Omicidio Cocò, ergastolo per Donato e Campilongo

Ergastolo e isolamento diurno per sei mesi. La Corte d’Assise di Cosenza ha condannato a questa pena Donato Cosimo e Faustino Campilongo, accusati della cosiddetta strage di Cassano del 16 gennaio 2014 nella quale persero la vita il piccolo Cocò Campolongo, suo nonno Giuseppe Iannicelli e della compagna Ibtissam Touss. Faustino Campilongo detto “Panzetta”  e Cosimo Donato detto “Il topo” hanno ucciso per scalare la gerarchia nel clan degli zingari della Sibaritide.

Il piccolo Cocò ha avuto la “sventura” di essere il nipote di un uomo che la ‘Ndrangheta voleva morto. Infatti, gli zingari di “Timpone Rosso” non avrebbero perdonato a Peppe Iannicelli di aver raccontato in aula delle armi in mano a Fioravante Abbruzzese, ucciso con Eduardo Pepe nell’ottobre di sedici anni fa. Anche gli ex nemici agli zingari, i Forastefano, volevano incontrare Iannicelli dopo aver intercettato una lettera scritta da quest’ultimo al cognato in carcere. Una missiva in cui gli preannunciava la volontà di pentirsi, invitandolo a fare la stessa cosa.

Per questa sua intenzione, all’interno di quel sodalizio criminale, sarebbe stato considerato un uomo morto. Secondo l’accusa l’uomo, in quei giorni, per scoraggiare qualsiasi tipo di attentato, girava esclusivamente con il nipotino e la compagna. Ma questo non è bastato a fermare l’ordine di morte che sarebbe partito dai boss della Piana cosentina. Iannicelli, attirato in un tranello, insieme ai due innocenti, non è stato risparmiato così come il piccolo e la compagna; poi i loro corpi furono bruciati in una Fiat Punto, dove più tardi gli investigatori ritrovarono i resti.

I due imputati hanno agevolato gli zingari nell’eseguire il progetto di morte. Infatti, l’inchiesta dei carabinieri del Ros (Raggruppamento operativo speciale) ha portato alla luce il tracciato invisibile del telefono che inchioda Donato in quanto il suo smartphone si è agganciato all’unica cella che riporta al luogo del triplice omicidio alle ore 18:45 del 16 gennaio 2014. Oltre a questo, ci sono le intercettazioni nel carcere di “Opera” e le dichiarazioni del pentito Michele Bloise che per i magistrati sono state fondamentali per arrivare ai due imputati. L’ex boss ha raccontato l’inquietante vicenda che gli è stata svelata dall’ex moglie durante un colloquio in carcere.
Dalla ricostruzione della requisitoria non è emersa solo la vicenda del 2014, ma anche un quadro di circa vent’anni della cosca della Sibaritide che, tra traffici illeciti e guerre di mafia, si è affermata sulla costiera jonica.