Lettere a Iacchite’: “Fridays for Future, bisogna prima cambiare se stessi”

Caro Direttore,

da passionario trentenne, non posso non guardare con favore il fervore delle nuove generazioni in difesa del nostro pianeta. I cinque punti che il movimento studentesco ha sottoposto al ministro Fioramonti sono apprezzabili e condivisibili a pieno. Tuttavia, il mio senso critico mi suggerisce di evidenziare alcuni aspetti tendenzialmente controversi. Questo movimento sta facendo sentire la sua voce a livello globale nei confronti del target generico dei potenti (politici, manager, imprenditori), che ovviamente avrebbero la facoltà, o forse il dovere di intervenire concretamente attraverso azioni politiche (leggi) o nuove rivoluzioni economiche (cambi dei modelli produttivi).

Facile pensare – con un po’ di malizia – che sia utopico credere che le classi dominanti intervengano a proprio sfavore, smantellando il sistema intrecciato di potere e profitto che tiene in piedi l’attuale neoliberismo. Il rischio qui è di convogliare le energie del movimento di protesta verso obiettivi irrealizzabili, o ancor peggio indurlo ad avallare false soluzioni proposte direttamente dalle industrie, le quali prevedibilmente punteranno a sostituire per esempio gli imballaggi di plastica con qualche altro tipo di rifiuti considerati meno dannosi, che alleggeriranno un po’ il problema ma manterranno in piedi problemi dovuti allo stoccaggio allo smaltimento e non ridurranno la produzione ed il consumo. Verosimilmente, nessuna soluzione efficacie verrà dai potenti.

La soluzione del dramma dell’inquinamento è nelle mani di ognuno di noi, ogni singolo cittadino. Proprio come enunciava Robertson, ripreso da Baumann, “Pensare globale, agire locale”: in queste quattro parole giace la soluzione al problema. Il sistema di produzione globale non cambierà per decreto o per divieto, soprattutto paesi come la Cina, l’India o il Brasile (ma anche gli Stati Uniti d’America) non rinunceranno alla loro rilevanza economica per amore del clima. Probabilmente ci illuderanno firmando accordi diplomatici ma non nella realtà chiuderanno gli occhi e non lo faranno, ci faranno mandare giù un placebo che ci farà sentire meglio. L’economia globale vive di consumo, più si consuma più una comunità è ritienuta in salute, eppure basterebbe una semplice analisi etimologica del verbo ‘’consumare’’ (usare qualcosa fino ad esaurimento) per comprendere che non si tratta affatto di un’azione positiva. La riduzione dell’inquinamento passa necessariamente per la riduzione dei consumi, boicottando la grande distribuzione, la produzione intensiva, gli scambi commerciali quotidiani sulle lunghe distanze e soprattutto privilegiando i piccoli commerci che offrono produzioni locali, insomma cambiare le nostre abitudini quotidiane. Sanare il pianeta non sarà indolore e se ci si aspetta che coloro che stanno distruggendo l’ambiente siano gli stessi che dovrebbero salvarlo, purtroppo – come razza umana – ci toccherà soccombere, tutti insieme, ricchi e poveri.
Il singolo individuo può fare tanto, tantissimo. Ci sono esempi pratici capaci di rovesciare l’attuale equilibrio di poteri, sfruttando il capitalismo per una volta tanto a nostro favore (proprio come suggerisce l’ex presidente uruguayano Pepe Mujica). Non acquistare più acqua in bottiglie di plastica, evitare i negozi di fast fashion, prendere la bicicletta, far perire colossi come McDonald’s che devastano intere aree del globo, porterebbe i sistemi produttivi all’obbligo di implementare diversi modelli di produzione o al collasso finanziario ed in più ridurrebbe in maniera importante le emissioni inquinanti giornaliere. Bisognerà resistere alle paure che verranno indotte negli individui: rischi di depressione economica, aumento dei prezzi, aumento della disoccupazione sono contrastabili con le iniziative produttive locali che riporterebbero la produzione di prossimità a piccola scala ad essere la soluzione conveniente, salutare e di qualità. La nostra responsabilità individuale è pesantissima, le nuove e le vecchie generazioni sbaglierebbero a sottovalutare la potenziale forza delle azioni collettive che passano dalle scelte di ogni singolo essere umano.

Lettera firmata