Politiche 2022. L’astensione più alta di sempre

(Nando Pagnoncelli – corriere.it) – Le elezioni hanno fatto registrare il nuovo clamoroso record di astensione che ha raggiunto circa il 37%, corrispondente a oltre 16,5 milioni di elettori assenti, in crescita di 9 punti rispetto al 2018 (oltre 4 milioni di astensionisti in più): è la cronaca di un’astensione annunciata, verrebbe da dire parafrasando Garcia Marquez. Da tempo l’astensionismo viene definito dai media «il primo partito del paese», e ciò è innegabile da un punto di vista numerico, ma attribuire la diserzione delle urne prevalentemente alla protesta nei confronti della politica appare riduttivo perché le ragioni sono assai variegate.

Nell’interessantissimo libro bianco sull’astensionismo presentato nell’aprile scorso a conclusione del lavoro della Commissione indetta per ridurre questo fenomeno e agevolare il voto dal ministro D’Incà e coordinata dal professor Bassanini si analizzano le molteplici cause della rinuncia al voto e si avanzano proposte per contenerla.

Il libro bianco fa luce soprattutto sul fenomeno dell’astensionismo involontario, rappresentato dalle persone che hanno difficoltà di mobilità (4,2 milioni al di sopra dei 65 anni, di cui 2,8 milioni con gravi difficoltà di movimento) e da coloro che per ragioni di lavoro o di studio nel giorno del voto si trovano lontani dal Comune di residenza (4,9 milioni di elettori). È un problema destinato ad aumentare, tenuto conto delle tendenze demografiche (aumento della componente anziana sul totale degli elettori) nonché delle dinamiche sociali che da tempo evidenziano una crescente mobilità dei cittadini.

Le ricerche sociali e i sondaggi, invece, mettono l’accento soprattutto sull’astensionismo volontario che varia da elezione a elezione e può dipendere da almeno tre fattori: innanzitutto le precarie condizioni economiche e la marginalità sociale delle persone che versano in queste condizioni (disoccupati, lavoratori esecutivi, ceti produttivi in forte difficoltà come pure i cittadini meno abbienti che vivono in povertà assoluta o al di sotto della soglia di povertà relativa) e non si sentono rappresentate da nessuno, sono sfiduciate e si autoescludono.

In secondo luogo, il pronostico del risultato elettorale: spesso, infatti, una parte degli elettori rassegnati alla sconfitta del proprio partito o coalizione si mostra poco motivata ad andare a votare, convinta dell’inutilità del proprio voto, determinando in tal modo una sorta di astensionismo asimmetrico che penalizza ulteriormente le forze politiche destinate alla sconfitta.

Da ultimo, la crescente distanza di molti cittadini dalla politica: quest’ultima da un lato rappresenta sempre più un mero frammento dell’identità individuale (a differenza dal passato quando per la maggior parte dei cittadini era il tratto identitario prevalente); dall’altro ha alimentato sentimenti di disillusione e sfiducia che sono la risultante della serie ininterrotta di aspettative disattese.

Basti pensare che in Italia dal 1994 in poi abbiamo sperimentato qualsiasi formula di governo, di centrodestra, di centrosinistra, di soli “tecnici”, di larghe intese, e quelli guidati da leader o forze politiche che si sono affermati all’insegna del cambiamento. Ebbene, nessuna maggioranza di governo è uscita vincitrice alle elezioni successive e la maggior parte dei leader politici ha beneficiato di una iniziale fase di fascinazione seguita, invariabilmente, da un crollo della popolarità. La delusione ha quindi contribuito ad ingrossare le fila dell’astensione ma anche, tra coloro che votano, a ricercare costantemente il nuovo.