori morti come in una canzone della centrale elettrica che fa il remix di Anna Identici con quel canto di era bello il mio ragazzo.

Quando accadeva un omicidio bianco l’unica cosa che si sentiva era il suono della sirena. Le tre fabbriche si fermavano d’improvviso. Anche le macchine morivano con i lavoratori sfortunati.

Ora invece nessuno parla delle nuove e infernali condizioni di lavoro che si sopportano sia al sud che al nord. La chiassosa e roboante rivoluzione elettronica, quella che si fa tutto con un clic e con il telefonino, mette sotto censura la durissima realtà del lavoro precario e delle mansioni sempre più a rischio, sempre più occasionali, sempre più svalorizzate e svendute.

Che cosa sia un cantiere oggi qualsiasi operaio lo sa bene. Un cantiere è diventato crudelmente il set, l’esterno giorno di un vero e proprio inferno ricostruito centimetro per centimetro. Un posto, che fa impressione al solo vederlo, che ti minaccia al solo attraversarlo la mattina quando arrivi e la sera quando ti fai la croce che un altro giorno è passato. Paura, ansia, dolore, tragedia. Tutto come se fosse niente, tutto in nome del popolo italiano, repubblica fondata sul lavoro.

Lo stesso lavoro che non trovi facilmente, quello che puoi perdere due volte: o perché ti licenziano o perché ci puoi morire sotto.