Nord contro Sud: così il Rosatellum spacca l’Italia in due e inguaia il Pd

Sorpresa. Il Rosatellum bis che tanto piace a Matteo Renzi rischia di trasformarsi per il Pd nel più clamoroso degli autogol. Non lo diciamo noi, ma lo scrive l’insospettabile Repubblica in un articolo che simula il voto nei collegi uninominali. Ne risulta che in tutte le regioni del Nord – Trentino Alto Adige escluso – più due del SudSicilia e Calabria, il partito di Renzi non prende neppure un seggio. Zero tituli, direbbe Josè Mourinho.

Simulazione di “Repubblica”: Pd a secco al Nord, Sicilia e Calabria

Il quotidiano fondato da Eugenio Scalfari ha voluto così lanciare un estremo avviso ai “naviganti” nello stesso giorno in cui il Senato si accinge a licenziare, anche qui a colpi di fiducia, il Rosatellum bis. A giudicare dall’esito dei primi voti dell’assemblea di Palazzo Madama – le prime due fiducia sugli articoli 1 e 2 sono passate con 150 e 151 voti – si direbbe che l’appello è caduto nel vuoto, nonostante l’atmosfera all’interno del Pd sia tutt’altro che tranquilla. L’impressione prevalente nel gruppo parlamentare, soprattutto dei peones in spasmodica attesa di riconferma, è che il Pd si stia avviando verso una forma di suicidio assistito. Non si spiegherebbe altrimenti, del resto, la baldanza con cui Renzi sta marciando verso una prospettiva di sicura sconfitta. Nei collegi, infatti, vincono le coalizioni. E il Pd, almeno al momento, non ne non ha.

E ora leggiamo insieme questo articolo di Marco Damilano, pubblicato su L’Espresso, che ci spiega come il Rosatellum ha spaccato in due l’Italia.

di MARCO DAMILANO – fonte: L’ESPRESSO

Nel referendum costituzionale del 4 dicembre 2016 la vittoria del fronte del No fu schiacciante, ben sopra la media nazionale: in Campania il 68 per cento, in Calabria il 67, in Sicilia il 71,6, in Sardegna il 72,2. Ora però il gioco cambia, i tre poli tornano a scomporsi e lo si vedrà già alle elezioni regionali siciliane del 5 novembre dove il centro-destra è favorito, seguito nei sondaggi da M5S. È nelle regioni del Sud che si gioca il risultato delle elezioni politiche 2018, una partita al buio. Nel meridione svanisce il peso delle appartenenze e degli apparati, contano le persone, i candidati, i micro-notabili di cui ha scritto il politologo Mauro Calise, il “cuius regio eius religio” per cui, come nelle guerre di religione cinquecentesche, non serve convertire alla causa tutta una popolazione ma basta portare con sé il capo locale, il resto dell’elettorato seguirà. E infatti nel Pd si medita una lista civica guidata da sindaci e presidenti di regione, con licenza di spaziare in modo trasversale tra elettori e candidati.

Le elezioni siciliane in queste settimane stanno fornendo un esempio quasi insuperabile di esodi biblici, transumanze da uno schieramento all’altro: quattordici consiglieri regionali uscenti (deputati, come si fanno chiamare) sono passati al momento di presentare le liste dalla sinistra di Rosario Crocetta alla destra di Nello Musumeci, portando i loro voti in dote, si suppone.

È l’immagine di un’Italia politica spaccata a metà. Con il referendum lombardo-veneto che anticipa il futuro scontro elettorale. «Si agitano, protestano, si fanno sentire coloro che stanno meglio nel timore di perdere quello che hanno. I benestanti prendono la parole e le piazze, rispetto ai “malestanti” che ne avrebbero più causa e diritto. Un mondo capovolto, dove gli stessi partiti di sinistra per timore di essere travolti da una tendenza che non riescono a contrastare o ad attutire la seguono accodandosi», ha scritto Isaia Sales (“Il Mattino”, 17 ottobre).

Il Nord, di nuovo, va al traino della Lega e di Forza Italia, con il Movimento 5 Stelle ininfluente quasi ovunque (con qualche eccezione in Piemonte) e il Pd che si è spaccato sul referendum leghista del 22 ottobre: a favore è il leader emergente, il sindaco di Bergamo Gori, prossimo anti-Maroni alle elezioni regionali lombarde, possibili ambizioni nazionali, rappresenta il volto di un partito aperto, innovativo, ma forse isolato nel resto del Paese.

Nel Sud, invece, è in corso la battaglia di posizione tra notabili per accaparrarsi un posto in lista o in un collegio. E qualcuno prova già a calcolare la distanza tra le due Italie politiche, quella che vota il partito per opinione o per senso di appartenenza, e non sbarrerà il nome del candidato uninominale sulla scheda, e quella che al contrario sceglie le persone per conoscenza, scambio, clientela e trascina il voto per il partito. Kamasutra elettorale, probabile l’esaurimento nervoso per i sondaggisti che si troveranno tra qualche settimana di fronte a un rebus insolubile. Nell’attesa, finisce il sogno del partito della Nazione renziano, in grado di unire tutti e di raccogliere consensi trasversali. Quel partito non c’è più. Ma quel che è peggio è che, alla fine, anche l’Italia elettorale potrebbe rivelarsi una non-nazione.