Petrolmafie Spa, arrestato (anche) il figlio del boss di camorra che invitò a denunciare il racket

Nell’operazione Petrolmafie Spa, che ha portato alla luce una “nefasta sinergia” tra mafie e colletti bianchi, impegnati in frodi fiscali miliardarie nel settore degli oli minerali, è stato arrestato anche Antonio Moccia. Figlio del boss di camorra Gennaro, è salito alla ribalta della cronaca nel marzo 2020 quando invitò i commercianti di Afragola a denunciare il pizzo, con un contestato manifesto pubblicitario affisso per le vie della città.

Il manifesto – In quei mesi Afragola era scossa dalle bombe del racket. Un fenomeno a tal punto violento da spingere l’allora ministro dell’Interno Matteo Salvini a fare visita nel popoloso centro dell’hinterland partenopeo. “Denunziate gli estorsori”, “ancor più immediatamente” se chiedono il “pizzo” spendendo “il nome mio e quello della mia famiglia”, si leggeva nel manifesto che destò non poco scalpore.

Nel testo del manifesto, a caratteri cubitali di colore rosso, c’era scritto: “Avviso Importante, Mi rivolgo ai commercianti, agli imprenditori e a tutti i cittadini di Afragola e dei paesi vicini che vengono massacrati ogni giorno da estorsori che minacciano i nostri affari e che rovinano con la droga i nostri figli. Ho anche scoperto che più volte spendono il nome mio e quello della mia famiglia; vi invito a denunziare tutti i colpevoli e se vengono falsamente a nome della mia famiglia ancor di piu’ immediatamente. Antonio Moccia”.

Chi è Antonio Moccia – Antonio è l’ultimo figlio di Gennaro Moccia e Anna Mazza, il primo ucciso in un agguato di stampo camorristico nell’aprile del 1974, la seconda soprannominata “la vedova nera”, la prima donna d’Italia ad essere stata accusata di reati di mafia, anche lei deceduta ma per un ictus. Inoltre è fratello di Angelo Moccia, il boss “dissociato”. Una scelta, quella della dissociazione, che fu oggetto di un acceso dibattito, molti anni fa. Un confronto che coinvolse anche la madre la quale, nell’agosto del 1996, scrisse addirittura una lettera indirizzata al presidente della Repubblica, al ministro della Giustizia, ai vertici della Dna e della Dia, a don Ciotti e don Riboldi, con la quale spiegava che la decisione del figlio era solo frutto della sua volontà di staccarsi dall’ambiente criminale. Nel 2010, i nuclei familiari di Angelo Moccia e del fratello Luigi si trasferirono nella Capitale; dal 2016, dopo la scarcerazione, anche Angelo Moccia si trasferì a Roma.