Omicidio Bergamini, 34^ udienza. La “disperazione” di Internò: “È morto, è morto, la macchina l’ha lasciata a me!”

Quando un processo si celebra dopo 30 anni dai fatti, è molto probabile che tanti testimoni o siano nel frattempo deceduti o siano andati decisamente in là con gli anni e non siano più in grado di ricordare e di rispondere. Oggi alla 34^ udienza del processo per l’omicidio volontario pluriaggravato di Denis Bergamini in corso davanti alla Corte d’Assise di Cosenza ha testimoniato Mario Infantino, il titolare del Bar-Trattoria “Da Mario”, dove è stata portata Isabella Internò pochi minuti dopo l’omicidio del calciatore.

Nel corso degli anni, anche sotto il profilo mediatico, Infantino era salito alla ribalta lasciando chiaramente intendere che il brigadiere Barbuscio avesse materialmente redatto il suo primo verbale intimandogli di firmarlo. E aveva dato una serie di particolari di una certa importanza riconducibili all’atteggiamento di Isabella Internò, rafforzati anche da quanto affermava il figlio Ciro. Oggi Mario Infantino ha 82 anni e purtroppo le sue condizioni di salute non gli consentono più di ricordare con precisione come dovrebbe per un processo così importante. Resta però qualche sprazzo, dal fatidico “dov’è dov’è?” esclamato da Barbuscio al suo arrivo al bar, al “ha scritto tutto lui e poi mi ha detto firma qua…” che ci restituiscono il livello dei depistaggi e degli insabbiamenti di tutta la vicenda. Ma oggi Infantino non è in grado di reggere un interrogatorio e allora, in sede di controesame, l’avvocato della famiglia Bergamini, Fabio Anselmo, rivela un particolare che non è nuovo ma che non può passare inosservato. Nel 2017, nelle annotazioni di polizia giudiziaria relative alla testimonianza di Rosa Basile, moglie di Infantino, gli ispettori Pugliese e Quintieri riferiscono di aver avuto un colloquio con Ciro Infantino, figlio di Mario, 17enne all’epoca dei fatti. Ciro riferiva agli ispettori che la ragazza, quel giorno, si era appoggiata ad una stufa e diceva testualmente: “E’ morto, è morto, la macchina l’ha lasciata a me!”. L’avvocato Anselmo ha chiesto che Ciro Infantino e i due ispettori vengano ascoltati su questa circostanza e la presidente Lucente ha rigettato la richiesta in base all’articolo 195, precisando tuttavia che, se necessario, questi testi possano essere comunque sentiti in base all’articolo 507 del codice di procedura penale.

Al termine dell’udienza, l’avvocato Fabio Anselmo ha sottolineato come la reazione di Isabella Internò alla tragedia sia stata a intermittenza e disperata a comando.

“Nell’udienza di oggi è emersa una circostanza molto importante nel complesso delle altre udienze e che è già emersa in altre deposizioni rispetto ad altri momenti di questa complicata vicenda che ormai tanto complicata non è più – ha detto ai cronisti -. Nel momento immediatamente successivo al verificarsi di quella tragedia con il cadavere di Bergamini ancora a terra, la signora Internò si preoccupava di chi potesse essere la proprietà della macchina dopo la sua morte.

Questa circostanza tra l’altro non è nuova – ha aggiunto Anselmo – perché vi sono altre fonti di prova che la confermano. C’è per esempio la testimonianza del calciatore Marino, che dice che quando ricevette quella telefonata di Isabella Internò dal bar di Infantino, lei era assolutamente calma. Questa è una circostanza che chiaramente dà una chiave di lettura a tutte le scene isteriche, a tutti i pianti e a tutte le disperazioni che giustamente gli altri testimoni hanno rilevato. In realtà, le scene isteriche, i pianti e le disperazioni avevano due retropensieri. Primo: riferire la falsa verità, ovvero il falso tuffo e il falso suicidio, che non è cosa di poco conto. Secondo, quello di preoccuparsi – e questo magari è un pochino meno nobile – a chi andasse la Maserati dopo la sua morte con il cadavere ancora caldo. Ripeto: questa circostanza non è emersa solo oggi per la prima volta, emergerà ed è già emersa con altri testimoni ed è una circostanza coerente”.

L’avvocato Anselmo ha rivelato anche un altro fatto anomalo che lascia riflettere e non poco: “Abbiamo gli atti ufficiali dei carabinieri che ci dicono che la chiamata per l’incidente arriva alle 19.30 e che nessuno dei presenti ha mai chiamato i carabinieri e non si sa chi li abbia chiamati. Inoltre, nessuno ci sa dire perché la polizia è sul posto. Evento scoperto grazie ad una foto dove viene riconosciuto un poliziotto, ma nessuno ne annota la presenza. Fatto decisamente anomalo“.

Poco prima della conclusione dell’udienza, tutti i presenti in aula hanno assistito ad un vivace scambio di opinioni tra l’avvocato Anselmo e uno dei giornalisti che segue il processo. Ne scriveremo a parte. Si torna in aula il 2 febbraio.