Massomafia, ecco come i “fratelli” vogliono neutralizzare il sempre più pericoloso Petrini

La vicenda giudiziaria che vede come protagonista il giudice Marco Petrini, presidente della Seconda Sezione della Corte d’Appello di Catanzaro, finito in manette il 15 gennaio scorso nell’operazione denominata “Genesi” su ordine del Gip del Tribunale di Salerno, per corruzione in atti giudiziari, meriterebbe la ribalta nazionale. E questo perché la vicenda contiene tutti gli argomenti e tutti i personaggi tipici del più classico “inghippo all’italiana”. Ovvero la storia di un potente fratello massomafioso, detentore di inconfessabili segreti che, finito in disgrazia, decide di pentirsi ed inizia a raccontare agli inquirenti del sottobosco da lui frequentato, popolato da massoni deviati e ‘ndranghetisti che da anni controllano, muovendosi all’interno e all’esterno delle istituzioni, ogni aspetto della vita pubblica della nostra regione. “Un copione” dove non manca niente: cappucci, compassi, toghe, bustarelle, coppole, pistole, il tutto avvolto da un tenebroso clima di ombre che tanto piace ai cronisti di nera, ma non in questo caso. Il caso Petrini per la stampa è quasi tabù. E questo ci dice una cosa sola: su tale storia aleggia il lato oscuro del potere. E questo fa paura. Meglio stare alla larga da certe inchieste. Specie se il “consiglio” arriva dai fratelli. Limitarsi alla velina è l’unico modo per stare tranquilli.

Nell’affaire Petrini, come nei tanti misteri d’Italia, il dietro le quinte è di tutto rispetto, ad essere coinvolte in “prima persona” le logge massomafiose segrete cosentine e catanzaresi considerate tra le più potenti d’Italia, con un problema comune: tappare la bocca a chi sta mettendo a rischio la loro segretezza. La presenza dello “stato parallelo” si deve solo percepire, la segretezza è la loro prima regola: nessuno al di fuori dei fratelli, deve sapere da chi è composta la Loggia. Ed è proprio in questo concetto che è racchiusa la loro forza. La segretezza della loro identità non va tradita. E Petrini con i suoi racconti ai pm di Salerno ha infranto la più sacra delle regole: ha svelato i nomi dei fratelli che compongono la sua Loggia segreta. Un guaio a cui bisogna porre subito rimedio.

Petrini, dopo il suo arresto, ha raccontato al candido procuratore aggiunto Luca Masini titolare dell’inchiesta, tutte le sue malfatte, rivelando tutti gli episodi di corruzione di cui si è reso colpevole. Parla di giudici corrotti e avvocati intrallazzoni, fa i nomi di mezza Calabria, parla della Loggia e dei suoi componenti, tira in ballo politici e professionisti accriccati. Racconta di aver truccato sentenze dopo essere stato corrotto da alcuni avvocati. Del resto non può negare, gli investigatori lo hanno ripreso mentre intasca le bustarelle. E’ tutto visibile nei video: i regali, le bustarelle, gli incontri amorosi con l’avvocatessa. Di fronte a questo non ha problemi a parlare Petrini, la paura della cella gli toglie il respiro. Dice ai suoi ex colleghi che è disposto a raccontare tutto, e sottoscrive centinaia di pagine dove fa nomi e cognomi. La notizia che Petrini canta trapela quasi subito, nonostante le attenzioni del candido sostituto procuratore Masini che ce la mette tutta ma non ce la può fare, le lunghe orecchie dei fratelli arrivano dappertutto, e scatta l’allarme: bisogna fermare Petrini. Ha parlato già troppo. L’ex giudice è diventato un problema che va risolto. E presto. Perché anche se non ha nessuna speranza di farcela il niveo Masini non si arrende, e continua a pressare Petrini che seguita a cantare che è una meraviglia.

Si potrebbe risolvere il problema alla Sindona offrendogli “un bel caffè”, oppure simulando un “bel suicidio” alla Pantani. Ma questo, coi tempi che corrono, è molto rischioso. Spargere “sangue” non conviene, accenderebbe enormi riflettori sul caso, e insabbiare, quando hai gli occhi di tutti puntati addosso, diventa difficile. E il “caso Petrini”, seppur circoscritto alla nostra regione, nel fantastico mondo dei social, ha già un suo pubblico. Il caso appassiona. L’intrigo c’è tutto. E la curiosità di sapere come va a finire non fa cambiare canale. Un bel guaio muoversi per chi deve risolvere il problema, in questa situazione.

Un modo c’è per neutralizzare Petrini senza ricorrere all’eliminazione fisica, ma serve l’aiuto di tutti i fratelli.

Basta ricorrere ad un vecchio metodo usato tanto dai servizi segreti deviati: rendere il testimone inattendibile internandolo in qualche manicomio, e siccome i manicomi, oggi, per fortuna sono chiusi, bisogna trovare un altro luogo. E cosa c’è di meglio di un bel convento con tanti fratelli pronti ad ascoltare il suo sincero pentimento e riportarlo sulla retta via? Il luogo perfetto. Così i fratelli contattano la famiglia del giudice Petrini e gli chiedono di portare al povero fratello caduto in disgrazia, questo messaggio di speranza. Se lui accetta di pentirsi di essersi pentito, la strada è già spianata, all’ufficio Gip di Salerno ci sono diversi fratelli disposti a neutralizzare il lavoro del filiforme Masini che continua a voler imitare il Davide che sfidò Golia, nonostante la consapevolezza di un finale diverso da quello dell’episodio biblico. Il povero Petrini è confuso, stressato, ansioso. Per un giudice finire in galera deve essere dura più di chiunque altro. Ritrovarsi nello stesso luogo dove hai spedito tante persone, non deve essere una situazione facile da affrontare. E così Petrini si piega al volere dei fratelli e accetta di finire in convento.

Ora c’è il problema più importante da affrontare: come neutralizzare i tanti verbali rilasciati da Petrini. Anche qui arriva la soluzione. Nel percorso di riavvicinamento a Dio, bisogna trasformare Petrini in una specie di zio Michele di Avetrana, quello che un giorno diceva “ho stato io” il giorno dopo “hai stato tu”, e il giorno dopo ancora, “ha stato il trattore”. Un matto inaffidabile che cambia versione ogni giorno. Un mitomane inattendibile al pari di zio Michele. Questa è la strada da percorre se l’ex giudice vuole avere qualche possibilità di uscirne indenne. E così Petrini, pressato dai fratelli che gli promettono la vita eterna, inizia a ritrattare.

Ma il giudice è prostrato, confuso, debilitato, esaurito, consumato, la sua nuova condizione lo ha snervato, non è lucido e nel ritrattare dice tutto e il contrario di tutto. Fornisce nuove versioni che cozzano non solo con la logica, ma soprattutto con i riscontri oggettivi in mano al meticoloso Masini. Chiunque al posto del dottor Masini arrivati a questo punto avrebbe gettato la spugna, ma non lui. Petrini è talmente confuso che arriva a giustificare l’ingiustificabile, il che prova la pressione che ci sta dietro le sue “nuove confessioni”, adducendo motivi alle sue ritrattazioni che solo un altro giudice corrotto quanto lui può ritenere validi. In una frase riesce a pronunciare una sorta di “ossimoro etico” che ha dell’incredibile, una vera e propria espressione di lucida pazzia, dice Petrini: “Anche se ho accettato soldi o oggetti, le mie decisioni non sono mai state contrarie alle mie convinzioni tecnico-giuridiche”. Come a dire: mi prendevo i soldi ma poi facevo di testa mia seguendo sempre la Costituzione, la Legge, il Codice, e l’Onore che si deve alla toga. Un modo bizzarro per giustificare le bustarelle filmate dai finanzieri.

In sostanza i fratelli gli hanno consigliato di dire che lui più che un corrotto, era un truffatore, prometteva soluzioni ad avvocati e professionisti senza però mai andare contro i doveri d’ufficio. Se coincidevano con quelli del truffato bene, altrimenti chi se ne frega. Una giustificazione che più assurda non si può. Nessun giudice al mondo crederebbe a questa versione. È chiaro che Petrini è minacciato dai fratelli, e costretto a ritrattare, ma le difficoltà di fronte alle immagini che l’immortalano mentre intasca le bustarelle, sono insormontabili. Qualsiasi “scusa” risulta inutile. Petrini pazzo o non pazzo era un giudice corrotto che ha venduto sentenze a tanto al chilo indisturbato per tanti anni. E tutto quello che ha raccontato all’impavido (che non ha nessuna speranza di vittoria) Masini subito dopo il suo arresto, è l’unica verità possibile. La prima confessione non si scorda mai, ed è sempre quella giusta.

Se Petrini c’è o ci fa perché costretto lo capiremo con certezza quando si troverà faccia a faccia con l’avvocato Manna nell’incidente probatorio chiesto dall’angelico Masini, che altro non può fare che affidare le sue già scarse speranze di vittoria a qualche santo nell’alto dei cieli. Capiremo la sua reale condizione di ostaggio quando sarà costretto a tirare fuori un’altra assurdità per giustificare il contenuto della bustarella che gli ha passato l’avvocato Manna.

La partita sembrerebbe già chiusa. La potenza della massomafia non si batte, ci toccherà vivere sempre sotto il loro giogo, ma noi come il mitico Masini senza speranza, non ci arrendiamo, e insieme a lui vogliamo andare fino in fondo, perché in questa storia dove sta la verità salta agli occhi, e non può essere ignorata specie da chi sarà chiamato a giudicare le parole di Petrini. Resteremo in campo finché l’arbitro non fischierà la fine della partita. E anche oltre se sarà necessario. Non ci volteremo dall’altra parte. Questa è la nostra partita e la giocheremo fino alla fine. E non è detto che in un fortuito contropiede non si riesca a fare gol.

P.S. tutto questo sta accadendo nel totale silenzio del pavido ministro Bonafede, che come sempre si tiene lontano dalle questioni calabresi.