Lettere a Iacchite’: “Cosenza, la concezione vecchia e superata della psichiatria”

Egregio direttore,

che la Calabria avesse un grosso problema con la sanità, purtroppo, è risaputo da tutti, ma ancora più disastrosa è la situazione inerente la salute mentale, sia in ambito pubblico che privato. Situazione che certamente non aiuta in un contesto in cui sopravvivono ancora molti pregiudizi e tabù.

L’approccio degli psichiatri al paziente è ben lontano da quello che si può vedere nei film dal momento che gli stessi non sono neppure in grado di effettuare una diagnosi indicando precisamente il disturbo di cui soffre un soggetto, come accadrebbe per una qualsiasi altra malattia fisica.

Ho avuto modo, purtroppo, di conoscere la realtà del reparto di psichiatria dell’ospedale di Cosenza, dove a un mio familiare, a seguito di ricovero volontario, è stato diagnosticato un generico “delirio” che potrebbe essere frutto di qualsiasi disturbo mentale, dal momento che i deliri caratterizzano la maggior parte dei disturbi in fase acuta, le psicosi, e i medici non si dedicano minimamente a parlare con i pazienti, non effettuando nessuna psicoterapia, né tanto meno indagano e chiedono dei sintomi, delle sensazioni che hanno portato quel paziente ad avere quel “delirio”.

Inoltre, considerato che si trattava dei primi sintomi di manifestazione della malattia, abbiamo chiesto che fosse effettuata una TAC cerebrale, ma non è stato fatto. Ed è evidente che neppure i medici stessi considerano la malattia mentale degna di essere curata come qualsiasi altra malattia fisica dal momento che in caso di mal di pancia o mal di testa, mi risulta che in genere, si cerca di individuare la causa di tale malessere con tutti gli strumenti di “indagine” necessari, non diagnosticando un generico “mal di pancia”.

Medici, in questo caso al Centro Salute Mentale, che pure a livello teorico sembrerebbero essere dei luminari dal momento che hanno pubblicato numerosi studi, che a seguito di alcune nostre osservazioni sull’efficacia o meno di un farmaco piuttosto che di un altro, affermano che “uno psicofarmaco vale l’altro”, come se le medicine per il diabete andassero bene anche per l’artrite reumatoide per esempio.

Infine neppure gli psicologi del reparto sanno cosa sia la psicoanalisi dal momento che assistere ad una loro seduta è l’equivalente di parlare e scambiare due chiacchiere con il paesano di turno al bar, dal momento che non indagano nulla sulla storia del paziente limitandosi a chiedergli “come va?”, “cosa hai fatto oggi?”. Insomma è triste constatare che scelgano di fare questo mestiere persone totalmente prive di umanità ed empatia, due caratteristiche sicuramente necessarie per la professione medica in generale, ma ancora di più nell’ambito della psichiatria.

Ancora esiste una concezione vecchia della psichiatria che considera la “follia” un unicum, concezione ormai superata di malattia mentale, data l’individuazione di molteplici disturbi mentali che possono caratterizzare fasi della vita di ognuno di noi.

In conclusione è triste constatare che, anche in questo ambito, la salute e la sanità si confermano essere beni di lusso, accessibili solo a coloro i quali possono partire e consultare medici di grande professionalità e fama altrove.

Lettera firmata