La banda di Berlusconi non si smentisce mai. Una serie pressoché infinita di colletti bianchi borderline che pensano solo a fare soldi anche e soprattutto sulle disgrazie della gente. Adesso che gli scagnozzi di zio Silvio hanno capito che la Calabria è zona franca, nella quale la massomafia riesce con facilitò disarmante a controllare il voto e quindi a vincere le elezioni, hanno gioco facilissimo a piazzare gentaglia dentro le giunte. L’ultimo della serie, nominato da Robertino Occhiuto alias il parassita, appena eletto governatore della Calabria, è tale Mauro Dolce. Segni particolari: è stato braccio destro di Guido Bertolaso (uno dei peggiori colletti bianchi al servizio del mafioso Berlusconi, deus ex machina degli affari travestiti da “Protezione civile”) per anni ed è tra coloro che hanno la coscienza sporchissima (anche se la giustizia “taroccata” li ha levati dai guai) per quello che hanno combinato a L’Aquila. E anche se non ci sono state conseguenze giudiziarie, in Abruzzo se sentono nominare questi due cognomi, Bertolaso e Dolce appunto, vi inseguono per farvi del male. E hanno ragione da vendere.
Seguiteci attentamente.
Menzogne. Il 30 marzo 2009, una settimana prima del terremoto in Abruzzo, Bertolaso organizza a L’Aquila la commissione Grandi Rischi. “Un’operazione mediatica”, come la definisce lui stesso nelle intercettazioni, con lo scopo di “tranquillizzare la popolazione”. Per effetto di questa “operazione” molte persone sono rimaste serene nelle proprie case la notte del terremoto. Bertolaso è stato a lungo sotto processo con l’accusa di “omicidio colposo plurimo”, mentre il suo vice Bernardo De Bernardinis è stato condannato in via definitiva. Dopo il terremoto, le menzogne hanno continuato ad essere protagoniste: dalla grottesca idea del G8 – che ha avuto il solo merito di blindare la città e far costruire due inutili strade – alla favola “dalle tende alle case”.
Repressione. Fin da subito dopo il terremoto, Bertolaso, commissario per l’emergenza, ha utilizzato i suoi poteri per ostacolare in tutti i modi la partecipazione e l’autorganizzazione della popolazione, vietando assemblee e volantinaggi nelle tendopoli, trasferendo metà della popolazione in altre città e in altre regioni, e reprimendo ogni tipo di protesta, grazie alla complicità del prefetto e vice commissario Franco Gabrielli (poi suo successore a capo della protezione civile e Prefetto di Roma – guarda un po’!). Era vietato discutere del futuro della propria città o paese e fin dalle prime ore dopo il terremoto il territorio è stato completamente militarizzato. Si arrivò anche al paradossale sequestro delle carriole utilizzate per le proteste.
Speculazione. Con le palazzine del Progetto Case e le sue 19 “new town” Bertolaso ha sostanzialmente contribuito alla devastazione del territorio aquilano, occupando circa 460 ettari fuori città (più dell’estensione del centro storico aquilano) e favorendo, grazie alla deroga sugli appalti dovuta all’emergenza, le imprese che hanno costruito tali alloggi ad un costo intorno ai 3mila euro a metro quadro.
La Protezione Civile è arrivata perfino ad utilizzare isolatori sismici non collaudati e difettosi (forniti dalla fondazione Eucentre di Gian Michele Calvi), dal costo gonfiato, per cui Mauro Dolce, sì proprio lui il settimo assessore della giunta di Occhiuto il parassita, in qualità di responsabile del procedimento di realizzazione del Progetto Case è stato prima condannato e poi “graziato”. Ovviamente sia Calvi che Dolce facevano parte del Dipartimento dei Protezione Civile ed erano (e sono ancora) vicinissimi a Bertolaso. Anche qui viene da chiedersi dove fosse l’allora prefetto Gabrielli, che aveva il compito di vigilare sulla legalità della ricostruzione. Dopo cinque anni in alcuni di questi Progetti Case antisismici sono crollati i balconi e senza che ci fosse bisogno di un terremoto…
Ipocrisia. Bertolaso aveva creato un modello di Protezione Civile, al servizio del Governo Berlusconi, teso a nascondere dietro la propaganda mediatica le grandi speculazioni, come quella di Anemone e Balducci (entrambi già condannati). È successo a L’Aquila, nell’emergenza rifiuti in Campania, per i lavori del G8 alla Maddalena, per i mondiali di nuoto proprio a Roma, e in molti altri casi. Era una prassi talmente collaudata che Bertolaso ha perfino cercato di trasformare la Protezione Civile in una Spa! Solo le proteste dei movimenti, in primis di noi terremotati, sono riuscite a scongiurare una simile follia.
Potremmo continuare per ore. Sembra incredibile che la Protezione Civile abbia subito una simile deriva, piegandosi ad interessi affaristici e politici, e ancora più grave facendosi scudo dell’impegno e del lavoro di tanti volontari. Purtroppo questa gente non conosce dignità, come dimostra il fatto che Bertolaso sia stato persino candidato a sindaco di Roma e Gabrielli ne sia stato Prefetto! E che adesso viene sdoganato persino Dolce, mandato in Calabria a fare cassa.
Ma vale la pena soffermarsi ancora un po’ su quel disastro a L’Aquila per comprendere ancora meglio i fatti.
Ricapitolando: è la fine di marzo 2009 quando la Commissione Grandi Rischi si riunisce a l’Aquila. La cittadina abruzzese è da mesi scossa da un interminabile sciame sismico e tra gli aquilani cresce il timore che questo sia solo il preludio ad una violenta scossa. Alimentato, tra l’altro, da un ex tecnico dell’Istituto di Fisica dello Spazio Interplanetario, Giampaolo Giuliani, che sulla base della sua teoria legata al rilascio del radon (seguita tra gli anni ’70 e ’80 in California ma poi abbandonata perché considerata scarsamente attendibile), aveva più volte messo in guardia sulla possibilità di un evento sismico molto violento nella zona.
Lo aveva, in realtà, confidato ad amici e non aveva reso pubblica la sua convinzione, anche in considerazione dell’avviso di garanzia ricevuto proprio in quei giorni per la precedente previsione errata, fatta 10 giorni prima, su un possibile fenomeno sismico che sarebbe dovuto scatenarsi a Sulmona. Molto si è discusso, nel post terremoto, anche di Giuliani, da molti accusato di fare sciacallaggio per aver dichiarato solo dopo la forte scossa che lui aveva previsto tutto. Nessuno, però, racconta che, proprio grazie ad una sua telefonata poche ore prima della violenta scossa, gli abitanti di un’intera frazione, Paganica, si salvarono dalla tragedia.
Ce l’ha svelato anni fa il responsabile della protezione di quella frazione, raccontandoci che quella sera Giuliani telefonò ad un parente di Paganica annunciandogli che nella notte sarebbe arrivata una violenta scossa e raccomandandogli di avvisare più persone possibile. Proprio grazie a quella telefonata, la notte del 6 aprile praticamente tutti i residenti di Paganica erano in strada al sicuro. La scossa ha poi raso al suolo la frazione che, però, ha avuto una sola vittima, un uomo anziano che non ha voluto dare credito all’avviso di Giuliano. Tornando ai giorni precedenti il violento terremoto, l’allarme tra i cittadini aquilani, che comunque raccoglievano, certe voci era ai massimi livelli. E per tranquillizzare la popolazione Bertolaso decide di organizzare una riunione di tecnici.
“E’ un’operazione mediatica perché vogliamo rassicurare la gente” afferma l’ex capo della Protezione civile in un colloquio telefonico intercettato con l’allora assessore regionale alla Protezione Civile Daniela Stati. Così il 31 marzo a l’Aquila va in scena questa riunione della Commissione Grandi Rischi alla quale partecipano esclusivamente tecnici. Riunione che trasmetterà un quadro rassicurante della situazione, anche se in concreto nessuno dei presenti si espone in maniera chiara. L’unico a farlo è De Bernardinis che ad un’emittente privata del luogo afferma: “Non c’è pericolo, anzi è una situazione favorevole perché c’è uno scarico di energia continuo”.
Appena 7 giorni dopo, però, la tragedia, con la violenta scossa che nella notte del 6 aprile porterà morte e distruzione. Inevitabili le polemiche nel post terremoto che si accentuano quando emergono le vergognose intercettazioni delle ore immediatamente successive alla scossa mortale nelle quali alcuni imprenditori ridono di quanto accaduto, pregustando affari milionari grazie alla ricostruzione. E’ chiaro ed evidente che si tratta di due situazioni completamente differenti, che nulla hanno a che vedere l’una con l’altra.
Ma l’emozione, il comprensibile sdegno di fronte a quelle risate finiscono per confondere e per travolgere tutto. E, nella confusione più totale, figuriamoci se nel nostro paese non si trova un pm, un magistrato pronto a cavalcare l’onda e a lanciarsi in una campagna giudiziaria verso quei tecnici che, in quel modo, vengono ritenuti corresponsabili della tragedia. In un clima di “tutti contro tutti” i partecipanti a quella riunione del 31 marzo finiscono per ritrovarsi indagati con l’accusa di omicidio colposo e lesioni.
Tra loro, poi, inizia un indecoroso scambio di accuse, con Bertoloso che accusa Boschi di aver stabilito che “non era prevedibile alcuna situazione di terremoto più violenta di quelle che si erano registrate”. L’allora presidente dell’Ingv replicava definendo assurde le affermazioni di Bertolaso e sostenendo di aver inviato alla Protezione civile un comunicato sulla sequenza in atto nel quale si sosteneva che “non poteva certo essere considerata tranquillizzante”. Non solo, aggiunge, anche di non aver condiviso, ritenendola irrituale, la riunione della Commissione Grandi Rischi, a suo giudizio convocata da Bertolaso solo per motivi mediatici e non per un concreto interesse, lamentando l’assenza di una discussione sulle misure da intraprendere e il fatto che al termine dell’incontro non venne compilato alcun verbale, prodotto solo dopo il sisma del 6 aprile.
Si scoprirà che entrambi non raccontano la verità perché è vero che il comunicato stampa dell’Ingv esiste ma è del 9 aprile, cioè 3 giorni dopo la scossa mortale, e mette in allerta sul possibile ripetersi di episodi di grave intensità. Al tempo stesso i verbali di quella riunione compariranno, sul sito della Protezione, solo dopo il 6 aprile.
In ogni caso in questo clima esasperato e ormai incontrollato si arriva al rinvio a giudizio per i componenti della Commissione Grandi Rischi e al processo di primo grado. Seguito con grande interesse non solo dai cittadini aquilani ma, anche e soprattutto, dalla comunità scientifica, indignata dal fatto che, a loro dire, si potesse mettere sotto accusa la scienza stessa, l’idea che i terremoti non sono prevedibili. In realtà sono gli stessi magistrati e giudici che hanno svolto tutti e tre i gradi di giudizio a non negare un simile assunto.
E al centro del procedimento giudiziario c’è un’altra questione, anch’essa, per la verità, difficile da sottoporre a giudizio in un tribunale: se l’esito di quella riunione della commissione avesse influenzato i comportamenti dei cittadini aquilani la notte tra il 5 e il 6 aprile del 2009. Un quesito che appare più filosofico che materia di procedimento giuridico. Esito, quindi, scontato? Neanche per idea, il processo di primo grado si chiude con una clamorosa sentenza di condanna a 6 anni di reclusione per tutti gli imputati.
Che, però, verrà poi ribaltata in appello, con l’assoluzione confermata in Cassazione anche per gli scagnozzi di Bertolaso, tra i quali appunto Mauro Dolce. “L’istruttoria non ha consentito – scrivono i giudici nelle motivazioni – di raggiungere un sicuro convincimento di responsabilità in ordine alla stessa sussistenza del fatto contestato, condotta esente da colpa con riferimento alla ‘valutazione’ e insussistente con riferimento alla condotta di ‘informazione”. Come detto l’unico ad essere condannato sarà De Bernardinis per le sue dichiarazioni in tv che, secondo i giudici, esprimevano “concetti scientificamente errati e certamente rassicuranti” e “tale condotta viola i canoni di diligenza e prudenza”.
Una sentenza che ha fatto storcere la bocca a più di una persona che ha voluto vedere nella condanna di uno dei funzionari di “secondo piano” quasi la ricerca di un capro espiatorio, una sorta di “contentino” da dare in pasto a media e cittadini per giustificare un così lungo procedimento. In realtà c’è poco da discutere, è chiaro (lo evidenziano i fatti) che quella riunione sia stato voluta da Bertolaso ed è difficile pensare che quelle di De Bernardinis fossero dichiarazioni personali.
Ma agli atti non c’è alcuna evidenza che possa far pensare che quella fosse la posizione ufficiale emersa dalla Commissione Grandi Rischi e lo stesso De Bernardinis ha sempre negato di aver ricevuto indicazioni o pressioni per esprimere quelle rassicuranti opinioni. Senza girarci intorno e senza ipocrisia è opportuno sottolineare come tutto il procedimento giudiziario è sembrato a dir poco discutibile. Che il punto centrale del processo fosse l’assunto che i terremoti non si possono prevedere o l’influenza che quella riunione ha avuto sui cittadini aquilani non sembrano esserci differenze.
Il punto, semplice ed evidente, è che se si condivide quell’assunto allora tutto il resto si riduce a sterili discussioni, a indecoroso folklore, a propaganda di bassa lega ma che non possono certo essere oggetto di discussione in aula giudiziaria. Ha pienamente ragione la senatrice abruzzese del Pd Stefania Pezzopane a sostenere che “le sentenze si rispettano sempre, ma resta l’amarezza per un dispositivo che ovviamente non affronta le responsabilità politiche di quanto accadde in quei giorni”.
Ma, proprio perché quanto accaduto nei giorni precedenti e anche in quelli successivi al 6 aprile 2009 deve essere oggetto di discussione in merito alle responsabilità politiche, quel processo non aveva ragione neppure di iniziare. Per questo è giusto riabilitare dal punto di vista giudiziario Bertolaso, che comunque ha dovuto sopportare un procedimento lungo anni privo di fondamento. Ma altro e completamente differente è il discorso circa le responsabilità politiche che, come capo della Protezione civile, ha avuto in quei giorni precedenti e in tutte le vicende “nebulose” e poco edificanti del post terremoto e della ricostruzione.
Il problema, però, è che nel nostro paese ormai da troppo tempo non si riesce più a disgiungere i due piani e sembra quasi che responsabilità politiche e giudiziarie ormai debbano viaggiare di pari passo e sovrapporsi. E invece non è così e non può essere più cosi, bisogna avere il coraggio di sostenere che dal punto di vista giudiziario (almeno in questo procedimento, vedremo cosa accadrà in altri che riguardano l’ex capo della Protezione civile) Bertolaso ha subito un trattamento non corretto e non meritato (del quale qualche organo di informazione dovrebbe quanto meno scusarsi).
Ma ciò nulla toglie alle eventuali responsabilità politiche di una gestione di tutta l’emergenza terremoto, prima e dopo il sisma, basata più sul desiderio e sulla preoccupazione di trasmettere un’immagine rassicurante e di efficienza piuttosto che di affrontare concretamente i problemi e le gravi questioni sul tavolo. Così, come è giusto sottolineare i limiti e l’insussistenza di quel procedimento giudiziario, è altrettanto innegabile che quella riunione del 31 marzo, voluta esclusivamente per una “operazione mediatica” da Bertolaso, fu un’indecorosa “pagliacciata” priva di una qualche utilità per i cittadini aquilani (se, come più volte ribadito, il terremoto non si può prevedere, che senso aveva farla? per raccontare cosa?).
Così come discutibile è stata tutta la gestione del post terremoto, a partire dai funerali di Stato prima dei quali l’ex capo della Protezione Civile si è ripetutamente preoccupato di garantire in chiesa la massima visibilità al presidente del Consiglio (diverse le telefonate per scongiurare il rischio che “finisse in seconda fila, dietro al Presidente della Repubblica”). Per non parlare degli appalti per la ricostruzione, anch’essi finiti al centro di un’inchiesta penale, per i quali lo stesso Bertolaso in un’apparizione televisiva si è giustificato sostenendo che forse aveva sbagliato qualcosa per non aver verificato a fondo a chi venivano affidati. Responsabilità (non penale) non da poco per uno che rivestiva il ruolo che all’epoca aveva Bertolaso.
Per non parlare poi di tutta la storia delle “new town”, realizzate in tutta fretta pensando esclusivamente al ritorno di immagine politico e non certo alle reali esigenze delle persone colpite dal terremoto. Tutto ciò, naturalmente, non può in alcun modo essere di competenza giudiziaria, quindi Bertolaso ha tutte le ragioni per dichiarare la sua soddisfazione e per reclamare a gran voce quanto meno le scuse di chi in questi anni lo ha condannato senza neppure aspettare le sentenze. Altra cosa, però, è contestargli le responsabilità politiche delle sue scelte dell’epoca. Assolutamente opinabili e criticabili, senza per questo dover per forza tirare in mezzo pm, magistrati e giudici.
In tutta questa matassa il professor Mauro Dolce c’è dentro fino al collo e adesso ci tocca pure vederlo sul ponte di comando in Calabria. Fabrizio Gatti, valente giornalista de L’Espresso, qualche anno fa scriveva…
Fa uno strano effetto vedere il professor Dolce parlare dalla stessa cattedra che fu di Galileo Galilei. L’Accademia dei Lincei, tempio massimo della scienza in Italia, aveva invitato Fabrizio Curcio, capo del Dipartimento nazionale della Protezione civile. Ma Curcio, impegnato a tamponare lo sfascio idrico di Messina, si è fatto sostituire dal suo consulente condannato due volte, in primo grado e in appello: Mauro Dolce ha tenuto la sua breve relazione a nome della Protezione civile, organo della presidenza del Consiglio dei ministri, quindi di Matteo Renzi e del suo governo…