La democrazia e il ceto politico calabrese (di Carlo Cuccomarino)

di Carlo Cuccomarino 

Su quali responsabilità ha sullo sfasciume calabrese della crisi attuale la funzione e il ruolo dello stesso ceto politico, hanno sciolto da molto tempo ormai ogni residua ambiguità.
Il ceto politico calabrese è qualcosa di più che una forza interclassista dal programma neoliberale: è l’espressione diretta degli interessi e dei gruppi di potere locali e del capitalismo italiano.

Questo ceto non svolge più opera di mediazione tra i gruppi economici e la grande massa di cittadini o tra le varie classi, al suo interno è costantemente impegnato nella lotta per la propria conservazione e ascesa nei ranghi più alti del potere istituzionale.

Tale uniformità di ruolo ha investito e caratterizza in varia misura tutte le formazioni, avendo ridotto in pochi decenni il profilo che li caratterizzava e cancellando definitivamente l’antica geografia destra/sinistra.

Una delle grandi novità politiche delle democrazie occidentali oggi è la scomparsa dello scenario della figura storica del partito di opposizione. All’opposizione sociale e classista è subentrata una opposizione elettorale. La competitività fra partiti che rendeva la democrazia rappresentativa più dinamica è diventata una semplice gara elettorale, fondata su una diversità di messaggi pubblicitari e non su una competizione di strategie.

I partiti oggi filtrano i bisogni, le istanze sociali, ma solo nel quadro di compatibilità delle proprie convenienze da ceto. Non hanno più obiettivi di trasformazione delle strutture della società.

Il PD, il partito renziano, è l’espressione diretta oggi di quanto cerchiamo di dire. Diradati i fumi della rottamazione di fatti riusciamo a vedere meglio i committenti: banche, fondazioni, gestori di rete pubbliche e private trasformate in spa, società energetiche, sviluppatori immobiliari, secondo le varianti locali cooperative, manager di imprese globali, industriali medi.
Al loro fianco i gruppi editoriali, i baronati universitari e la corte di agenti del consenso che ogni sistema necessariamente ingaggia.

Nelle città, comprese dunque quelle meridionali, il PD è promotore di partnership per la crescita urbana, bonifiche di quartieri degradati, folklorizzazione turistica dei centri storici, attrazione di investimenti e talenti, grandi eventi e grandi opere.

Strategia questa che ha il consenso delle classi medie meno colpite dalla crisi, delle alte professioni e di parte dei giovani con alta scolarità che ci vedono possibili canali di valorizzazione.
Il “blocco” che si riconosce nel PD, si basa, dunque, sull’alleanza tra elite, frazioni affluenti di ceto medio, settori socio-professionali che si percepiscono come leading class in formazione.

Oltre questo agglomerato i “pagamenti collaterali”: gli 80 euro, il regime forfettario per le partite Iva, incentivi per l’innovazione. Il tutto per tenere agganciati di volta in volta salariati, precari e lavoro autonomo.

1 – (continua)