‘Ndrangheta a Roma: il clan puntava anche i supermercati Elite

di Ilaria Sacchettoni

Fonte: Corriere della Sera

Vincenzo Alvaro, l’aiuto cuoco venuto da Cosoleto (Reggio Calabria), fiutava affari all’interno della grande distribuzione romana. Business complementare a quello ormai infiltrato della ristorazione. La catena di supermercati Elite, con i suoi punti vendita nei quartieri borghesi della Capitale, stuzzicava lui come i suoi soci in affari.

Giuseppe Penna, l’intermediario che lavora per procurare ad Alvaro sempre nuove attività, si dà, allora, da fare affinché la «Zio Melo srl», una sua controllata (il cui socio occulto è Alvaro stesso), subentri in affari con i supermercati in questione: «Senti…ma voi fornite qualche panificio che si chiama Elite?…eh…se lo fornite… già… qualche panificio che si chiama Elite» domanda a Giovanni Palamara (tra gli arrestati di martedì scorso) ad aprile 2016, quando il suo telefono è già monitorato dall’Antimafia capitolina. «Penna — è scritto nell’ordinanza del gup Gaspare Sturzo — spiegava a Palamara che nelle vicinanze della sua abitazione stavano ristrutturando un supermercato della catena Elite ed i lavori di ristrutturazione dell’immobile li stava eseguendo un suo amico, tale “Roberto”, grazie al quale sarebbe stato possibile inserirsi per ottenere una fornitura e, in prospettiva, espandersi sugli altri, numerosi supermercati della medesima catena». L’aggancio parrebbe semplice. Ed è chiaro che i boss possono contare sulla reputazione professionale di alcuni dei loro prestanome per figurare come rispettabili imprenditori.

«Pino» Penna, in parallelo, si dedica al consolidamento degli affari attraverso la ristorazione. Studiando come subentrare in alcuni locali tra Borgo Pio (Vaticano) e centro storico: «Un’altra vicenda interessante nella quale era coinvolto Penna era quella relativa alla possibilità di rilevare un bar da un soggetto di Vibo Valentia, che anni prima era stato arrestato e aveva subito il sequestro di alcuni beni» scrivono i magistrati. Il titolare in questione, secondo i pm Luciani, Minisci e Musarò, coordinati dall’aggiunto Ilaria Calò, è Michele Mercuri, marito della proprietaria di un bar birreria in via del Mascherino.

Penna, alla frenetica caccia di caffé e ristoranti nei quali investire, è intercettato dalla Dia mentre spiega ad Alvaro come stia cercando informazioni sul titolare di attività prestigiose: «Ti spiego perché, perché questo qua ha tre bar a Roma, tre, tre bar a Roma e sono tutti e tre nel centro storico di Roma, ogni bar di quelli è Barberini, 3/400.000 mila euro..»

Per rafforzare gli equilibri criminali, inoltre, si punta a matrimoni di convenienza e iniezioni di sangue massonico. Così, sarebbero state nozze di puro interesse quelle fra Palmira Palamara, figlia di Giovanni, e Teodoro Gabriele Barresi, attratto nell’orbita dei boss in quanto potenziale prestanome per le attività da infiltrare. Quanto agli appetiti massonici, sarebbe stato il principale socio di Alvaro, Antonio Carzo, a darsi da fare per «un’affiliazione massonica» utile ad accrescere il proprio prestigio criminale.