Oliverio: l’ultimo “boia chi molla” o “prigioniero politico” alla resa dei conti col Pd? (di Vito Barresi)

Avrebbe dovuto suscitare un sussulto di indignazione e di ripulsa nell’intero Consiglio Regionale della Calabria (nato non a caso dopo una sedizione antidemocratica furiosa e atroce, svoltasi tra Sbarre Centrali, il rione Gebbione e Palazzo San Giorgio) l’uso vergognoso e insulso di termini come quelli usati da Mario Oliverio (“…in un momento triste e difficile, forte della profonda convinzione che la giustizia alla fine vincerà, mi permetto di dire: non bisogna mollare…”) oppure quelle sottoscritte da un ormai ‘sedicente’ maggioranza consiliare che appare piuttosto ridotta ad accozzaglia che arzigogola attorno al fatto che un pesantissimo provvedimento dei due più importanti giudici anti ‘ndrangheta, Gratteri e Luberto, sia risibilmente sintetizzato in una frase ipocrita e bugiarda così tradotta in un volgare politichese secondo cui “Il presidente Mario Oliverio, momentaneamente dimorato a San Giovanni in Fiore, deve continuare a svolgere il compito assegnatogli dai calabresi fino al termine del suo mandato elettorale, fiduciosi che la magistratura riconoscerà il suo agire corretto”.

di Vito Barresi

Insomma, menzogneingannireticenzecontumelie, velate pressioni, crassi messaggi subliminali che si addensano e si intensificano di giorno in giorno intorno alla cotica del maiale che va al macello, senza alcun freno inibitorio, in una volata tirata dritta all’impazzata proprio sull’ultimo chilometro d’Italia, sotto sotto Palazzo Campanella, le cui inquietanti connotazioni di ben nefasta memoria credevamo cancellate per sempre dalla storia democratica e regionalista.

E, invece, come Totò solennemente affermava, se “Signori si nasce” Revisionisti pure, e lui lo ‘visse’ a dir poco bene ma molto bene e tanto, giudicando la carriera ricca e opulenta del magnate della politica Ragionier Oliverio Mario.

Che non solo per infantilismo e giovanilismo politico ma riecheggiando Svevo, Denny il Rosso chiamava ‘malattia senile del comunismo’, egli si avvia a dover scontare una pena politica molto pesante, ritrovandosi prigioniero di due padroni molto esigenti: da un lato i Magistrati Magistar e dall’altro il potere grigio e centralistico dei dirigenti e dei burocrati di Stato del Partito Democratico.

La scena che si è improvvisamente aperta, ma poi non sappiamo quanto improvvisamente, riserva infatti molte sorprese non fosse altro perché lo schema in vista delle imminenti elezioni regionali è completamente saltato, come caduto nell’entropia e nel caos, aprendo di fatto non tanto una voragine istituzionale, che tanto altro in questo cratere di nequizie pubblico-private non ci può cadere, quanto un tavolo, un banco da gioco dove il croupier rimescola le carte e ricolloca le fiches nelle mani dei biscazzieri e dei lacchè del casinò, dove si è avviato il mercato delle pulci e delle vacche, immacolate candidature, posti al sole a Germaneto, collocazioni, sedi privilegiate, benefit e vantaggi economici, un vero e proprio negoziato attorno ai decisivi e determinanti mesi finali della consiliatura e principalmente della Giunta Regionale.

Una vera e propria trattativa già in tumultuosa e anarchica fase di svolgimento, aperta con tempismo inusuale dai capi gruppo di maggioranza Sebi Romeo (Pd), Giuseppe Giudiceandrea (Democratici e Progressisti), Orlandino Greco (Oliverio Presidente), Flora Sculco (Calabria in Rete) e Giovanni Nucera (La Sinistra) i quali sostengono che bisogna immediatamente ripartire insieme “dai frutti del nostro lavoro, sempre più visibili e tangibili che ci stimolano a continuare sulla linea tracciata in questi anni, nel segno di una chiara inversione di rotta rispetto alla discesa libera verso cui correva la Calabria quando ci siamo insediati. Su questa impostazione intendiamo continuare e, come abbiamo dimostrato durante l’ultimo consiglio regionale, nel bene della Calabria è garantita l’operatività della macchina politico-amministrativa”.

Trattativa da cui sembra solo in apparenza esterno il PD di Marco Minniti che certo qualche appunto e suggerimento a Mario Oliverio vorrà anche darglielo, restando sul pezzo se ci riesce, nel quadro delle vicende in essere al livello nazionale, regionale e locale, con un congresso aperto in cui è in ballo il rilancio o la fine della sinistra e dei Democratici.

In realtà tutti stanno lavorando alla stesura di quello che da alcune fonti qualificate si apprende sia già chiamato il Patto dell’Epifania, di cui anticipiamo la struttura dell’organigramma:

  1. Oliverio, come il piccolo Mussolini, sarà salvo ma in veste di prigioniero politico sotto protettorato di altri decisori, di fatto un ostaggio, un presidente fantoccio, soprattutto sotto scacco dello sconosciuto nome che aleggia quale prossimo candidato al suo posto;
  2. la Giunta Regionale va a casa e si rinnova totalmente con 4/5 leader territoriali di posizione che servirebbero a riprendere contatto tra territorio e coalizione di sinistra, a vantaggio del PD;
  3. l’indicazione di alcuni grandi garanti, tra cui ex presidenti regionali, ex consiglieri regionali, ecc. chiamati a sorvegliare l’andamento di una fase amministrativa e politico-elettorale difficilissima, con il compito di costruire un’Alleanza di Governo pronta a sbarrare la strada alla trionfale avanzata sia dei leghisti che dei Cinque Stelle, in nome della Tradizione di potere regionale.

Con un sololacerante, bruciante dubbio: che l’affresco che stanno sognando rischia di trasformarsi in una tela imbrattata, nel guazzabuglio di pennellate sbagliate sul muro crollato di vecchie illusioni, tutte distrutte dalla malafede e dalla cieca cupidigia di un ceto politico ridicolo e sconfitto.