Mafia. Giuseppe Graviano: “Io e Silvio Berlusconi legati da un contratto di 20 miliardi”

«MAFIA, GIUSEPPE GRAVIANO: “IO E SILVIO BERLUSCONI LEGATI DA UN CONTRATTO DA 20 MILIARDI”»

di Lirio Abbate

Fonte: L’Espresso

Dicembre 1993. La fine dell’anno più drammatico della storia repubblicana, un mese prima del video con cui Silvio Berlusconi annuncia in tv agli italiani la sua discesa nel campo politico, il boss Giuseppe Graviano sostiene di averlo incontrato in un appartamento a Milano 3. Il mafioso palermitano era latitante e solo ora, dopo quasi ventinove anni, ne parla ai pm in un verbale di interrogatorio che risale allo scorso aprile. I due avrebbero parlato di affari, di comuni conoscenze e si sarebbero lasciati con un arrivederci, fissando un successivo incontro, il 14 febbraio, per definire l’accordo miliardario. Nel giorno di San Valentino, con Forza Italia già operativa, secondo lo stragista palermitano doveva essere formalizzato un patto economico con il futuro premier che si basava su una “carta” privata di alcuni anni prima. Un affare, sostiene l’ergastolano, ereditato dal nonno che assieme ad altri palermitani avevano “affidato” 20 miliardi di lire a Berlusconi in anni lontani.

L’appuntamento però saltò, perché Giuseppe Graviano venne arrestato il 27 gennaio 1994 a Milano. È il giorno prima di quello in cui Berlusconi comparve su tutti i telegiornali, seduto alla scrivania del suo studio della villa di Arcore, per lanciare il suo appello agli elettori in vista di «un nuovo miracolo italiano» e della sua intenzione di candidarsi al voto del marzo successivo con un nuovo partito da lui fondato, Forza Italia.
Uno scenario a dir poco inquietante. Il boss delle stragi, Giuseppe Graviano, che incontra a dicembre del 1993 Berlusconi a Milano e poi, il 21 gennaio 1994, come racconta il mafioso Gaspare Spatuzza, vede il fondatore di Forza Italia, Marcello Dell’Utri, al bar Doney di via Veneto a Roma.

Giuseppe Graviano, 58 anni, non è un pentito. È stato condannato definitivamente per le stragi di Falcone e Borsellino, per le bombe di Roma, Milano e Firenze, per decine di omicidi, fra cui quelli del piccolo Giuseppe Di Matteo e di don Pino Puglisi. Fino ad ora le sue dichiarazioni non hanno ancora trovato riscontro. Durante il processo alla ’ndrangheta stragista il boss aveva detto in aula che se avessero indagato sul suo arresto avrebbero trovato i veri mandanti delle stragi, che gli imprenditori di Milano erano interessati a che non si fermassero le bombe «e che gli stessi si identificavano in Silvio Berlusconi».

Ora i pm di Firenze gli chiedono: «Ci dica se Berlusconi è stato il mandante delle stragi?». Risposta: «Non lo so se è stato lui». Segue un lunghissimo “omissis” nel verbale.
Nei due interrogatori a cui è stato sottoposto Giuseppe Graviano, effettuati dai magistrati della procura di Firenze nell’ambito dell’indagine sulle stragi del 1993, racconta le collusioni economiche di Berlusconi e del suo amico Marcello Dell’Utri. Ma nulla di tutto quello che ha detto fino adesso è stato ancora provato. Le indagini sono in corso. E gli investigatori sono a caccia di documenti, in particolare di una “carta” a cui fa riferimento Graviano.

«Mio nonno, Filippo Quartararo, che lavorava nel settore ortofrutticolo, mi raccontò che aveva conosciuto Silvio Berlusconi attraverso un tramite il cui nominativo non conosco; Berlusconi gli aveva chiesto di operare un investimento di 20 miliardi di lire per le sue attività, con l’intesa di una partecipazione al venti per cento a tutte le attività ed ai proventi derivanti da tale investimento. Mio nonno non aveva questa cifra così esosa, ne ha parlato con mio papà. E allora si rivolse ad alcuni conoscenti coinvolgendoli nell’operazione. Mio nonno investì l’importo di quattro miliardi e mezzo di lire; le altre persone che investirono denaro insieme a lui erano Carlo Alfano, per l’importo di dieci miliardi di lire, poi Serafina, moglie di Salvatore Di Peri, Antonio La Torre detto Nino il pasticcere e Matteo Chiazzese, per l’importo residuo», spiega a verbale Graviano.

Il racconto dello stragista, che non è un dichiarante e nemmeno un dissociato da Cosa nostra, viene passato al setaccio dai pm fiorentini, Giuseppe Creazzo, Luca Turco e Luca Tescaroli. Cercano riscontri e prove alle sue affermazioni e deleghe di indagine sono state fatte agli investigatori del centro operativo di Firenze della Direzione investigativa antimafia.

Una cosa però è certa, l’obiettivo di Giuseppe Graviano e quello di suo fratello Filippo è la ricerca di una via d’uscita dal carcere, senza passare per la collaborazione con la giustizia, ma attraverso altri stratagemmi giudiziari, compreso l’annullamento dell’ergastolo ostativo e l’attacco del 41bis, il carcere impermeabile. Giuseppe sta facendo di tutto per lasciare la cella, come spesso ha promesso di fare al figlio Michele, concepito venticinque anni fa nel carcere dell’Ucciardone.

E chissà cosa ha scritto il boss stragista alla ministra della Giustizia, Marta Cartabia, in una lettera che ha inviato subito dopo il suo insediamento.
In più occasioni Giuseppe Graviano ha fatto riferimento ad un accordo sottoscritto da suo nonno e altri siciliani con Silvio Berlusconi, volto a regolare alcuni aspetti economici che vedevano coinvolti sia l’imprenditore milanese, poi diventato anche capo del governo, sia la cordata di palermitani riconducibili al nonno del boss. Graviano ne ha parlato davanti ai giudici di Reggio Calabria e ai pm di Firenze in due interrogatori che L’Espresso ha letto. Parla di fiumi di denaro liquido girati a Berlusconi, il quale avrebbe dovuto, secondo Graviano, a fronte dei 20 miliardi di lire versati, corrispondere un ritorno del 20 per cento sulle somme investite. E su questo accordo ci sarebbe «una carta scritta», ovvero una carta privata nella quale sarebbe contenuta non solo l’indicazione di quanto investito, ma anche l’assunzione formale da parte di Berlusconi, dell’impegno di rispettare gli accordi in merito alla riconsegna dei soldi con gli interessi.

Rispondendo alle domande del pm, Graviano ricostruisce gli scenari economici della sua famiglia che coinvolgono l’ex cavaliere: «Mio nonno mi ha raccontato questa vicenda dopo la morte di mio padre avvenuta il 7 gennaio 1982; egli mi disse che mio padre non aveva voluto sapere nulla di questa situazione e mi chiese di occuparmene insieme a mio cugino Salvatore Graviano con il quale ci siamo rivolti a Giuseppe Greco, il papà di Michele (il papa di Cosa nostra ndr). Ad entrambi ho chiesto consiglio, raccontandogli tutta la storia dei rapporti tra mio nonno e Berlusconi». Ma quando i pm gli chiedono se Giuseppe e Michele Greco hanno fatto parte di Cosa nostra, Graviano risponde: «Sul punto non intendo fornire indicazioni».

Con la benedizione del “papa” della mafia, Graviano dice di essere andato a Milano in compagnia del nonno e del cugino Salvatore per incontrare Silvio Berlusconi all’hotel Quark. Un incontro ancora da provare. Dopo aver fatto conoscenza con il cavaliere «mio nonno ha consegnato a mio cugino Salvatore una “carta” che mi ha mostrato: era firmata da Berlusconi e da tutte le persone che avevano effettuato l’investimento e prevedeva l’impegno di condividere il 20 per cento di quanto era stato realizzato con l’investimento iniziale. La carta era stata predisposta da un professionista, non so dire se un notaio, un avvocato o in commercialista». Sbuca così un nuovo “papello”.

Un documento sulle cui tracce si sono messi gli investigatori delegati dalla procura di Firenze. Graviano dice di aver visto questa “carta”. «È ancora esistente questo documento», spiega il boss ai pm, «ed è ancora conservato. Un giorno spero di poterlo recuperare». Il pm Luca Turco chiede: «Perché non lo dice a noi e ci mette nelle condizioni di recuperarla questa carta?», e il boss risponde: «No, perché devo coinvolgere delle persone che io non vorrei coinvolgere […] per adesso non vi posso aiutare su questo punto. Se mi volete credere mi credete…». E poi aggiunge: «Questo documento era in possesso di mio cugino Salvatore; mi devo sentire con dei miei parenti che devono mettermi nelle condizioni di recuperare il documento; non ho interesse a recuperare il denaro, ma solo a far rispettare l’impegno e a far emergere la verità».

Lo scorso mese gli agenti della Direzione investigativa antimafia di Firenze hanno fatto irruzione in diverse abitazioni dei familiari di Giuseppe e Filippo Graviano, alla ricerca di documenti. Sono andati a controllare negli immobili a Palermo e provincia e a Roma che sono nella disponibilità di Rosalia Galdi, moglie di Giuseppe Graviano, e anche in quelli di Francesca Buttitta, moglie di Filippo Graviano. E poi negli appartamenti di Michele Graviano, figlio di Giuseppe, a Palermo e Rovigo. E pure in quello a Roma di Nunzia Graviano, sorella dei boss. Sono stati acquisiti una serie di documenti che potrebbero essere utili all’indagine, compreso il contenuto di alcuni computer.

Ed ai pm spiega: «L’intendimento mio e di mio cugino è sempre stato quello di ottenere da Berlusconi la formalizzazione dell’accordo. L’ultimo incontro che ho avuto con Silvio Berlusconi è avvenuto nel dicembre 1993 nel corso del quale ci accordammo per formalizzare l’accordo di partecipazione societaria davanti ad un notaio per la data del 14 febbraio 1994». L’ultimo incontro «avvenne in un appartamento a Milano 3 che Berlusconi aveva messo a disposizione di mio cugino Salvo; Berlusconi era accompagnato da due persone di cui non so riferire niente». E descrive l’appartamento: «Era piccolo, forse un paio di stanze, al primo o al secondo piano di una palazzina, c’era l’ascensore. Dalla finestra si vedeva una caserma dei carabinieri, sul davanti della palazzina la strada si attraversava per il tramite di un ponticello (ve n’era più di uno) che conduceva ad uno spazio antistante ad una piscina e più avanti vi era un albergo e un esercizio commerciale». Gli investigatori mostrano a Graviano alcuni video girati a Milano 3. «Il residence che ho appena visionato nelle immagini è quello che ho indicato, anche se non riesco a individuare esattamente l’appartamento».

Sulle frasi registrate in carcere per quasi due anni mentre Graviano parla con un altro detenuto, adesso ha confermato ai pm che si riferiva a Berlusconi. E spiega tutto. In quelle conversazioni dice: «Nel 2009 mi sono stato zitto al processo», riferito al processo d’appello a Marcello Dell’Utri. I pm chiedono adesso: «Cosa avrebbe detto in quell’occasione?». «Avrei potuto rendere dichiarazioni sulle stesse circostanze che vi ho riferito in ordine ai rapporti economici con Berlusconi. Poiché mi viene evidenziato che in tale racconto non vi è alcun riferimento a Dell’Utri, rappresento che comunque un legame sussiste». Parola del boss.

E in carcere diceva: «I veri intrighi di Berlusconi, quelli veri li sa Dell’Utri». I magistrati adesso chiedono a quali veri intrighi fa riferimento, e lui risponde: «Il riferimento è alle attività opache delle società di Berlusconi». Un altro passaggio di quattro anni fa, sempre in carcere, Graviano affermava: «Non hai fatto niente e ho aspettato fino adesso perché ho 54 anni e i giorni passano, gli anni passano, sto invecchiando eh no, tu mi stai facendo morire in galera… senza io aver fatto niente. Che sei tu l’autore… io ho aspettato, senza tradirti, ma ti viene ogni tanto in mente di passarti la mano sulla coscienza se è giusto che per i soldi… tu fai soffrire le persone così». E anche su questo passaggio i pm chiedono: “Graviano, lei riconosce come proprie queste affermazioni? Si riferisce a Berlusconi?». E il boss è secco nella risposta: «Sì». Le microspie riescono a registrare le parole che Graviano sussurra all’orecchio del compagno di ora d’aria e dice: «In quel periodo c’erano… i vecchi, elezioni ri (di ndr) vecchi […] e lui […] anzi meglio, anzi, lui mi dice: “ci volesse una bella cosa” (ci vorrebbe una cosa bella ndr)». Si riferiva a Berlusconi? E anche in questa trova conferma: «Sì».

Tornando ai soldi, una parte della rendita dell’investimento, secondo Graviano è stata pagata a suo cugino Salvo (deceduto qualche anno fa) direttamente da Berlusconi, il quale gli avrebbe consegnato 500 milioni di lire. «Mio cugino investì il denaro nella Iti caffè che stava andando in fallimento. Un’altra consegna è avvenuta quando è stato dato del denaro a Baiardo (favoreggiatore di Graviano ndr) per acquistare un appartamento ad Omegna. Nelle varie occasioni Berlusconi ha incontrato mio cugino Salvo dandogli il denaro in contanti». E poi aggiunge: «Sono convinto che io e mio cugino Salvatore siamo stati arrestati per impedirci di formalizzare l’accordo economico con Berlusconi, e le stragi sono cessate per addossare tutte le precedenti a me». Di più Graviano non dice. Gli inquirenti sono al lavoro. E nel frattempo Berlusconi è candidato al Quirinale.