Povera Calabria nostra: Berlusconi ci ha mandato il braccio destro di Bertolaso, si salvi chi può

La banda di Berlusconi non si smentisce mai. Una serie pressoché infinita di colletti bianchi borderline che pensano solo a fare soldi anche e soprattutto sulle disgrazie della gente. Adesso che gli scagnozzi di zio Silvio hanno capito che la Calabria è zona franca, nella quale la massomafia riesce con facilitò disarmante a controllare il voto e quindi a vincere le elezioni, hanno gioco facilissimo a piazzare gentaglia dentro le giunte. L’ultimo della serie, nominato da Robertino Occhiuto alias il parassita, appena eletto governatore della Calabria, è tale Mauro Dolce. Segni particolari: è stato braccio destro di Guido Bertolaso (uno dei peggiori colletti bianchi al servizio del mafioso Berlusconi, deus ex machina degli affari travestiti da “Protezione civile”) per anni ed è tra coloro che hanno la coscienza sporchissima (anche se la giustizia “taroccata” li ha levati dai guai) per quello che hanno combinato a L’Aquila. E anche se non ci sono state conseguenze giudiziarie, in Abruzzo se sentono nominare questi due cognomi, Bertolaso e Dolce appunto, vi inseguono per farvi del male. E hanno ragione da vendere.

Seguiteci attentamente.

Menzogne. Il 30 marzo 2009, una settimana prima del terremoto in Abruzzo, Bertolaso organizza a L’Aquila la commissione Grandi Rischi. “Un’operazione mediatica”, come la definisce lui stesso nelle intercettazioni, con lo scopo di “tranquillizzare la popolazione”. Per effetto di questa “operazione” molte persone sono rimaste serene nelle proprie case la notte del terremoto. Bertolaso è stato a lungo sotto processo con l’accusa di “omicidio colposo plurimo”, mentre il suo vice Bernardo De Bernardinis è stato condannato in via definitiva. Dopo il terremoto, le menzogne hanno continuato ad essere protagoniste: dalla grottesca idea del G8 – che ha avuto il solo merito di blindare la città e far costruire due inutili strade – alla favola “dalle tende alle case”.

Repressione. Fin da subito dopo il terremoto, Bertolaso, commissario per l’emergenza, ha utilizzato i suoi poteri per ostacolare in tutti i modi la partecipazione e l’autorganizzazione della popolazione, vietando assemblee e volantinaggi nelle tendopoli, trasferendo metà della popolazione in altre città e in altre regioni, e reprimendo ogni tipo di protesta, grazie alla complicità del prefetto e vice commissario Franco Gabrielli (poi suo successore a capo della protezione civile e Prefetto di Roma – guarda un po’!). Era vietato discutere del futuro della propria città o paese e fin dalle prime ore dopo il terremoto il territorio è stato completamente militarizzato. Si arrivò anche al paradossale sequestro delle carriole utilizzate per le proteste.

Speculazione. Con le palazzine del Progetto Case e le sue 19 “new town” Bertolaso ha sostanzialmente contribuito alla devastazione del territorio aquilano, occupando circa 460 ettari fuori città (più dell’estensione del centro storico aquilano) e favorendo, grazie alla deroga sugli appalti dovuta all’emergenza, le imprese che hanno costruito tali alloggi ad un costo intorno ai 3mila euro a metro quadro.

La Protezione Civile è arrivata perfino ad utilizzare isolatori sismici non collaudati e difettosi (forniti dalla fondazione Eucentre di Gian Michele Calvi), dal costo gonfiato, per cui Mauro Dolce, sì proprio lui il settimo assessore della giunta di Occhiuto il parassita, in qualità di responsabile del procedimento di realizzazione del Progetto Case è stato prima condannato e poi “graziato”. Ovviamente sia Calvi che Dolce facevano parte del Dipartimento dei Protezione Civile ed erano (e sono ancora) vicinissimi a Bertolaso. Anche qui viene da chiedersi dove fosse l’allora prefetto Gabrielli, che aveva il compito di vigilare sulla legalità della ricostruzione. Dopo cinque anni in alcuni di questi Progetti Case antisismici sono crollati i balconi e senza che ci fosse bisogno di un terremoto…

Ipocrisia. Bertolaso aveva creato un modello di Protezione Civile, al servizio del Governo Berlusconi, teso a nascondere dietro la propaganda mediatica le grandi speculazioni, come quella di Anemone e Balducci (entrambi già condannati). È successo a L’Aquila, nell’emergenza rifiuti in Campania, per i lavori del G8 alla Maddalena, per i mondiali di nuoto proprio a Roma, e in molti altri casi. Era una prassi talmente collaudata che Bertolaso ha perfino cercato di trasformare la Protezione Civile in una Spa! Solo le proteste dei movimenti, in primis di noi terremotati, sono riuscite a scongiurare una simile follia.

Potremmo continuare per ore. Sembra incredibile che la Protezione Civile abbia subito una simile deriva, piegandosi ad interessi affaristici e politici, e ancora più grave facendosi scudo dell’impegno e del lavoro di tanti volontari. Purtroppo questa gente non conosce dignità, come dimostra il fatto che Bertolaso sia stato persino candidato a sindaco di Roma e Gabrielli ne sia stato Prefetto! E che adesso viene sdoganato persino Dolce, mandato in Calabria a fare cassa.

Ma vale la pena soffermarsi ancora un po’ su quel disastro a L’Aquila per comprendere ancora meglio i fatti.

Ricapitolando: è la fine di mar­zo 2009 quan­do la Com­mis­sio­ne Gran­di Ri­schi si riu­ni­sce a l’A­qui­la. La cit­ta­di­na abruz­ze­se è da mesi scos­sa da un in­ter­mi­na­bi­le scia­me si­smi­co e tra gli aqui­la­ni cre­sce il ti­mo­re che que­sto sia solo il pre­lu­dio ad una vio­len­ta scos­sa. Ali­men­ta­to, tra l’al­tro, da un ex tec­ni­co del­l’I­sti­tu­to di Fi­si­ca del­lo Spa­zio In­ter­pla­ne­ta­rio, Giam­pao­lo Giu­lia­ni, che sul­la base del­la sua teo­ria le­ga­ta al ri­la­scio del ra­don (se­gui­ta tra gli anni ’70 e ’80 in Ca­li­for­nia ma poi ab­ban­do­na­ta per­ché con­si­de­ra­ta scar­sa­men­te at­ten­di­bi­le), ave­va più vol­te mes­so in guar­dia sul­la pos­si­bi­li­tà di un even­to si­smi­co mol­to vio­len­to nel­la zona.

Lo ave­va, in real­tà, con­fi­da­to ad ami­ci e non ave­va reso pub­bli­ca la sua con­vin­zio­ne, an­che in con­si­de­ra­zio­ne del­l’av­vi­so di ga­ran­zia ri­ce­vu­to pro­prio in quei gior­ni per la pre­ce­den­te pre­vi­sio­ne er­ra­ta, fat­ta 10 gior­ni pri­ma, su un pos­si­bi­le fe­no­me­no si­smi­co che sa­reb­be do­vu­to sca­te­nar­si a Sul­mo­na. Mol­to si è di­scus­so, nel post ter­re­mo­to, an­che di Giu­lia­ni, da mol­ti ac­cu­sa­to di fare scia­cal­lag­gio per aver di­chia­ra­to solo dopo la for­te scos­sa che lui ave­va pre­vi­sto tut­to. Nes­su­no, però, rac­con­ta che, pro­prio gra­zie ad una sua te­le­fo­na­ta po­che ore pri­ma del­la vio­len­ta scos­sa, gli abi­tan­ti di un’in­te­ra fra­zio­ne, Pa­ga­ni­ca, si sal­va­ro­no dal­la tra­ge­dia.

Ce l’ha sve­la­to anni fa il re­spon­sa­bi­le del­la pro­te­zio­ne di quel­la fra­zio­ne, rac­con­tan­do­ci che quel­la sera Giu­lia­ni te­le­fo­nò ad un pa­ren­te di Pa­ga­ni­ca an­nun­cian­do­gli che nel­la not­te sa­reb­be ar­ri­va­ta una vio­len­ta scos­sa e rac­co­man­dan­do­gli di av­vi­sa­re più per­so­ne pos­si­bi­le. Pro­prio gra­zie a quel­la te­le­fo­na­ta, la not­te del 6 apri­le pra­ti­ca­men­te tut­ti i re­si­den­ti di Pa­ga­ni­ca era­no in stra­da al si­cu­ro. La scos­sa ha poi raso al suo­lo la fra­zio­ne  che, però, ha avu­to una sola vit­ti­ma, un uomo an­zia­no che non ha vo­lu­to dare cre­di­to al­l’av­vi­so di Giu­lia­no. Tor­nan­do ai gior­ni pre­ce­den­ti il vio­len­to ter­re­mo­to, l’al­lar­me tra i cit­ta­di­ni aqui­la­ni, che co­mun­que rac­co­glie­va­no, cer­te voci era ai mas­si­mi li­vel­li. E per tran­quil­liz­za­re la po­po­la­zio­ne Ber­to­la­so de­ci­de di or­ga­niz­za­re una riu­nio­ne di tec­ni­ci.

E’ un’o­pe­ra­zio­ne me­dia­ti­ca per­ché vo­glia­mo ras­si­cu­ra­re la gen­te af­fer­ma l’ex capo del­la Pro­te­zio­ne ci­vi­le in un col­lo­quio te­le­fo­ni­co in­ter­cet­ta­to con l’al­lo­ra as­ses­so­re re­gio­na­le alla Pro­te­zio­ne Ci­vi­le Da­nie­la Sta­ti. Così il 31 mar­zo a l’A­qui­la va in sce­na que­sta riu­nio­ne del­la Com­mis­sio­ne Gran­di Ri­schi alla qua­le par­te­ci­pa­no esclu­si­va­men­te tec­ni­ci. Riu­nio­ne che tra­smet­te­rà un qua­dro ras­si­cu­ran­te del­la si­tua­zio­ne, an­che se in con­cre­to nes­su­no dei pre­sen­ti si espo­ne in ma­nie­ra chia­ra. L’u­ni­co a far­lo è De Ber­nar­di­nis che ad un’e­mit­ten­te pri­va­ta del luo­go af­fer­ma: “Non c’è pe­ri­co­lo, anzi è una si­tua­zio­ne fa­vo­re­vo­le per­ché c’è uno sca­ri­co di ener­gia con­ti­nuo”.

Ap­pe­na 7 gior­ni dopo, però, la tra­ge­dia, con la vio­len­ta scos­sa che nel­la not­te del 6 apri­le por­te­rà mor­te e di­stru­zio­ne. Ine­vi­ta­bi­li le po­le­mi­che nel post ter­re­mo­to che si ac­cen­tua­no  quan­do emer­go­no le ver­go­gno­se in­ter­cet­ta­zio­ni del­le ore im­me­dia­ta­men­te suc­ces­si­ve alla scos­sa mor­ta­le nel­le qua­li al­cu­ni im­pren­di­to­ri ri­do­no di quan­to ac­ca­du­to, pre­gu­stan­do af­fa­ri mi­lio­na­ri gra­zie alla ri­co­stru­zio­ne. E’ chia­ro ed evi­den­te che si trat­ta di due si­tua­zio­ni com­ple­ta­men­te dif­fe­ren­ti, che nul­la han­no a che ve­de­re l’u­na con l’al­tra.

Ma l’e­mo­zio­ne, il com­pren­si­bi­le sde­gno di fron­te a quel­le ri­sa­te fi­ni­sco­no per con­fon­de­re e per tra­vol­ge­re tut­to. E, nel­la con­fu­sio­ne più to­ta­le, fi­gu­ria­mo­ci se nel no­stro pae­se non si tro­va un pm, un ma­gi­stra­to pron­to a ca­val­ca­re l’on­da e a lan­ciar­si in una cam­pa­gna giu­di­zia­ria ver­so quei tec­ni­ci che, in quel modo, ven­go­no ri­te­nu­ti cor­re­spon­sa­bi­li del­la tra­ge­dia. In un cli­ma di “tut­ti con­tro tut­ti” i par­te­ci­pan­ti a quel­la riu­nio­ne del 31 mar­zo fi­ni­sco­no per ri­tro­var­si in­da­ga­ti con l’ac­cu­sa di omi­ci­dio col­po­so e le­sio­ni.

Tra loro, poi, ini­zia un in­de­co­ro­so scam­bio di ac­cu­se, con Ber­to­lo­so che ac­cu­sa Bo­schi di aver sta­bi­li­to che “non era pre­ve­di­bi­le al­cu­na si­tua­zio­ne di ter­re­mo­to più vio­len­ta di quel­le che si era­no re­gi­stra­te”. L’al­lo­ra pre­si­den­te del­l’Ingv re­pli­cava de­fi­nen­do as­sur­de le af­fer­ma­zio­ni di Ber­to­la­so e so­ste­nen­do di aver in­via­to alla Pro­te­zio­ne ci­vi­le un co­mu­ni­ca­to sul­la se­quen­za in atto nel qua­le si so­ste­ne­va che “non po­te­va cer­to es­se­re con­si­de­ra­ta tran­quil­liz­zan­te”. Non solo, ag­giun­ge, an­che di non aver con­di­vi­so, ri­te­nen­do­la ir­ri­tua­le, la riu­nio­ne del­la Com­mis­sio­ne Gran­di Ri­schi, a suo giu­di­zio con­vo­ca­ta da Ber­to­la­so solo per mo­ti­vi me­dia­ti­ci e non per un con­cre­to in­te­res­se, la­men­tan­do l’as­sen­za di una di­scus­sio­ne sul­le mi­su­re da in­tra­pren­de­re e il fat­to che al ter­mi­ne del­l’in­con­tro non ven­ne com­pi­la­to al­cun ver­ba­le, pro­dot­to solo dopo il si­sma del 6 apri­le.

Si sco­pri­rà che en­tram­bi non rac­con­ta­no la ve­ri­tà per­ché è vero che il co­mu­ni­ca­to stam­pa del­l’Ingv esi­ste ma è del 9 apri­le, cioè 3 gior­ni dopo la scos­sa mor­ta­le, e met­te in al­ler­ta sul pos­si­bi­le ri­pe­ter­si di epi­so­di di gra­ve in­ten­si­tà. Al tem­po stes­so i ver­ba­li di quel­la riu­nio­ne com­pa­ri­ran­no, sul sito del­la Pro­te­zio­ne, solo dopo il 6 apri­le.

In ogni caso in que­sto cli­ma esa­spe­ra­to e or­mai in­con­trol­la­to si ar­ri­va al rin­vio a giu­di­zio per i com­po­nen­ti del­la Com­mis­sio­ne Gran­di Ri­schi e al pro­ces­so di pri­mo gra­do. Se­gui­to con gran­de in­te­res­se non solo dai cit­ta­di­ni aqui­la­ni ma, an­che e so­prat­tut­to, dal­la co­mu­ni­tà scien­ti­fi­ca, in­di­gna­ta dal fat­to che, a loro dire, si po­tes­se met­te­re sot­to ac­cu­sa la scien­za stes­sa, l’i­dea che i ter­re­mo­ti non sono pre­ve­di­bi­li. In real­tà sono gli stes­si ma­gi­stra­ti e giu­di­ci che han­no svol­to tut­ti e tre i gra­di di giu­di­zio a non ne­ga­re un si­mi­le as­sun­to.

E al cen­tro del pro­ce­di­men­to giu­di­zia­rio c’è un’al­tra que­stio­ne, an­ch’es­sa, per la ve­ri­tà, dif­fi­ci­le da sot­to­por­re a giu­di­zio in un tri­bu­na­le: se l’e­si­to di quel­la riu­nio­ne del­la com­mis­sio­ne aves­se in­fluen­za­to i com­por­ta­men­ti dei cit­ta­di­ni aqui­la­ni la not­te tra il 5 e il 6 apri­le del 2009. Un que­si­to che ap­pa­re più fi­lo­so­fi­co che ma­te­ria di pro­ce­di­men­to giu­ri­di­co. Esi­to, quin­di, scon­ta­to? Nean­che per idea, il pro­ces­so di pri­mo gra­do si chiu­de con una cla­mo­ro­sa sen­ten­za di con­dan­na a 6 anni di re­clu­sio­ne per tut­ti gli im­pu­ta­ti.

Che, però, ver­rà poi ri­bal­ta­ta in ap­pel­lo, con l’as­so­lu­zio­ne con­fer­ma­ta in Cas­sa­zio­ne anche per gli scagnozzi di Bertolaso, tra i quali appunto Mauro Dolce. “L’i­strut­to­ria non ha con­sen­ti­to – scri­vo­no i giu­di­ci nel­le mo­ti­va­zio­ni  – di rag­giun­ge­re un si­cu­ro con­vin­ci­men­to di re­spon­sa­bi­li­tà in or­di­ne alla stes­sa sus­si­sten­za del fat­to con­te­sta­to, con­dot­ta esen­te da col­pa con ri­fe­ri­men­to alla ‘va­lu­ta­zio­ne’ e in­sus­si­sten­te con ri­fe­ri­men­to alla con­dot­ta di ‘in­for­ma­zio­ne”. Come det­to l’u­ni­co ad es­se­re con­dan­na­to sarà De Ber­nar­di­nis per le sue di­chia­ra­zio­ni in tv che, se­con­do i giu­di­ci, espri­me­va­no “con­cet­ti scien­ti­fi­ca­men­te er­ra­ti e cer­ta­men­te ras­si­cu­ran­ti” e “tale con­dot­ta vio­la i ca­no­ni di di­li­gen­za e pru­den­za”.

Una sen­ten­za che ha fat­to stor­ce­re la boc­ca a più di una per­so­na che ha vo­lu­to ve­de­re nel­la con­dan­na di uno dei fun­zio­na­ri di “se­con­do pia­no” qua­si la ri­cer­ca di un ca­pro espia­to­rio, una sor­ta di “con­ten­ti­no” da dare in pa­sto a me­dia e cit­ta­di­ni per giu­sti­fi­ca­re un così lun­go pro­ce­di­men­to. In real­tà c’è poco da di­scu­te­re, è chia­ro (lo evi­den­zia­no i fat­ti) che quel­la riu­nio­ne sia sta­to vo­lu­ta da Ber­to­la­so ed è dif­fi­ci­le pen­sa­re che quel­le di De Ber­nar­di­nis fos­se­ro di­chia­ra­zio­ni per­so­na­li.

Ma agli atti non c’è al­cu­na evi­den­za che pos­sa far pen­sa­re che quel­la fos­se la po­si­zio­ne uf­fi­cia­le emer­sa dal­la Com­mis­sio­ne Gran­di Ri­schi e lo stes­so De Ber­nar­di­nis ha sem­pre ne­ga­to di aver ri­ce­vu­to in­di­ca­zio­ni o pres­sio­ni per espri­me­re quel­le ras­si­cu­ran­ti opi­nio­ni. Sen­za gi­rar­ci in­tor­no e sen­za ipo­cri­sia è op­por­tu­no sot­to­li­nea­re come tut­to il pro­ce­di­men­to giu­di­zia­rio è sem­bra­to a dir poco di­scu­ti­bi­le. Che il pun­to cen­tra­le del pro­ces­so fos­se l’as­sun­to che i ter­re­mo­ti non si pos­so­no pre­ve­de­re o l’in­fluen­za che quel­la riu­nio­ne ha avu­to sui cit­ta­di­ni aqui­la­ni non sem­bra­no es­ser­ci dif­fe­ren­ze.

Il pun­to, sem­pli­ce ed evi­den­te, è che se si con­di­vi­de quel­l’as­sun­to al­lo­ra tut­to il re­sto si ri­du­ce a ste­ri­li di­scus­sio­ni, a in­de­co­ro­so fol­klo­re, a pro­pa­gan­da di bas­sa lega ma che non pos­so­no cer­to es­se­re og­get­to di di­scus­sio­ne in aula giu­di­zia­ria. Ha pie­na­men­te ra­gio­ne la se­na­tri­ce abruz­ze­se del Pd Ste­fa­nia Pez­zo­pa­ne a so­ste­ne­re che  “le sen­ten­ze si ri­spet­ta­no sem­pre, ma re­sta l’a­ma­rez­za per un di­spo­si­ti­vo che ov­via­men­te non af­fron­ta le re­spon­sa­bi­li­tà po­li­ti­che di quan­to ac­cad­de in quei gior­ni”.

Ma, pro­prio per­ché quan­to ac­ca­du­to nei gior­ni pre­ce­den­ti e an­che in quel­li suc­ces­si­vi al 6 apri­le 2009 deve es­se­re og­get­to di di­scus­sio­ne in me­ri­to alle re­spon­sa­bi­li­tà po­li­ti­che, quel pro­ces­so non ave­va ra­gio­ne nep­pu­re di ini­zia­re. Per que­sto è giu­sto ria­bi­li­ta­re dal pun­to di vi­sta giu­di­zia­rio Ber­to­la­so, che co­mun­que ha do­vu­to sop­por­ta­re un pro­ce­di­men­to lun­go anni pri­vo di fon­da­men­to. Ma al­tro e com­ple­ta­men­te dif­fe­ren­te è il di­scor­so cir­ca le re­spon­sa­bi­li­tà po­li­ti­che che, come capo del­la Pro­te­zio­ne ci­vi­le, ha avu­to in quei gior­ni pre­ce­den­ti e in tut­te le vi­cen­de “ne­bu­lo­se” e poco edi­fi­can­ti del post ter­re­mo­to e del­la ri­co­stru­zio­ne.

Il pro­ble­ma, però, è che nel no­stro pae­se or­mai da trop­po tem­po non si rie­sce più a di­sgiun­ge­re i due pia­ni e sem­bra qua­si che re­spon­sa­bi­li­tà po­li­ti­che e giu­di­zia­rie or­mai deb­ba­no viag­gia­re di pari pas­so e so­vrap­por­si. E in­ve­ce non è così e non può es­se­re più cosi, bi­so­gna ave­re il co­rag­gio di so­ste­ne­re che dal pun­to di vi­sta giu­di­zia­rio (al­me­no in que­sto pro­ce­di­men­to, ve­dre­mo cosa ac­ca­drà in al­tri che ri­guar­da­no l’ex capo del­la Pro­te­zio­ne ci­vi­le) Ber­to­la­so ha su­bi­to un trat­ta­men­to non cor­ret­to e non me­ri­ta­to (del qua­le qual­che or­ga­no di in­for­ma­zio­ne do­vreb­be quan­to meno scu­sar­si).

Ma ciò nul­la to­glie alle even­tua­li re­spon­sa­bi­li­tà po­li­ti­che di una ge­stio­ne di tut­ta l’e­mer­gen­za ter­re­mo­to, pri­ma e dopo il si­sma, ba­sa­ta più sul de­si­de­rio e sul­la pre­oc­cu­pa­zio­ne di tra­smet­te­re un’im­ma­gi­ne ras­si­cu­ran­te e di ef­fi­cien­za piut­to­sto che di af­fron­ta­re con­cre­ta­men­te i pro­ble­mi e le gra­vi que­stio­ni sul ta­vo­lo. Così, come è giu­sto sot­to­li­nea­re i li­mi­ti e l’in­sus­si­sten­za di quel pro­ce­di­men­to giu­di­zia­rio, è al­tret­tan­to in­ne­ga­bi­le che quel­la riu­nio­ne del 31 mar­zo, vo­lu­ta esclu­si­va­men­te per una “ope­ra­zio­ne me­dia­ti­ca” da Ber­to­la­so, fu un’in­de­co­ro­sa “pa­gliac­cia­ta” pri­va di una qual­che uti­li­tà per i cit­ta­di­ni aqui­la­ni (se, come più vol­te ri­ba­di­to, il ter­re­mo­to non si può pre­ve­de­re, che sen­so ave­va far­la? per rac­con­ta­re cosa?).

Così come  di­scu­ti­bi­le è sta­ta tut­ta la ge­stio­ne del post ter­re­mo­to, a par­ti­re dai fu­ne­ra­li di Sta­to pri­ma dei qua­li l’ex capo del­la Pro­te­zio­ne Ci­vi­le si è ri­pe­tu­ta­men­te pre­oc­cu­pa­to di ga­ran­ti­re in chie­sa la mas­si­ma vi­si­bi­li­tà al pre­si­den­te del Con­si­glio (di­ver­se le te­le­fo­na­te per scon­giu­ra­re il ri­schio che “fi­nis­se in se­con­da fila, die­tro al Pre­si­den­te del­la Re­pub­bli­ca”). Per non par­la­re de­gli ap­pal­ti per la ri­co­stru­zio­ne, an­ch’es­si fi­ni­ti al cen­tro di un’in­chie­sta pe­na­le, per i qua­li lo stes­so Ber­to­la­so in un’ap­pa­ri­zio­ne te­le­vi­si­va si è giu­sti­fi­ca­to so­ste­nen­do che for­se ave­va sba­glia­to qual­co­sa per non aver ve­ri­fi­ca­to a fon­do a chi ve­ni­va­no af­fi­da­ti. Re­spon­sa­bi­li­tà (non pe­na­le) non da poco per uno che ri­ve­sti­va il ruo­lo che al­l’e­po­ca ave­va Ber­to­la­so.

Per non par­la­re poi di tut­ta la sto­ria del­le “new town”, rea­liz­za­te in tut­ta fret­ta pen­san­do esclu­si­va­men­te al ri­tor­no di im­ma­gi­ne po­li­ti­co e non cer­to alle rea­li esi­gen­ze del­le per­so­ne col­pi­te dal ter­re­mo­to. Tut­to ciò, na­tu­ral­men­te, non può in al­cun modo es­se­re di com­pe­ten­za giu­di­zia­ria, quin­di Ber­to­la­so ha tut­te le ra­gio­ni per di­chia­ra­re la sua sod­di­sfa­zio­ne e per re­cla­ma­re a gran voce quan­to meno le scu­se di chi in que­sti anni lo ha con­dan­na­to sen­za nep­pu­re aspet­ta­re le sen­ten­ze. Al­tra cosa, però, è con­te­star­gli le re­spon­sa­bi­li­tà po­li­ti­che del­le sue scel­te del­l’e­po­ca. As­so­lu­ta­men­te opi­na­bi­li e cri­ti­ca­bi­li, sen­za per que­sto do­ver per for­za ti­ra­re in mez­zo pm, ma­gi­stra­ti e giu­di­ci. 

In tutta questa matassa il professor Mauro Dolce c’è dentro fino al collo e adesso ci tocca pure vederlo sul ponte di comando in Calabria. Fabrizio Gatti, valente giornalista de L’Espresso, qualche anno fa scriveva…

Fa uno strano effetto vedere il professor Dolce parlare dalla stessa cattedra che fu di Galileo Galilei. L’Accademia dei Lincei, tempio massimo della scienza in Italia, aveva invitato Fabrizio Curcio, capo del Dipartimento nazionale della Protezione civile. Ma Curcio, impegnato a tamponare lo sfascio idrico di Messina, si è fatto sostituire dal suo consulente condannato due volte, in primo grado e in appello: Mauro Dolce ha tenuto la sua breve relazione a nome della Protezione civile, organo della presidenza del Consiglio dei ministri, quindi di Matteo Renzi e del suo governo…