La difficile divisione dell’impero Berlusconi e il nodo Mediaset: va venduta

(DI MARCO PALOMBI – ilfattoquotidiano.it) – Non paia irrispettoso parlare di soldi, ma la scomparsa di Silvio Berlusconi è un piccolo evento anche a livello economico e finanziario: Forbes quest’anno ha calcolato il suo patrimonio in 6 miliardi e mezzo di euro, probabilmente una cifra eccessiva, ma dà l’idea delle dimensioni in gioco.

Cosa succede ai molti beni del fu Cavaliere? Per saperlo bisognerà aspettare l’apertura del testamento, le scelte degli eredi e le mosse dei molti attori in campo. La partita si giocherà su Mediaset for Europe, che a parte il nome e la sede in Olanda non ha il peso per reggere sul mercato continentale, non ha trovato il modo di espandersi e vive di un business in via di consunzione. Più probabile diventi preda che cacciatore e tra i più interessati c’è Vivendi, azionista col 23% finora senza peso: i francesi sarebbero intenzionati a proporre un accordo complessivo col placet del governo, in cambio del via libera in Tim all’operazione “rete unica”. Ci torneremo, intanto va descritto il patrimonio di B. e la questione dell’eredità.

Al centro della galassia c’è Fininvest, la cassaforte di famiglia: la presiede Marina, che però ne possiede poco meno dell’8% come il fratello Pier Silvio, mentre i tre fratelli nati da Veronica Lario (Barbara, Eleonora e Luigi) hanno ciascuno una quota del 7% circa. Tradotto: Silvio Berlusconi, attraverso quattro società (Holding Italiana prima, seconda, etc.), ne controlla il 61%. È questo il vero “problema” dell’eredità: secondo un vecchio accordo che fece infuriare Veronica, la quota del padre andrà per metà ai figli di primo letto e per metà ai secondi. In sostanza, Marina e Pier Silvio insieme avranno di fatto il controllo di Fininvest: i figli minori, raccontano fonti finanziarie, sarebbero stati compensati con liquidità al momento della separazione Berlusconi-Lario.

Cosa controlla Fininvest? A parte immobili per 350 milioni di valore di libro (Villa Gernetto ad esempio), il Teatro Manzoni, il Monza calcio e altre cosette, il vero gioiello della corona è una partecipazione pura: il 30% di Banca Mediolanum, che vale 1,8 miliardi di euro (è a bilancio per 120 milioni). Poi c’è il 53,3% di Mondadori, colosso editoriale che – “ripulito” dai malmessi periodici e recentemente anche da Il Giornale – produce discreti utili e vale in Borsa oltre 500 milioni: è il parco giochi di Marina. Infine c’è il 50% di Mediaset for Europe (Mfe), basata in Olanda per rinsaldare il controllo societario, che ieri capitalizzava circa 1,6 miliardi con le sue attività in Italia e Spagna e la partecipazione del 29% nella tedesca ProSiebenSat: la tv che fu forza e bandiera della galassia Berlusconi, oggi ne è il punto debole. Gli utili ci sono ancora, ma i ricavi calano da un quindicennio e l’azienda è in fase declinante in un settore che declina con lei: la tv generalista col suo pubblico agée e i ricavi quasi tutti da pubblicità in Italia e Spagna. Mfe non è riuscita a crescere in Europa e non ha la stazza per reggere l’assalto dei grandi produttori di contenuti diventati broadcaster (Disney, Paramount) o delle nuove piattaforme (Netflix, Prime) divenute produttrici: il risultato è che rispetto agli utili Mediaset vale in Borsa la metà dei gruppi Tv europei paragonabili.

Cosa fare ora? Serve integrarsi in una grande media company continentale (era il senso dell’operazione Vivendi, che però tentò di scippare Mediaset al fondatore, che non la prese bene) o nuovi capitali per espandersi e sfidare i concorrenti, (potrebbero anche arrivare dal private equity, ha ipotizzato l’economista Alessandro Penati sul Domani): entrambe le opzioni prevedono che gli eredi Berlusconi cedano il controllo di Mfe e la guida industriale, oggi appannaggio di Pier Silvio. Questa opzione è giudicata quella più razionale dal mercato: non a caso ieri il titolo Mfe in Borsa è salito di quasi il 6%. Se invece la famiglia (Marina e Piersilvio sono per la continuità, i fratelli meno) decidesse di tenersi Mediaset com’è, l’azienda andrebbe incontro a un non troppo lento declino, sorte non certo rara per le imprese del capitalismo familiare italiano.

L’accordone? È in questo contesto che Vivendi, rimasta con le sue azioni bloccate dentro Mfe dopo la spettacolosa reazione del “sistema Italia” al suo tentativo di scalata nel 2017, potrebbe rientrare in gioco: i francesi, si dice, sarebbero disposti a lasciare soldi sul tavolo di Tim, dicendo sì alla vendita della rete a prezzi inferiori a quelli finora richiesti, in cambio del via libera a salire ancora in Mediaset. Giorgia Meloni dovrà gestire l’eredità politica dell’ex Cavaliere, ma forse dovrà occuparsi pure di quella economica. Certo, i rapporti tra lo squalo bretone Vincent Bolloré, il governo la famiglia Berlusconi sono oggi pessimi, ma non sarebbe certo il primo matrimonio d’interesse che si vede in giro.

E il resto del patrimonio? Oltre alle disponibilità liquide, non certo esigue, c’è quello personale desumibile dalla dichiarazione dei redditi depositata in Parlamento: direttamente intestati a Silvio sono appartamenti e box a Milano, Villa Due Palme a Lampedusa, un villone con parco ad Antigua, la storica Villa Campari a Lesa, sul lago Maggiore, tre yacht, qualche azione e il 99,5% della società Dolcedrago. Si tratta della holding immobiliare di Berlusconi, che – attraverso altre tre società – detiene proprietà a bilancio per 426 milioni, che diventano parecchi di più se si sceglie di calcolarle col prezzo di mercato.

La sola Villa Certosa in Sardegna è quotata 260 milioni e si dice che lo stesso Berlusconi abbia rifiutato offerte d’acquisto da 400: è probabile, volendo monetizzare, che si possa comprarla per mezzo miliardo. Poi ci sono villa San Martino ad Arcore, villa Belvedere a Macherio, la villa che fu di Zeffirelli sull’Appia antica, a Roma, villa La Lampara a Cannes, le case e gli uffici di Milano 2 (Segrate), terreni vari, box, eccetera. Parliamo di bei soldi, ma spartirli tra gli eredi sarà sicuramente meno complicato che decidere il futuro di Mediaset.