Marco Travaglio scoperchia i segreti (di Pulcinella)

(Marco Travaglio – Il Fatto Quotidiano) – Giornalisti e politici che non capiscono niente, o capiscono fin troppo bene, si stracciano le vesti per lo scandalo degli accessi abusivi alle banche dati della Procura nazionale antimafia e intanto esultano per la condanna in appello di Davigo per rivelazione di segreti (i verbali dell’avvocato Amara sulla Loggia Ungheria) ai vertici del Csm e al presidente della commissione Antimafia. Nordio vuole una commissione d’inchiesta, come se non ci fosse già abbastanza casino, e intanto abolisce l’abuso d’ufficio che è proprio il reato principale di chi s’intrufola nelle banche dati per scopi non istituzionali. Polito el Drito (Corriere) equipara le accuse al finanziere Striano, al pm Laudati e a tre cronisti di Domani a quelle a Davigo, infilandoci pure De Raho, mai sospettato di nulla. E quei gran geni del Foglio titolano: “L’unico dossieraggio per ora è quello di Davigo”. Due autogol clamorosi. Purtroppo per lorsignori, i due casi sono diametralmente opposti. Anzi ciò che sta accadendo sull’inchiesta di Perugia dimostra che Davigo non commise alcun reato (né tantomeno dossieraggio), anzi fece solo il suo dovere.

Avvertito dal pm Storari che i capi della Procura di Milano da mesi non iscrivevano nel registro le gravi accuse di Amara per verificarle, Davigo ne informò i vertici del Csm perché riguardavano vari magistrati (quelli accusati da Amara e quelli accusati da Storari); ma, siccome fra essi c’erano pure due membri del Csm, non lo fece con un’informativa scritta erga omnes, per evitare che i due sospettati sapessero delle accuse a loro carico. Infatti i verbali li distribuì solo a personaggi tenuti al segreto (che infatti non è opponibile ai membri del Csm) e non vennero a conoscenza dei sospettati né dei media. Ma solo di chi doveva conoscerli, su su fino al presidente Mattarella (informato dal vicepresidente Ermini, che nessuno si è sognato di indagare né condannare per rivelazione dello stesso segreto). Ora il procuratore di Perugia Raffaele Cantone, in barba alla tragicomica legge sulla presunzione d’innocenza, parla in seduta pubblica all’Antimafia rivelando un sacco di particolari della sua indagine (segreta) e fa capire che ce n’è pure un’altra gemella a Roma (ancor più segreta: non c’è stato neppure un invito a comparire) su altri accessi per altri giornali. E lo stesso farà al Csm, visto che anche qui c’è di mezzo una toga. Qualcuno lo indagherà per violazione del segreto? O lo accuserà di fare “dossieraggi”? Si spera di no: la gravità istituzionale del caso Striano&C., come del resto quella del caso Amara&C., giustifica ampiamente l’informativa all’Antimafia e al Csm. Ma condannare chi preserva un segreto e contemporaneamente lodare chi lo divulga a tutta Italia che cos’è: uno scherzo?