Lettera aperta: “Riprendiamoci l’ospedale di Lungro”

Riprendiamoci l’ospedale di Lungro

Si dice che, squadra che vince non si cambia; magari potrà finire un “ciclo”, ma si resterà sempre sulla scia della vittoria o persino nelle zone alte della classifica, perlomeno. Mai però in totale retrocessione…sarebbe un disastro! Cosa c’entri questo con una struttura ospedaliera, beh, lo possiamo dedurre dalla “nomea” che aveva l’ospedale di Lungro, negli anni ‘70, ‘80 e buona parte di quelli ‘90.

Quello di Lungro era un punto di riferimento sanitario, nel territorio dell’alto cosentino, che, oltre a dare gran lustro alla professione medica, risultava essere uno dei centri all’avanguardia della Calabria. Medici specialisti e un’organizzazione impeccabile, davano alle popolazioni del circondario, quella sicurezza in ambito ospedaliero, senza per forza, dover fuggire altrove per curarsi; nella semplicità e nella variegata classe sociale della gente del posto, fatta da persone dedite all’agricoltura, operai metalmeccanici e dipendenti di ogni genere, al lavoro nelle varie aziende del circondario, che almeno potevano contare su un punto di riferimento immediato, in caso di problemi di salute. Ma si sa, nulla può durare per sempre e così, dopo varie svolte politiche e situazioni in mano alla burocrazia, tutto questo è andato sempre più in decadimento.

Quella squadra che vinceva, ed era di grand’esempio per tutti, ha finito ahinoi, col retrocedere. Perchè non dare la colpa ai politici di turno, allora, che hanno grattato il sistema sanitario, erodendo le flebili possibilità di rinascita di una struttura ospedaliera? Potremmo, si, ma staremo sempre qui a lamentarci e non trovare una soluzione. Potremmo anche starcene ad ammirare, i virtuosismi, che arrivano da quelle agognate regioni del Nord Italia, alle quali siamo sempre attaccati, come quel bimbo alla gonna della madre. Potremmo, perché no, continuando a compiangerci, come facciamo puntualmente, perché tanto, in fin dei conti, stiamo tutti comodi nelle nostre casucce a coltivare il nostro piccolo orticello. Poi però, quando c’è un’emergenza sanitaria e troviamo le porte chiuse, dobbiamo prendere la nostra automobile, e senza pensarci su, mettere mano al portafogli e pagare. Quando invece, per una semplice visita di controllo di un nostro familiare anziano, o magari di noi stessi, potremmo rivolgerci tranquillamente alla struttura vicino casa e non, partire al mattino presto, per andare a non meno di sessanta chilometri, escogitando mille progetti e mille situazioni di disagio che ne vengono appresso. Perchè, una volta per tutte, non siamo noi, popolo di questo territorio così stupendo e così martoriato dalla politica, ad essere una voce unica che parla chiaro alle alte istituzioni, dicendo:

  1. vorremmo almeno l’attivazione di un Primo Intervento;
  2. vorremmo almeno la riattivazione di un ampliamento dei Laboratori (radiologia, ecografia, laboratorio analisi);
  3. vorremmo almeno l’attivazione dei Laboratori funzionali attivi;

Vorremmo almeno essere tutelati dal punto di vista sanitario e starcene tranquilli, in un territorio, dove l’età media è altissima e gli anziani, non hanno tutti, la possibilità di spostarsi. Forse, a chi ha progettato le grandi manovre nazionali e regionali, poco gli interessa se esistono ancora dei piccoli borghi, dove vivono degli esseri umani. Dove la gente si sveglia al mattino, senza lo stress della metropoli e dove l’aria è pura e sa di campagna. Non siamo mica tutti, progettati per vivere come nelle grandi città, con i centri commerciali e tutte le comodità annesse. La globalizzazione purtroppo, è anche questo: la vita standard in un mondo standard e senza differenze, perché quest’ultime sono difficili da gestire. Noi sappiamo vivere anche con poco e con l’antica arte dell’arrangiarsi.

Ma se curarsi è un diritto di ognuno di noi, beh allora, noi a quel diritto ci appelliamo, e come.  Parliamo tanto di rivalutazione del territorio, senza fare i conti con le vere realtà. E poi, come d’incanto, lasciamo che coloro che abbiamo eletto, si mostrino il contrario di ciò che pensavamo, manovrati da un potere più alto e ai quali niente e nessuno può dir qualcosa. Se nessuno parlerà dei propri problemi, tutti penseranno che vada bene. Ma bisogna parlarne, cercando di trovare anche una soluzione. Io in quell’ospedale ci sono nato e quand’ero piccolo mi sono anche curato. Io in quell’ospedale, ci sono andato con mio padre, quando era in funzione il pronto soccorso e non sono andato altrove, ma a due passi da casa. Io in quell’ospedale sono andato a farmi i prelievi in laboratorio e le visite specialistiche perché avevo esigenze, ma con la tranquillità di fare soltanto sei chilometri. Io in quell’ospedale sono andato a far visita ai miei parenti anziani che erano ricoverati, perché non c’era posto più bello che essere vicino casa. Io in quell’ospedale ho visto gente del nostro territorio, lavorare e sostenere una famiglia, perché quando tutto va bene, va bene per tutti…perchè una squadra che vince non si cambia… perché è la squadra stessa che ha voglia di far bene. Io ci credo!