‘Ndrangheta in Emilia, le società confiscate erano il “bancomat” dei Grande Aracri

Ad un anno di distanza dalla prima pronuncia definitiva sui sigilli antimafia apposti alle ricchezze dei fratelli Vertinelli, arriva un’altra sentenza della Cassazione che mette la parola fine alla confisca di beni da 3 milioni di euro riconducibili a Giuseppe Vertinelli, il 60enne imprenditore edile originario di Cutro ma residente a Montecchio Emilia (Reggio Emilia), ritenuto dalla Dda di Bologna, insieme al 61enne fratello Palmo, il “bancomat” del ramo emiliano della cosca cutrese dei Grande Aracri.
La Suprema Corte ha infatti dichiarato inammissibile il ricorso presentato dai suoi familiari, contro l’ordinanza della Corte d’Appello felsinea che, il 18 giugno 2021, ha confermato (per la seconda volta in due anni) il sequestro del patrimonio disposto il 29 novembre 2019 dal Tribunale reggiano. Giuseppe Vertinelli, come si ricorderà, il 17 dicembre 2020 è stato condannato a 16 anni e 4 mesi di carcere (invece 17 anni e 4 mesi sono toccati a Palmo Vertinelli) nel processo di secondo grado scaturito dall’inchiesta diretta dalla Procura antimafia di Bologna, “Aemilia”, scattata il 28 gennaio 2015.

Sotto la scure degli inquirenti erano finite aziende e quote di partecipazione della “Millefiori srl”, la società proprietaria dell’omonimo ristorante di Montecchio Emilia. Per i giudici dell’Appello, ricordano gli ermellini, “le società” che ora si trovano nelle mani dello Stato sono “state costituite con capitali di provenienza illecita”.

Allo stesso modo, è stato confermato che Giuseppe Vertinelli, “cui quelle aziende avevano fatto capo”, a partire dagli anni Novanta ha fatto parte del clan di Cutro radicato sulle rive del Po. Invece, per i quattro ricorrenti, l’Appello ha ribadito che non hanno “dimostrato di aver avuto capacità reddituale” e né “di aver svolto attività economiche lecite” che potessero giustificare “la legittima e autonoma acquisizione dei beni e delle quote confiscate”. Valutazioni, queste, che sono state fatte proprie dalla Cassazione, secondo la quale la società “Edilizia Costruzioni” appartenente a Giuseppe Vertinelli è stata “costituita con capitali di origine illecita ed utilizzata dagli affiliati” della ‘ndrina “come strumento per realizzare i propri scopi delinquenziali”.

In più, sottolinea la Suprema Corte, i fratelli Vertinelli hanno “gestito le società, tutte strettamente collegate, comprese la “Millefiori” e la “Edilizia Vertinelli”, sebbene “solo formalmente” amministrata “dalle loro rispettive mogli” in quanto “imprese strumentali alla realizzazione delle finalità delittuose di quel sodalizio di stampo mafioso”.

Infatti, chiosano i giudici di ultima istanza ripercorrendo il decreto di sequestro del 2017, Giuseppe e Palmo Vertinelli hanno “assicurato al capo clan Nicolino Grande Aracri la costante disponibilità a veicolare nelle proprie aziende i proventi delle attività delittuose di quel gruppo criminale”. Mentre la moglie di Palmo Vertinelli, concludono gli ermellini, in qualità di “formale titolare del 50 per cento delle quote della Millefiori srl non ha mai avuto “alcun reddito dichiarato” né tantomeno “entrate lecite personali di una qualche rilevanza”. Fonte: Gazzetta del Sud