Ospedale di Cetraro. Ginecologia nel caos e l’Asp nomina primario sotto processo e “idoneo” solo di giorno

Ospedale Cetraro. Il reparto di Ostetricia e Ginecologia tra confusione e rischi. E l’Asp nomina un primario sotto processo

di ROBERTO SAPORITO

A distanza di un anno esatto dalla drammatica vicenda in cui perse la vita la 37 enne Santina Adamo, poche ore dopo il suo secondo parto, all’ospedale di Cetraro, nel reparto di Ostetricia e Ginecologia, poco o nulla è cambiato. Qui regna il caos e con esso confusione e grossi rischi per pazienti ed operatori.

Ricorderete le cause di quella morte assurda: per l’assenza di una sacca di sangue compatibile, giunta con enorme ritardo, la donna morì per emorragia tra le braccia di cinque tra medici e paramedici che sono stati rinviati a giudizio.

Vediamo nei dettagli la situazione attuale. Sulla carta il reparto è chiuso da un anno ma nella realtà è aperto per emergenze ed urgenze a cui devono far fronte quattro medici, 1 infermiere e 7 ostetriche che, tra mille difficoltà, devono garantire un servizio che sulla costa, da Tortora a Paola, circa 100 km, è assente. Incredibile.

Un’area, l’Alto Tirreno cosentino, sprovvista di un reparto di Ostetricia e Ginecologia. Ciò costringe le partorienti a rivolgersi all’ospedale di Lagonegro o a quello di Cosenza o a strutture private del capoluogo.

C’è di più. Il primario, tale Cannizzaro, uno dei rinviati a giudizio, è stato nominato responsabile del reparto nell’ottobre 2019 ma a quanto pare è poco presente in quanto “soggetto inidoneo”, come certificato dalla medicina del lavoro, in particolare per le reperibilità notturne (http://www.iacchite.blog/lettere-a-iacchite-cetraro-il-primario-solo-di-giorno-di-aieta-e-palla-palla/). La situazione appare ancora più grave in questi mesi estivi considerato che il primario risulta in malattia dal mese di giugno. L’Asp, quindi, non solo ha nominato un professionista sotto processo ma anche non idoneo e che, quindi, non può garantire la propria presenza all’interno della struttura oggi allo sbando.

Nel reparto, lo ricordiamo, solo nel 2018 sono stati effettuati oltre 400 parti, 800 interventi e numerose visite ambulatoriali. Cose calabre. Si chiudono e si affossano le cose che funzionano. Perché? Ma ci chiediamo e rivolgiamo anche altre domande. Le sale parto non sarebbero sicure, soprattutto dopo il Covid 19, ma allora perché non utilizzare le altre sale operatorie che hanno tutti i requisiti?  Come mai non vi è stata mai una protesta vivace che ha coinvolto cittadini ma soprattutto amministratori e politici? A chi giova tutti ciò? C’è un disegno strategico per favorire altre soluzioni? A noi non resta che sottolineare i disagi ed i rischi a cui vanno incontro donne e personale medico in una zona, l’alto Tirreno cosentino, in cui è vietato partorire. Vergognoso.