La mafia, lo Stato e la credibilità (di Saverio Di Giorno)

di Saverio Di Giorno

Parliamo di Matteo Messina Denaro. Di quello che ha detto e di quello che ha fatto in questi ultimi mesi. Parliamone perché è interessante. Perché le mafie sono organizzazioni che vivono all’interno dello Stato (e non contro!), in questa economia e se funzionano è perché sanno interpretare le regole dello Stato e dell’economia. Anche quelle sottaciute che abbiamo vergogna a dirci. E se funzionano meglio dello Stato e del mercato è perché risultano più credibili. Sì, credibili. E la questione Messina Denaro è soprattutto una questione di credibilità.

Intendiamoci. Non è una questione di essere abili strateghi, fini menti. Se riescono a farlo è proprio perché guardano agli istinti più elementari forgiati dal sistema socioeconomico. Lo interpretano inconsapevolmente spesso. Altre volte, come nel caso di Messina Denaro c’è anche consapevolezza e lo dice. Nell’ultimo interrogatorio reso al pm De Lucia a febbraio di quest’anno lui dice che alcune cose “non interessano alla magistratura” e dice anche “queste cose le leggeranno (…) finiranno sulla stampa”. Quindi a chi parla? A noi? Forse, ma soprattutto al suo territorio. Perché un capomafia ragiona solo nell’orizzonte del suo territorio, è là che si fa trovare, è là che ha legittimità. E là resta. E gli affari? Il riciclaggio di denaro? Gli investimenti nel mondo? Certo che servono. Il denaro serve. Il mondo ragiona con il denaro, per cui se vuoi dominare il mondo devi avere denaro. Ma il fine ultimo è il Potere, non il denaro. Altrimenti come si sopravvive decenni con una vita piccolo-borghese potendo volendo fare la vita da multimiliardario? “Comandare è meglio che fottere”, no? Dice il vecchio adagio. Questo almeno nella logica di quella generazione di mafiosi.

Io non collaboro, quindi sono credibile. 

E veniamo a quello che dice. Dice come tutti gli uomini d’onore che lui non è un uomo d’onore. La mafia non esiste d’altra parte. Guardatevi il maxi-processo di Palermo e nessuno dei boss dirà che esiste. Ovviamente. Invenzione giornalistica. E questo è già un insegnamento: non si parla. Mai. Non si collabora. Mai. Lo dice chiaramente “io non collaboro”. Il punto è il messaggio che passa. A lui non importa la condanna, sia perché sta morendo, sia perché lui ha già scelto consapevolmente una vita che gli darà o la morte o il carcere da parte dello Stato o a causa della latitanza. Dice “ho scelto la caverna”. E va bene così: il potere è tutto mentale. Lui però è credibile agli occhi di chi legge perché pur di perseguire il proprio scopo accetta i rischi (41-bis, morte, quello che è) a differenza di chi? Di chi collabora! Troppo facile. Degli uomini corrotti. Anche qui: facile avere solo i benefici senza i rischi. E la domanda è agli onesti: voi fino a che punto rimanete onesti? Cosa siete disposti a sacrificare per l’onesta? Io per le mie scelte sacrifico la mia vita. Quindi di chi vi fidate: di chi vi dice di essere onesti finchè ha il “culo” al sicuro o di chi è un criminale, ma in prima persona? Non importa che lo chieda consapevolmente o meno: ma è questo il messaggio che passa: fatevi un giro tra le chat, i commenti per le strade. Lo Stato sa e può controbattere?

La mia forza di capomafia non è mai venuta meno. 

Ancora poi continua. Il pm cerca di fargli dire degli uomini infedeli in divisa che lo hanno aiutato. Parlano del suo pseudonimo nei pizzini (si fa chiamare “Svetonio”) e ci tiene a sottolineare che se lo è inventato lui. E lui dice: “Dei miei canali non parlo, io non faccio di queste cose”. Non è un punto banale. Non fa di queste cose: ovvero non parla dei suoi rapporti. Questo è il motivo per cui la forza di ricatto permane a favore delle mafie. I capimafia riescono a mantenere i segreti anche per decenni al 41-bis e i segreti possono essere tramandati e gli uomini di Stato lo sanno. Gli uomini di Stato abituati agli agi saprebbero fare altrimenti? Saprebbero, pur di avere Potere, rischiare il carcere a vita o crollerebbero? Ecco allora chi vince il braccio di ferro. Ma c’è dell’altro perché dice: “mi avete preso per la malattia altrimenti niente”. E questo significa una cosa: il mio territorio, le mie coperture non mi sono venute meno. Non avete intaccato la mia forza, sono io che sono diventato debole. Vero o no per lui è importante dirlo. Non è mai una questione di verità. Lui sa che anche chi legge sa che dirà falsità. È sempre una questione di narrazione e di credibilità. Lui vuole sottolinearlo sia per rassicurare le sue coperture: siete al sicuro, so che non mi avete tradito, sia per dire a chi resta che il territorio è compatto e i rivali devono stare attenti a invadere un territorio che non è affatto terra di nessuno.

Le contraddizioni e la retorica

Poi cerca di togliersi le colpe dall’omicidio del piccolo Di Matteo e di Don Puglisi, perché sarebbe un’infamia. Sì, le vecchie pacchianerie e retoriche mafiose. Che servono, ancora una volta, alla narrazione. Lui appartiene a quella generazione. Era uno degli uomini di Riina che al maxiprocesso rifiuta il confronto con Buscetta “perché ha avuto troppe donne”. È chiaro: proviene dal sud: una terra moralista, bigotta e parla con quei codici. Con il codice nel quale vigeva l’omicidio d’onore. Sa che per uno del sud non sei credibile se sei disinibito, scialacquatore, se non sei etero, credente e casto. Non c’entra la verità, mai, c’entra la credibilità. E per uno di quegli anni e di quel territorio tra un gay, vestito eccentrico magari, che dice la verità e un omicida con una famiglia perbene ed educata i sospetti andranno sempre sul primo. “La Chiesa vive nel peccato quindi non voglio il funerale” rientra nella stessa logica: ma come tu chiesa che sei accusata di corruzione e pedofilia vieni a dirmi di essere onesto e mi scomunichi? Facile essere onesti e dire di onestà se vivi nello sfarzo. Sono i soldi che fanno l’onestà. Altro vecchio adagio delle carceri.

Andate a raccontare per le strade dove la gente ruba il posto di lavoro al fratello di essere onesti. Noi a questa vostra retorica di onestà e giustizia opponiamo la nostra fatta di riti, processioni e castità. Entrambe false, lo sappiamo tutti. Ma quale è meno odiosa, più accettabile? Noi siamo credibili perché quello che abbiamo lo abbiamo preso a nostro prezzo, voi quello che avete ve lo garantiamo noi e non sapreste tenervelo. Le cose non sono di chi sa prendersele, ma di chi sa tenersele.

Forse a noi potranno sembrare favole. Ma lui parla al suo territorio: saranno credibili le sue promesse e non quelle della maestra o del funzionario. Perché una maestra tiracchia uno stipendiuccio dovendo abbassare la testa e senza poter applicare fino in fondo gli insegnamenti di onestà, lui ha applicato fino in fondo le sue regole e ha ottenuto quello che voleva. “Che mi importa arrivare a 60 anni con 1000 euro al mese, meglio fino a venti con 20.000” dicono in alcune intercettazioni alcuni paranzini. Questa non è mafia: questo è capitalismo. E le mafie lo applicano senza retorica. Ad un ragazzino che ha abbandonato la scuola a 15 anni (il tasso di abbandono è altissimo in certe sacche) e che tutti gli raccontano che conta vincere ed emergere, ma lo Stato gli dà strumenti che non funzionano perché non ci crede nemmeno lui, mentre gli strumenti di Messina Denaro funzionano lui sceglierà sempre e solo l’altro. E quelle parole suoneranno esattamente in questo modo. Quando sapremo smontargliele dimostrando di essere fedeli ad i nostri principi avremo vinto.