Lettere a Iacchite’: “Fuscaldo non è un paese per tutti”

Torno in Calabria, nel mio paese d’origine, Fuscaldo, dopo qualche anno di assenza.
È un ritorno pieno di aspettative, prima fra tutte quella di ritrovare i colori, i profumi, le persone care, quelle di sempre.
Niente può spegnere l’entusiasmo della partenza. Neppure la malinconia per l’assenza di chi non ritroverò.

Percorro una buona parte della penisola, scendendo a sud, pregusto i lunghi bagni, le passeggiate mattutine, il gelato serale.
Non viaggio da sola. Con me c’è mio marito, affetto da una patologia che lo costringe da un anno su una sedia a rotelle. Anche per lui sogno un’estate serena, perché io che ci sono nata, so che il mare a volte fa miracoli, ti riconcilia con te stesso.

Ma fin dal primo giorno mi accorgo che qualcosa si oppone alle mie, alle nostre aspettative.
Che il mio paese, Fuscaldo, non è un paese per tutti.
Che soltanto se sei “sano” puoi scendere in spiaggia, camminare per strada senza pericolo per la tua incolumità, sederti in un bar senza temere di aver bisogno dei servizi.
Mi accorgo, ci accorgiamo, che il mio paese non è un paese per tutti.

Perché non può essere un paese per tutti quel paese dove non esiste una passerella per far scendere in spiaggia i disabili, non è un paese per tutti quel paese dove un solo servizio pubblico su 5 ha un bagno per disabili, non è un paese per tutti quel paese dove i pochi accessi ai marciapiedi non sono segnalati e vengono impunemente resi inaccessibili dalle auto in sosta, quello dove l’assenza di marciapiedi agibili rende difficile anche la più semplice passeggiata.
E non è un paese per tutti, quello dove i diritti vanno chiesti come un favore a chi di dovere.
E così è trascorsa la prima settimana tra le telefonate in Comune per sollecitare la costruzione di una passerella a mare, e la ricerca affannosa di un interlocutore che non rispondesse con i soliti rinvii o ancor peggio con lo stupore di chi non si rende neppure conto del problema.
E con la prima settimana quell’entusiasmo che avevo nel tornare a casa, ha lasciato il posto all’amarezza e all’evidenza di trovarmi costretta a lottare per qualcosa che dovrebbe essere, ed in molti paesi lo è, un diritto ormai acquisito.

Di giorni ormai ne restano pochi alla fine di questa vacanza, mio marito lo lascio guardare il mare da lontano, spesso sotto un sole impietoso, dopo pericolose gimkane tra auto in sosta vietata, strade dissestate e qualche “distratto” in contromano.
L’unico punto dove può puntare le canne da pesca è un punto alla fine del paese, dove può arrivare soltanto se portato in auto. Lì c’è una rotonda che affaccia sugli scogli. Lì per un po’ può dimenticare i disagi, le umiliazioni, la mancanza di accoglienza che un paese come questo, che è il mio paese, gli ha riservato.

Scardamaglia Alessandro, disabile su carrozzina, marito della professoressa Santoro Tiziana, autrice della lettera