Politiche 2022. Tutti insieme contro il Reddito: lo show di Rimini (senza Conte)

(DI WANDA MARRA – Il Fatto Quotidiano) – Inviata a Rimini. Luigi Di Maio pare accartocciato, a disagio con se stesso. Enrico Letta cede il passo con galanteria a Giorgia Meloni, Matteo Salvini passa da un selfie all’altro. La prima foto dei leader politici intervenuti al Meeting di Rimini il giorno dopo la chiusura delle liste è quella di un gruppo tutto sommato omogeneo che, intorno a un tavolo, si saluta prima di dar vita al dibattito. Ci sono Antonio Tajani, vicepresidente di FI, Ettore Rosato nel dubbio privilegio di fare il vice Renzi. E Maurizio Lupi che si muove da padrone di casa. Manca Carlo Calenda, previsto in altro dibattito. E soprattutto Giuseppe Conte, che nessuno ha invitato perché “non fa parte dell’Intergruppo sussidiarietà”, come precisa il Meeting. Dimenticanza o esclusione, non c’è nessuno dei Cinque Stelle che sale sul palco di Rimini: “Siamo scomodi”, protestano loro. Tra il Meeting e M5S di certo non è mai andata troppo bene.

Dopo i convenevoli è la volta della passerella nei locali della Fiera. “Giorgia, Giorgia”, gridano alcuni volontari. Giovani. Mentre si sente qualche timido “Ciao Matteo”. Gli altri, come se non ci fossero. Anche se al momento di salire sul palco, soffusi da luci un po’ psichedeliche, la platea in piedi li applaude, telefonini in alto a girare video-ricordo. Piuttosto straniante, in mezzo a una campagna elettorale dove Meloni e Letta si menano ogni giorno, con un certo metodo. Di Maio si siede vicino al segretario del Pd, ogni tanto i due parlano. Dall’altro lato di Letta c’è “Giorgia”. Anche loro parlottano. Salvini, con la croce in bella evidenza, marca una certa estraneità. Tra i tre del centrodestra l’interazione è al minimo. Ognuno interpreta una parte. Di Maio pare avere solo un paio di note nel suo spartito, mentre ribadisce a ogni passaggio quanto è grave che il governo sia caduto e si pone come avvocato difensore dell’Europa. Rosato si conquista 10 secondi di attenzione solo quando si parla del Rosatellum, che porta appunto il suo nome: “Ricordo che, a voto segreto, è stata la legge elettorale più votata della storia della Repubblica”. Il leader della Lega si scaglia contro la coltivazione e l’uso di droghe, esorta ad aiutare le donne a non abortire. Temi fondativi e poco establishment.

La regina della giornata è la Meloni. Che sottolinea come sia per lei la prima volta a Rimini. Sull’energia, il dissenso con Letta, che propone un price cap italiano, mantiene toni soft. La leader di FdI dice che il “tetto” a livello europeo si deve mettere, ma in Italia no. Così come poi si schiera con il presidenzialismo, che c’è pure in quella Francia di cui “Letta è amico”. Sceglie la cifra del buon senso rassicurante, è l’unica determinata. Letta, che al Meeting è sempre stato accolto con calore, viene ascoltato con educazione mista a insofferenza. E non è che esordi tipo “sono un segretario pro tempore” migliorino la situazione. E neanche il “noi” onnicomprensivo di tutti i presenti con il quale si prende l’impegno di alzare gli stipendi agli insegnanti. Anzi. È l’unico che viene fischiato, quando propone di rendere obbligatoria la scuola dai 3 anni fino ai 18. “Buu” senza rimorsi. Qualcuno parla di claque organizzata dalla leader di FdI, ma le simpatie per la destra (e per i vincitori) non sono una novità a Rimini. Gli applausi più sonori si registrano per l’abolizione del Reddito di cittadinanza. Lo scaricano tutti, con gradazioni diverse. Da Letta che però avverte che una misura contro la povertà ai leader di centrodestra ferocemente critici. Di Maio non abiura del tutto, ma parla chiaramente di “fallimento”. Salvini chiarisce che va dato solo a chi non può lavorare. Per rafforzare il no, la Meloni fa l’esempio a effetto: “Ho imparato molto di più facendo la cameriera che la parlamentare”. L’intervento più accorato resta quello introduttivo di Giorgio Vittadini, presidente del Forum Sussidiarietà che aveva invitato i convenuti a recuperare l’astensionismo dato al 60%. Sarà stato pure l’equilibrismo tra il rispetto delle regole della casa, con un certo ecumenismo e la campagna elettorale, che impone il conflitto, ma alla fine più che motivazione e convinzione, passa il calcolo.