Letta dagli occhi di tigre si crede Rocky, ma in realtà è… Alberto Sordi

(DI DANIELA RANIERI – Il Fatto Quotidiano) – In vista del campo larghissimo con dentro cani e porci (non è un’offesa: è un modo per dire “tutti dentro senza eccessive schizzinosità”, abbiamo molto rispetto e di cani e di porci), Enrico Letta si sta già renzizzando: “Io ho gli occhi di tigre. Chiederò a tutti i candidati di avere gli occhi di tigre”, ha detto. Altrimenti perché, se non per far sentire a casa il più grande sfornatore di slogan-baggianate d’Italia, raggiungere tali vette di albertosordismo?

Ma forse Letta vuole significarci qualcosa con codesta metafora. Scartato subito il richiamo alla tigre di Blake e alla sua “spaventosa simmetria” (figuriamoci, il Pd è il partito del midcult, mica della cultura vera), non resta che l’ovvia citazione pop di Rocky III: “Non puoi vincere, Rocky: quel tizio (la Meloni, ndr) ti fa secco nel giro di tre round! Ha la fame di un bulldog!”; poi Rocky si allena con la canzone The eye of the tiger e vince.

O vuole trasmettere il fuoco sacro di fare politica che lo abita, peraltro già evidentissimo col contributo di lotta di classe dato dal Pd al governo Draghi? O è un modo di mettere paura all’avversario, tipo danza maori della nazionale di rugby neozelandese?

Dalle parole di Letta non si cava molto. Le riportiamo testuali: “Occhi di tigre non sono una frase fatta, ma il modo col quale noi, che siamo consapevoli di essere dalla parte della ragione e siamo consapevoli anche che sarà da come gli italiani ci vedranno in azione che le nostre proposte diventeranno vincenti oppure no”. Mah.

Non avendo contatti diretti con chi gli cura la comunicazione, dobbiamo arrangiarci con le supposizioni. Esiste una pietra detta “occhio di tigre” che tiene lontana la iella; che Letta si sia dato alla cristalloterapia? È una cosa Zen, il verso di un haiku, un consiglio di Osho? Letta ha fatto l’i-Ching e gli è uscito l’esagramma 27 (“Scrutare in giro con occhi attenti come una tigre in brama insaziabile”)? È andato al bioparco e alla sezione grandi felini ha pensato “che paura gli occhi della tigre!, se ci fosse qui Giorgia Meloni si spaventerebbe moltissimo”? Ma poi perché la tigre, e non, ad esempio, il dragone, a proposito di brama insaziabile per il Pnrr e del brivido bollente suscitato dall’agenda Draghi? Forse è un rovesciamento del giaguaro da smacchiare di Bersani, lì dove la bestia era Berlusconi, mentre qui ci si imbestia per sbranare la destra (o il M5S?). Chissà. Ma magari è solo un titolo da gettare in pasto ai giornali, che infatti ci si sono avventati, non avendo il Pd uno straccio di programma (anzi ce l’ha: quello di Draghi-Renzi-Di Maio-Calenda-Bonino-Brunetta-Gelmini-Toti-Carfagna), come si avventarono il giorno del suo insediamento sulla formuletta “anima e cacciavite” (a proposito, dove stanno? Che ci ha fatto, Letta? L’anima l’ha data al governo Draghi, che ne abbondava, specie nei confronti dei poveracci, ma il cacciavite? L’avrà rubato qualcuno alla buvette?).

Naturalmente a nessuno viene in mente di chiedere a Letta (che di preferenza i manifesti li pubblica sul Foglio, il giornale più neo-liberista d’Italia, che però campa con gli aiuti statali), come mai finora ha remato contro il Reddito di cittadinanza e il Decreto dignità, e sul salario minimo è stato a dir poco reticente, e adesso parla impunemente di “agenda sociale” con quel po’ po’ di compagnia di giro.

Siccome si sentiva troppo sbilanciato sul marxismo-leninismo, per coprirsi un po’ a destra Letta dà del traditore” (della Patria) a chi non ha votato la fiducia a Draghi, e in un’intervista a Repubblica butta lì due intramuscolo mezze fasce, “serietà e patriottismo”.

Nel frattempo (su idea di Casini, pare) ha trovato un nome per l’assembramento promiscuo: “Democratici e progressisti”. È già qualcosa: non Autocratici e Conservatori, non Monarchici e Retrogradi, non Oligarchici e Misoneisti: Democratici (Meloni non è democratica?) e Progressisti (o piuttosto sviluppisti?). Un nome che andrebbe bene per qualunque formazione, perfetto per una lista che accoglie tutti, da Gelmini a Speranza a Fratoianni (quest’ultimo solo se Calenda vuole: forte del suo 0,4% alle ultime Comunali, detta lui le condizioni). Una nota seria in tanta pochade: ci si dispera perché con questa legge elettorale la destra avrà la maggioranza dei parlamentari e potrà cambiare la Costituzione. Ci si dimentica che dopo Berlusconi l’ultimo che voleva cambiare la Costituzione, in senso esecutivista e autoritario, è stato Renzi, che allora fu bloccato da 20 milioni di italiani, e che Letta adesso si rimetterebbe serenamente in casa.

Così alle prossime elezioni avremo l’imbarazzo della scelta: una destra guidata da una figlioccia di Almirante, a capo di un partito pieno di arrestati per ’ndrangheta e altre prelibatezze, o una destra centrista neo-liberista con scartine della politica e il santino di un banchiere nel portafoglio.