Italia sì Italia no. Le “offerte” in Aula ci sono: il Salva-Draghi è già pronto

(DI WANDA MARRA – Il Fatto Quotidiano) – O si chiude oggi, o significa che l’operazione per “salvare” il governo Draghi è fallita: l’opinione diffusa nei Palazzi – con varie sfumature di possibilismo – a sera è questa. Più passano le ore, più la soluzione che vede andare avanti il governo dell’ex Bce prende quota. Non nella forma di un vero e proprio bis, ma della continuazione di questo esecutivo. Per domani la capigruppo ha calendarizzato al Senato e alla Camera il voto di fiducia sull’informativa del premier. Il governo ha dato una sorta di silenzio-assenso dovuto. Ma questo non significa che il voto effettivamente ci sarà. L’ex Bce potrebbe sempre decidere – come nei patti con Sergio Mattarella – di andarsi a dimettere prima, se reputa che le condizioni per andare avanti non ci siano. Ieri non ha scoperto le carte: era ad Algeri a chiudere un accordo sul gas, è tornato in serata. E non ha volutamente lasciato trapelare nulla sulle sue intenzioni. Non ci sono state in giornata neanche interlocuzioni con il Quirinale. Un passaggio dovrebbe esserci oggi in giornata. I margini perché resti al suo posto esistono: alla fine domani sono tutti disposti a votargli di nuovo la fiducia, a eccezione di Giuseppe Conte, che però si perde pezzi del gruppo. Ma Draghi le carte non le scopre.

Ieri Pd e i Cinque Stelle nella persona di Crippa (che oggi – secondo i rumors – dovrebbe uscire dal Movimento, capeggiando un gruppetto di deputati) hanno cercato di forzare la mano, proponendo che il voto di domani fosse prima a Montecitorio e poi a Palazzo Madama. Questo perché tra le motivazioni offerte a Draghi per rimanere, c’è quella secondo la quale Conte non rappresenta più i Cinque Stelle. E dunque sarebbe questo il “fatto politico” per dimostrare che la maggioranza sarebbe di fatto invariata. Alla Camera si aspetta, infatti, per oggi una ulteriore scissione sostanziosa di M5S. Il blitz, comunque, non è passato. Anzi, alla Camera, Draghi probabilmente manderà il discorso senza presentarsi in aula.

I numeri, comunque, non dovrebbero essere un problema. La questione resta politica. Per fare ulteriore pressione su Draghi, Mattarella ha fatto sapere che comunque starebbe a lui traghettare il Paese al voto, da dimissionario. Resterebbe dunque imbullonato a Palazzo Chigi per mesi, palesemente depotenziato.

Nel frattempo, si ragiona di come andare avanti in un eventuale Draghi bis. Le trattative a 360 gradi chiuderebbero su un ritocco minimo. Sono due i ministri dati in uscita: Stefano Patuanelli (Agricoltura) e Fabiana Dadone (Politiche giovanili). Mentre Federico D’Incà (Rapporti con il Parlamento) resterebbe al governo. L’interim del primo andrebbe direttamente al premier, le deleghe della seconda a Patrizio Bianchi, ministro dell’Istruzione. Un altro modo per cercare di ridurre fibrillazioni e ricatti incrociati.

Nel frattempo, si parla di una data del voto – se il governo resta in carica – a inizio marzo. Un modo per convincere chi nei partiti vorrebbe staccare la spina subito: vorrebbe dire che le nomine le fa il nuovo esecutivo.

A sera, comunque, le incertezze restano, tra i nuovi ultimatum di Conte e le incertezze di Matteo Salvini. Il Pd si muove a 360 gradi: con chi – come Andrea Orlando – lavora per tenere dentro tutti i Cinque Stelle e chi, invece, è pronto ad approfittare della nuova spaccatura. Esiste pure una trattativa sotterranea con il Carroccio, che chiede di togliere dall’agenda i temi più scomodi come cannabis, ddl Zan e Ius soli. Enrico Letta mantiene la regia, pronto a “sposare” qualsiasi risultato garantisca il prosieguo di Draghi. E molti continuano a indicare gli States e il posto di segretario della Nato come l’unica contropartita che Draghi sarebbe pronto ad accettare.