Le 1024 nomine del governo Meloni: ogni giorno, tra Cdm e Cda delle partecipate, hanno ricevuto un nuovo incarico 2,5 persone

di Felice Florio

Fonte: Open (https://www.open.online/2023/12/08/nomine-governo-meloni-cdm-partecipate-mef/)

I politici devono vincere le elezioni per governare. Ai nominati, invece, basta trovarsi nel posto giusto con l’esecutivo in carica giusto. Si dirà che è il merito a guidare le scelte sulle poltrone da riempire. Lungi dal mettere in discussione la bravura dei nominati, tra le designazioni fatte nel 2023 ne emergono alcune che hanno caratteristiche singolari: un cognome di peso, una candidatura sfortunata, una simpatia personale o politica. Tra le pieghe delle nomine si può scorgere la Comédie humaine del potere italiano. E al gran galà delle investiture, quest’anno, l’unico invitato è stato il centrodestra.

Nei primi 410 giorni del governo, dal 22 ottobre al 2022 al 6 dicembre 2023, sotto l’egida di Giorgia Meloni sono state effettuate 1024 nomine dirette o indirette. Includendo lo spostamento di prefetti, le promozione di militari e l’affidamento di compiti diplomatici per il personale della Farnesina, ogni 24 ore, sono state investite di un nuovo ruolo circa 2,5 persone. Durante i Consigli dei ministri, dal primo al sessantunesimo, 392 nomi sono stati designati per i posti più disparati nelle maglie della burocrazia, degli enti pubblici e delle partecipate. A questi, si aggiungono 22 nomine passate per i rami del Parlamento, mentre 610 nomine rientrano nel grande capitolo delle società partecipate dal ministero dell’Economia. Sono 105 quelle i cui organi sono scaduti nel 2023, 19 a controllo diretto e 86 a controllo indiretto, per un totale di 94 consigli di amministrazione e 48 collegi sindacali rinnovati. Nel 2024, poi, occorrerà rinnovare gli organi in scadenza di un’altra trentina di società: un’infornata continua nel fuoco del settore pubblico che, in Italia, nessuna privatizzazione riuscirà mai a spegnere.

Nelle riunioni a Palazzo Chigi

I 61 comunicati pubblicati dopo ogni Consiglio dei ministri restituiscono la fotografia delle emanazioni secondarie del potere politico. Al valzer di prefetti, ordito dal capo del Viminale Matteo Piantedosi, hanno partecipato 104 invitati, tra nomine e spostamenti. Gli altri 288 cognomi che appaiono nei verbali di Palazzo Chigi, invece, afferiscono al movimento di diplomatici e a nomine di ogni genere: come personale ministeriale, nuovi gradi per le forze armate e per le forze dell’ordine, ma anche incarichi in istituzioni come la Banca d’Italia, l’Agenzia delle entrate, o nelle task force emergenziali. Seppure i posti da coprire possano sembrare tanti, i nomi da schierare, evidentemente, non sono abbastanza. Il primo dicembre, a meno di due mesi dal proprio insediamento, si verifica già un “doppio salto” di nomina. Claudio Galzerano, per cui il Consiglio dei ministri aveva deliberato la nomina a dirigente generale di pubblica sicurezza il 22 novembre, dieci giorni più tardi è stato chiamato da Piantedosi a ricoprire le funzioni di direttore centrale dell’immigrazione e della polizia delle frontiere. Ancora, ci sono le posizioni affidate a parlamentari di fiducia, come quella di commissario straordinario del governo per la ricostruzione dei territori colpiti, nel 2016, dal terremoto del Centro Italia: dal 12 gennaio, su proposta di Meloni, il ruolo è stato dato al senatore Guido Castelli, di Fratelli d’Italia.

Per il primo vero scivolone dell’esecutivo bisogna scorrere i verbali delle riunioni fino al 19 gennaio. Matteo Salvini conferisce l’incarico di direttore dell’Agenzia nazionale per la sicurezza delle ferrovie e delle infrastrutture stradali e autostradali a Roberto Carpaneto. Quattro Consigli dei ministri più tardi, il manager rinuncerà alla nomina: lui dirà «per motivi strettamente personali», la stampa parlerà di un potenziale conflitto di interessi. Il 9 marzo, un altro “doppio salto”: Bruno Frattasi, che nel secondo Consiglio dei ministri era stato nominato prefetto di Roma, viene collocato fuori ruolo affinché possa diventare il nuovo direttore generale dell’Agenzia per la cybersicurezza nazionale. Comunque, dalla rassegna dei comunicati saltano fuori anche alcune curiosità. Il nominato con il cognome più lungo, ad esempio: Antonio Tajani ha voluto come capo della missione diplomatica ad Hanoi, in Vietnam, tale Marco Cirillo Baldassarre Maria della Seta Ferrari Corbelli Greco Sommi. Ironia della nomina? Il suo predecessore, al contrario, mostra le generalità più comuni possibili: Antonio Alessandro. Il 20 aprile, poi, il primo dei grandi ripescati della politica. Il più volte ministro – l’ultima nel governo Draghi – Renato Brunetta viene nominato, su proposta di Meloni, presidente del Cnel. L’organo che, qualche mese più tardi, verrà coinvolto nella battaglia parlamentare sul salario minimo, bocciando la proposta delle opposizioni.

Guido Crosetto ha caldeggiato un paio di quei “doppi salti” che risaltano cercando i cognomi più ripetuti nelle nomine. Su sua proposta, Pietro Covino è stato promosso al grado di ammiraglio ispettore capo del corpo di commissariato militare marittimo, nel Consiglio dei ministri del 19 gennaio. Qualche mese più tardi, il 23 maggio, Covino riceverà l’incarico di presidente della cassa di previdenza delle forze armate. Stessa considerazione la ottiene la professoressa Fiammetta Salmoni. Nominata consigliera di amministrazione di Enel in primavera, nella lista presentata dal ministero dell’Economia, il 27 novembre sarà investita da Crosetto del ruolo di direttore generale dell’Agenzia industrie difesa. Poi ci sono le nomine che hanno raggiunto un’ampia diffusione mediatica. Il 27 giugno, per non affidare a Stefano Bonaccini il compito di commissario straordinario alla ricostruzione post alluvione in Emilia-Romagna, è riconvocato dalla classe politica il generale Francesco Paolo Figliuolo, che già era subentrato due anni prima a Domenico Arcuri come commissario per l’emergenza Coronavirus. Nello stesso Consiglio dei ministri, il numero 41, Fabio Panetta è individuato come successore di Ignazio Visco alla guida della Banca d’Italia.

Il 7 settembre, invece, si tiene il Consiglio dei ministri con il numero più alto di investiture: su proposta di Meloni infatti è deliberata la nomina al Cnel di 48 rappresentanti delle categorie produttive. In questa riunione di Palazzo Chigi, altri due “doppi salti”: Grazia Mirabile e Roberto Di Legami, proposti da Piantedosi come dirigenti generali di pubblica sicurezza a fine giugno, prendono servizio presso l’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata. Il 27 settembre, come successo per Salmoni, riceve un secondo incarico anche Marcello Sala. Inserito nel consiglio di amministrazione di Leonardo con la lista del ministero dell’Economia, Giancarlo Giorgetti lo propone come direttore generale del neonato dipartimento dell’Economia: sarà l’uomo delle privatizzazioni, a lui il compito di coadiuvare il Tesoro nelle valutazioni di cedibilità di diverse partecipazioni dello Stato. L’obiettivo di Giorgetti? Raggiungere quei 20 miliardi di privatizzazioni promessi in più anni.

La potenza economica delle società del Mef e i ripescati della politica

Secondo uno studio del centro studi Comar, i 403 consiglieri e i 207 sindaci delle società controllate direttamente o indirettamente dal ministero dell’Economia, i cui consigli di amministrazione sono scaduti nel 2023, dovranno gestire un fatturato complessivo di 189,9 miliardi di euro. Dagli ultimi bilanci, gli utili risultano essere pari a 10,6 miliardi. Ma ciò che rende davvero plastica la rilevanza di queste aziende è la forza lavoro di cui dispongono: considerando soltanto Enel e Poste italiane, ad esempio, il numero di dipendenti è pari a 187.702. Il ministero dell’Economia, insieme alle partecipate di secondo livello, tra cui primeggia Cassa depositi e prestiti, esercita un ruolo economicamente e numericamente preponderante nella gestione delle società pubbliche. Nel 2023, sono stati investiti dei ruoli di membri dei consigli di amministrazione o dei collegi dei sindaci – tralasciando le società di secondo livello – 50 persone nelle società quotate, sei nelle società con strumenti finanziari quotati e 64 nelle società non quotate del Mef. Gli altri ministeri, le Regioni, i Comuni e altri enti pubblici intermedi hanno partecipazioni indubbiamente più piccole. Ma è una ragnatela di potere dove ogni casella può essere utile alla politica. E ai politici che hanno smesso di ricoprire cariche elettive. Il 2023, dopo che il taglio dei parlamentari ha portato a una riduzione dei seggi nella XIX legislatura, ha visto particolarmente attivi Lega e Forza Italia.

Prendendo ad esempio la Sogin, che si occupa di gestione dei rifiuti radioattivi, nel consiglio di amministrazione nominato ad agosto fa il suo ingresso Fiammetta Modena. L’ex senatrice umbra era stata candidata dagli azzurri in un collegio considerato perdente. E infatti, il 25 settembre 2022, ha mancato il bis a Palazzo Madama. A inizio 2023, Modena aveva ottenuto comunque già un altro posto, sempre di nomina politica: il viceministro alla Giustizia Francesco Paolo Sisto l’ha assunta come capo segreteria. Sempre nel consiglio di amministrazione della Sogin, trova spazio Jacopo Vignati, segretario provinciale della Lega a Pavia, vicino al vicepresidente del Senato Gian Marco Centinaio. Il ricollocamento degli ex della politica nelle partecipate prevede un lungo elenco che coinvolge un po’ tutti, anche gli ex ministri del governo Draghi: Roberto Cingolani è nominato amministratore delegato di Leonardo. Nel consiglio di amministrazione della stessa società, tra le più ambite, ci finisce anche Trifone Altieri, ex deputato della Lega con un passato in Forza Italia. Anche Fratelli d’Italia ha uno dei suoi in Leonardo: tra i consiglieri della società, dal 2023, c’è Francesco Macrì, già capogruppo meloniano nel Consiglio comunale di Arezzo.

Fratelli d’Italia vanta anche come presidente dell’Istituto poligrafico e zecca dello Stato Paolo Perrone, ex sindaco di Lecce, e nel consiglio di amministrazione la dirigente di FdI Stella Mele. Anche la Lega ha il suo consigliere nella zecca, l’ex senatore Stefano Corti. Un altro ex di Palazzo Madama, sempre iscritto al Carroccio, è Paolo Arrigoni: mancato l’appuntamento con il terzo mandato, è chiamato al vertice della Gse, Gestore servizi energetici. Nel consiglio di amministrazione, Arrigoni siede con una sua vecchia collega, la senatrice non rieletta di Forza Italia, Roberta Toffanin. Ancora, c’è l’ex sottosegretario azzurro all’editoria Giuseppe Moles, nominato amministratore delegato della controllata di Gse, Acquirente Unico. Nel colleggio sindacale della società, come presidente, è cooptato l’ex deputato leghista Tullio Patassini. La lista degli ex politici che oggi guidano le partecipate vede, poi, Antonio Zennaro – Lega – consigliere di amministrazione di Consap. La presidenza del consiglio della stessa società è affidata al quattro volte deputato azzurro Sestino Giacomoni. Ancora, presidente del consiglio di amministrazione di Sogesid è Roberto Mantovanelli, leghista della prima ora che ambiva al ruolo di vicesindaco di Verona, prima della débâcle del centrodestra contro Damiano Tommasi. Un’altra leghista, Francesca Brianza, ha rimesso il mandato da consigliera comunale a Varese per presiedere la partecipata Equitalia Giustizia, posseduta al 100% dal Mef di Giorgetti.

Sport, cultura e salute

Oltre alle grandi partecipate del ministero dell’Economia, ci sono altre società a partecipazione pubblica che hanno raggiunto le cronache – e le polemiche – per le designazioni fatte dalla maggioranza. Molte di queste hanno a che fare con la cultura e lo sport. Caso emblematico è la Rai, dove Carlo Fuortes ha lasciato anzitempo il ruolo di amministratore delegato. Un passaggio molto ruvido e che vede avvicendarsi al suo posto Roberto Sergio, considerato in quota Fratelli d’Italia. Poi c’è stata la modifica del processo di nomina e della composizione della dirigenza del Centro sperimentale di cinematografia. Il consiglio di amministrazione, in disaccordo con l’intervento dell’esecutivo Meloni, ha rassegnato le dimissioni. Il fulcro della protesta è stata l’espropriazione al consiglio di amministrazione del potere di nomina del comitato scientifico che, passato da cinque a sei membri. Dalla scorsa estate, le designazioni sono attribuite direttamente ai ministeri della Cultura, dell’Università, dell’Istruzione e dell’Economia. La maggioranza nomina, la scorsa estate, ha nominato i sette membri del nuovo consiglio di amministrazione, presieduto da Sergio Castellitto.

C’è stato un gran parlare anche per le nomine ai vertici delle società che afferiscono al mondo dello sport. Beniamino Quntieri è stato scelto come presidente del consiglio di amministrazione dell’Istituto per il credito sportivo, ma è su Sport e salute che si è consumato uno scontro politico. Alla fine, il ministro per lo Sport Andrea Abodi ha ottenuto la nomina di presidente del consiglio di amministrazione per Marco Mezzaroma e quella di amministratore delegato per Diego Nepi Molineris. Per le opposizioni, la nomina di Mezzaroma è avvenuta «in conflitto di interessi»: l’accusa rivolta all’imprenditore romano è di essere cognato di Claudio Lotito, senatore di Forza Italia e numero uno della Lazio, con cui ha anche diviso l’esperienza a capo della Salernitana. Infine, altre questioni di parentela sono state sollevate per la sostituzione dei vertici dell’Istituto superiore di sanità. Alla guida dell’ente, sostituendo Silvio Brusaferro, è subentrato il professore ordinario di Chirurgia generale all’Università Cattolica, Rocco Bellantone. L’uomo proposto dal ministro della Salute Orazio Schillaci risulta essere cugino di Giovanbattista Fazzolari. Il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, tra le persone più vicine a Meloni, ha derubricato così la vicenda: «Io e Bellantone siamo parenti di quinto grado da parte di madre. Questa è la parentela che c’è tra noi. Certo, lo conosco bene e lo stimo, come in molti in ambito accademico, scientifico e politico».