di Fabio Anselmo
Oggi è il Primo Maggio. E mai come oggi, parlare di lavoro significa parlare di diritti, dignità e verità.
Il Presidente Mattarella lo ha ricordato: questa festa ha un significato forte in un Paese dove, anche con un contratto a tempo indeterminato, il 9% delle famiglie non riesce a vivere dignitosamente. Perché i salari non bastano più.
Poi c’è la sicurezza. Quella vera, sui luoghi di lavoro. Non quella da decreto. Muoiono lavoratori ogni giorno, e non basta certo uno stanziamento una tantum da 650 milioni. Servono riforme vere.
Un esempio: la decisione di togliere al Ministero del Lavoro la possibilità di usare i Carabinieri come ispettori. Ora è tutto in mano alle ASL, senza potere reale d’intervento. Così si ispeziona meno, si previene poco, e si muore di più.
Ma oggi parliamo anche del lavoro della Polizia. Che dovrebbe essere presidio di legalità, non strumento di intimidazione. Invece, dopo il 25 aprile, abbiamo visto manifestanti identificati ad Ascoli, mentre a Milano si inneggia a Ramelli con il saluto romano. Peggio ancora: cittadini che rimuovevano manifesti neofascisti sono stati identificati, mentre la polizia diceva di doverli “proteggere”.
Il problema non sono più le mele marce. È l’albero.
Una cultura di repressione preventiva, di impunità, che questo governo legittima, ma che viene agitata da chi dovrebbe difendere la Costituzione.
E allora chiediamolo al Capo della Polizia: va bene così?
È questo il prestigio dell’Istituzione che rappresenta?