Mafia e carburanti, una miniera d’oro per i clan. Cafiero De Raho: “Evoluzione dei gruppi criminali”

Carabinieri e Guardia di finanza stanno eseguendo misure cautelari nei confronti di 45 persone nelle province di Salerno, Brescia, Napoli, Caserta, Cosenza e Taranto: le accuse sono associazione per delinquere con l’aggravante del metodo mafioso finalizzata alle frodi in materia d’accise e iva sugli oli minerali, intestazione fittizia di beni e società, e truffa ai danni dello Stato.

I carabinieri del Comando provinciale di Salerno e i militari della Gdf di Salerno e Taranto stanno conducendo in tal senso un’operazione coordinata dalle direzioni distrettuali Antimafia di Potenza e Lecce ed eseguendo due ordinanze applicative di misure cautelari personali e reali emesse dai rispettivi gip. Altre 71 sono le persone denunciate a piede libero nell’ambito delle stesse indagini.

Le attività investigative hanno dato modo di accertare l’infiltrazione del clan dei Casalesi e del clan Cicala nel lucroso mercato degli idrocarburi nei territori del Vallo di Diano (Salerno) e del Tarantino.

L’intervento di Federico Cafiero De Raho

“L’indagine sviluppa uno degli aspetti nei quali la criminalità si sta infiltrando, il campo della commercializzazione dei carburanti”. Lo sottolinea il procuratore nazionale antimafia, Federico Cafiero De Raho, intervenendo sull’operazione contro le frodi nelle accise e nell’Iva sui carburanti, condotta da Carabinieri e Guardia di Finanza di Salerno e Taranto, coordinati dalle Direzioni distrettuali antimafia di Potenza e Lecce. “L’operatività di due gruppi criminali si è evoluta in modo sinergico al punto da ampliare il contrabbando di petrolio, portando i profitti fino oltre i 30 milioni all’anno”, aggiunge.

La famiglia Diana in Campania è stata oggetto di interesse investigativo per il clan dei Casalesi – spiega ancora Cafiero de Raho – nel Tarantino operava invece un gruppo criminale di matrice mafiosa. C’è l’infiltrazione mafiosa attraverso prestanomi e quello del commercio degli idrocarburi è uno dei settori”.

Il ‘giro d’affari’ stimato era di 30 milioni annui trasformando, attraverso documenti, il gasolio agricolo in quello per autotrazione. “Parte dal deposito come gasolio agricolo e modifica la sua natura nei depositi commerciali – esemplifica – il carburante per autotrazione quando esce dal deposito commerciale, viene coperto da altra documentazione e finisce alle pompe bianche. Appena qualche giorno fa abbiamo parlato di come clan camorristici e ‘ndrangheta si siano dedicati al commercio dei carburanti, quello in cui hanno impiegato i loro profitti, un reinvestimento dei ricavi di provenienza delittuosa. L’operazione di oggi è di grandissima importanza”.

L’intervento del procuratore di Lecce, Leonardo Leone De Castris

“La criminalità tradizionale inizialmente si è orientata su estorsioni, traffico di stupefacenti e negli anni ’90 nel contrabbando di sigarette, che è stato per loro un polmone finanziario. Poi c’è stata una evoluzione, e si sono spostati nel traffico dei carburanti. Questa inchiesta svela la capacità di gruppi mafiosi nel riciclare il denaro. Siamo arrivati al sequestro di 10 aziende. L’indagine è stata portata avanti attraverso intercettazioni ambientali e telematiche e un attento esame dei documenti. Voglio sottolineare che la capacità e la trasparenza di quest’organo di polizia giudiziaria come la Guardia di Finanza, si è manifestata anche nella capacita’ di guardarsi dentro. Perché ciascuna amministrazione ha al suo interno le ‘mele marce’, ma quando si dà la dimostrazione di sapersi guardare dentro, è sempre un messaggio positivo”, ha spiegato il procuratore di Lecce, Leonardo Leone De Castris.

L’indagine e i retroscena

Una “vera e propria miniera di oro nero” sull’asse Campania-Puglia, con “rilevantissimi profitti” per i clan – quello dei casalesi e quello dei tarantini – che hanno raggiunto i 30 milioni all’anno. In 14 mesi di inchiesta Carabinieri e Guardia di Finanza hanno scoperto che “ingentissime quantità di carburante per uso agricolo”, che gode di agevolazioni fiscali particolari, venivano vendute “a soggetti che poi lo immettevano nel normale mercato per autotrazione, assai spesso utilizzando le cosiddette pompe bianche”. Tutto era preparato con accortezza: persino in caso di controlli ad un’autobotte l’autista azionava una pompa che erogava un colorante che “allineava il prodotto ai documenti esibiti”. Durante le indagini, gli investigatori hanno utilizzato “captatori informatici, dispositivi gps e microfoni ambientali”: è stato scoperto, secondo le Dda di Potenza e Lecce, un “pactum sceleris” fra una società di commercio di prodotti petroliferi e il clan dei Casalesi per creare un “avamposto” del gruppo mafioso nel Vallo di Diano, in Campania.

È un aspetto dell’inchiesta, quest’ultimo, che ha portato al sequestro di varie aziende che operano nel settore petrolifero, denaro contante, autocisterne, immobili e beni degli indagati per un valore totale di circa 50 milioni di euro. Uno degli imprenditori coinvolti, resosi conto che aveva perso il controllo della sua società, “ormai di fatto in mano” a un clan campano, ha rischiato di scatenare “una vera e propria guerra” (era stato assoldato un killer per uccidere il capo del clan, progetto poi abbandonato), evitata soltanto perché era “mutuo interesse” non provocare “eccessivi allarmi sulle attività illecite portate avanti, estremamente lucrose per entrambi le parti”. Durante l’inchiesta è stato scoperto anche un carabiniere “infedele” (riceveva taniche di gasolio che poi rivendeva in cambio di informazioni ai clan), che nel 2019 è stato trasferito dalla Campania a un incarico “non operativo”.