La denuncia di Camillo Nola già nel 2016: “Il Sibari-Crati è lo scandalo Mose della Calabria”

Camillo Nola

Era il 17 febbraio 2016 quando in un’intervista rilanciata all’ufficio stampa di Confcooperative Calabria, il presidente Camillo Nola denunciava “la scandalosa situazione generata dal Consorzio Sibari-Crati e i danni arrecati ad aziende agricole e cittadini calabresi”.

Per Nola occorreva “portare le carte in Procura” oppure “affiancare al commissario, un pool di giovani ufficiali in aspettativa dalla Guardia di Finanza e dai Carabinieri, per via della complessa e oscura matassa da sbrogliare”. Per il presidente si trattava dello “scandalo Mose” della Calabria. A distanza di quasi sette anni, qualche giorno fa c’è stato un sequestro beni di 2 milioni di euro nei confronti dei due ultimi commissari.

Presidente Nola, l’agricoltura sembra vivere di sovvenzioni pubbliche, ma spesso gli agricoltori rispolverano l’atavico lamento come se tutto fosse negativo…

Il settore agricolo, nel mondo, ottiene da sempre gli incentivi pubblici perché il privato da solo non avrebbe convenienza economica, a causa dei tempi lunghi di rientro e dei copiosi rischi climatici; inoltre la sicurezza alimentare, intesa come garanzia di nutrizione, è sempre stata una relazione pubblico-privata strategica. L’ambiente da preservare è una priorità perché le risorse come la terra e l’acqua sono sempre più limitate e le imprese agricole svolgono un ruolo decisivo.

Sì, ma gli agricoltori non vogliono pagare l’acqua.

Falso. Il servizio di irrigazione va pagato ma l’acqua deve essere pulita, non devono pulirla le nostre imprese agricole associate, investendo ingenti risorse negli impianti di filtrazione. Chi ha un buon servizio e non lo paga sbaglia e se ne assume la responsabilità. Comunque non ci interessa rappresentare questi agricoltori. Detto questo, il tema dell’uso agricolo dell’acqua in provincia di Cosenza è strettamente legato ancora ad un fardello che dura dal 1954, che oggi è un ulteriore problema che si aggiunge ai mercati agricoli in crisi.

Il Consorzio di bonifica Sibari-Crati in liquidazione?

Esatto. La storia si può così sintetizzare: il consorzio in questione, commissariato dal 1954, dopo l’ultimo presidente agricoltore, il rimpianto Camillo Toscano, ha gestito nel passato attività tra le più disparate con soldi pubblici, dalle grandi opere come le dighe, alle chiese, alla forestazione, oltre agli impianti irrigui. In verità, è sempre stato considerato lo strumento della politica per fare clientela o compiacenza ai fini elettorali.

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Si riferisce anche agli stipendi e consulenze degli ultimi commissari Gargiulo e Bilotta?

Su questo specifico episodio rispondo che in Calabria la gente si indigna sempre meno, l’indolenza e la rassegnazione sono germi peggiori rispetto alla disperazione. Come si fa ad accettare che vengano letteralmente buttati al vento centinaia di migliaia di euro annui per gestire un ente inutile ed inerme distrutto dalla politica, che non è operativo da decenni? Senza peraltro pubblicare i bilanci in barba alle leggi sulla trasparenza e anticorruzione. Non abbiamo contezza dei rendiconti, forse neanche esistono, vorrei chiederlo alla Corte dei Conti regionale.

Questi commissari li abbiamo dovuti pagare noi attraverso le cartelle di Equitalia. In virtù del potere impositivo, gli agricoltori e tutti i cittadini in possesso di un terreno agricolo sono stati costretti a pagare, spesso ignavi, un obolo specifico a disposizione della politica per ottenere consenso, per costruire e alimentare clientele e compiacenze. Un vero e proprio finanziamento illecito e coattivo in favore dei politici calabresi di turno al governo.

Cosa è cambiato nel 2010?

L’arroganza del potere arriva al culmine quando, all’indomani dell’insediamento di Bilotta, nominato dal centrodestra che allora governava la Regione, si riaprì all’improvviso la partita del debito; lo stesso commissario dichiarò che il debito era almeno di 156 mln di euro, non più di 36 mln. A tale proposito sarebbe utile pubblicare le audizioni, oggi secretate, della commissione di vigilanza del consiglio regionale dell’epoca, con i due commissari che di fronte raccontavano la storia del disastro. In quelle carte ci sarebbero stati gli estremi per portare tutto in Procura, perché si stava scrivendo ufficialmente la storia dello “scandalo Mose” della Calabria.

Preciso, che in diverse occasioni Gargiulo informò la rappresentanza agricola che durante la sua gestione si era arrivati ai 36 mln attraverso trattative di saldo e stralcio con i fornitori, perché in alcuni casi riuscì agevolmente ad ottenere cospicui sconti. In ogni caso, resta paradossale assistere a due tesi completamente contrapposte senza arrivare ad una conclusione amministrativa supportata da un bilancio trasparente e soprattutto definitivo.

Un pozzo senza fondo, ed un sistema contorto che la giustizia tributaria non risolve in modo definitivo, quindi..

L’indignazione verso l’entità degli stipendi o le consulenze dei commissari è un aspetto grave ma pure superficiale della vicenda. Il problema non si può risolvere nel breve solo attraverso le commissioni tributarie, e la politica finora non ha avuto la forza di affrontare le conseguenze di questo scandalo, potenzialmente deflagrante, quindi bisogna elevare il livello del problema su un altro piano. Affrontare la situazione del Consorzio Sibari-Crati è come cambiare la Calabria, rivoltarla, pertanto si deve afferrare il toro per le corna.

Nelle sedi opportune, solleciteremo un intervento delle Autorità competenti, per vagliare in profondità le gestioni economico finanziarie di questi decenni e contemporaneamente metteremo alla prova i nuovi consiglieri regionali.

Insomma volete interrompere i numerosi giochi di potere in corso…

Nel passato agricoltori e cittadini hanno subito questa tangente occulta per finanziare le schifezze della politica, oggi si finanziano gli Enti gestiti da Coldiretti, che fatica a comprendere che i consorzi di bonifica sono una vera impresa economica, che come tale vanno gestiti, riorganizzando la pianta organica con criteri di efficienza e competenza e, soprattutto, spingendo sugli investimenti poiché ci sono ancora infrastrutture obsolescenti dell’epoca di Mussolini. Senza parlare del vorticoso giro di affari (parliamo di decine di migliaia di cause) che questa situazione genera a favore del settore legale a Cosenza; e dell’impatto drammatico sul lavoro delle Commissioni tributarie che sono oramai paralizzate. Bisogna uscire da questo ginepraio, che condiziona pure l’organizzazione del lavoro a livello di giustizia tributaria. Esistono gli strumenti normativi, ma devono essere applicati.

Senza una giustizia tributaria rapida l’economia complessiva nel cosentino affonda.

Cosa ci rimane di questa vicenda tutta calabrese?

Rimane la triste constatazione che in Calabria forse solo attraverso la giustizia penale si potranno ottenere le soluzioni ai problemi e che la politica finora non è riuscita a battere colpi, a reagire, ad individuare quelle sacche persistenti che tolgono forza e futuro alla regione.

Cosa chiede oggi il Presidente di Confcooperative?

Semplicemente, quanto detto, cioè di portare le carte in Procura, oppure di affiancare al commissario, un pool di giovani ufficiali in aspettativa dalla Guardia di Finanza e dai Carabinieri, per via della complessa e oscura matassa da sbrogliare.

Leggendo i soli verbali della commissione speciale di vigilanza, a mio parere, ci sono ampi spunti per aprire un’indagine approfondita.