Omicidio Bergamini, l’ombra dei servizi dietro il carabiniere e il magistrato autori dei primi rilievi

In tutta Italia (e non solo) ci si chiede come sia stato possibile che il barbaro omicidio mascherato da suicidio di Denis Bergamini sia stato insabbiato per oltre 30 anni nonostante evidenze schiaccianti dimostrassero che qualcuno lo aveva ucciso. Il magistrato che ha avuto il merito di riaprire definitivamente il caso e di portarlo finalmente a processo è stato Eugenio Facciolla. Il quale, in una recente intervista a Tuttosport, spiegava bene alcune dinamiche dei depistaggi e degli insabbiamenti.

«Nel 1989 a Cosenza e dintorni si consumava quella che è stata individuata come la seconda guerra di mafia», diceva Eugenio Facciolla, che continuava: «Colpiva e colpisce il fatto che fra tantissimi collaboratori di giustizia che mi è capitato di sentire, nessuno ebbe mai a dare un elemento di conoscenza sulla morte di Bergamini. Le dico questo perché quello che emergeva da queste indagini e da questi processi – ci sono fiumi e fiumi di pagine di sentenze definitive su quello che le sto dicendo – è che, quando succedeva un fatto in questa città (Cosenza ndr), si andava sempre a chiedere al capo mafia per avere notizie. Lo facevano sia le forze dell’ordine, sia la stessa criminalità organizzata. Intorno all’attività del Cosenza Calcio, intesa come attività sportiva, c’era tutto un mondo che drenava denaro, quindi era più che normale che alcuni appartenenti a questo mondo andassero ad acquisire notizie, ma il risultato era sempre negativo, nel senso che non emerse mai nulla che avesse un riferimento a Bergamini. Addirittura il collaboratore di giustizia Franco Pino raccontò del presunto aggiustamento di una partita e di essere stato compulsato per cercare di fare da tramite. Questo è un episodio emblematico secondo me e la dice lunga sul fatto che poi, morto Denis Bergamini in quel modo tragico, non ci sia stata nessuna notizia, non ci sia stato quel comportamento che invece era stato replicato in altre circostanze».

Allora, ci si chiede, nella vicenda Bergamini la ‘ndrangheta ci entra o no? «La ‘ndrangheta, la mafia è variegata, non è necessariamente quella abituata a sparare, quella che noi cittadini di Cosenza eravamo abituati a conoscere. Ci sono anche altre organizzazioni mafiose, ci sono presenze di altri soggetti che si registrano a volte su un territorio». Parole dirompenti quelle di Facciolla, perché lasciavano e lasciano intendere che nessuno si preoccupò di avere informazioni e che sull’omicidio Bergamini la ‘ndrangheta cosentina possa essere stata tenuta fuori e che altri sarebbero i soggetti intervenuti (altre presenze sul territorio), provenienti anche da altre regioni. Non serve un profeta o uno scienziato per capire che si sono mossi i servizi segreti deviati, determinanti nell’arruolare il carabiniere che ha effettuato i primi grossolani e maldestri rilievi, volti a giustificare un pacchiano suicidio ma soprattutto il magistrato che ha avuto per primo in mano il caso e la procura della Repubblica di Castrovillari. E non c’è dubbio che nella famiglia Internò ci potesse essere solo un uomo in grado di fare il “burattinaio” con la divisa della polizia. Intelligenti pauca.