Putin può essere arrestato per il conflitto in Ucraina?

di Marilisa Palumbo

Fonte: Corriere della Sera

«A quasi un anno di distanza, la domanda non è più se ci sarà un tribunale speciale per il crimine di aggressione commesso da Putin. La questione è solo come sarà». Il 28 febbraio 2022 Philippe Sands, professore di diritto internazionale all’University College di Londra, scrisse un intervento sul Financial Times per promuovere l’idea che alle indagini sui crimini di guerra della Corte penale internazionale si affiancasse un organo ad hoc per giudicare l’atto di aggressione, definito dalla carta dell’Onu come «l’invasione o l’attacco da parte delle Forze armate di uno Stato sul territorio di un altro Stato, o qualsiasi occupazione militare»: il «crimine internazionale supremo», quello dal quale scaturiscono tutti gli altri. E anche quello più semplice da attribuire a chi le guerre le decide, in questo caso Putin, che invece sarebbe più difficile da processare per crimini di guerra: bisognerebbe in quel caso provare che il singolo soldato o l’unità che ha commesso le atrocità — pensiamo a Bucha — ne abbia ricevuto l’ordine direttamente dal Cremlino.

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I grandi aderiscono
Ad aprile, quando il Corriere lo intervistò, Sands raccontò dei primi passi di una campagna che non immaginava sarebbe arrivata così lontano. I primi a contattarlo furono l’ex premier britannico Gordon Brown e il ministro degli Esteri ucraino Dmytro Kuleba. «Con Brown — racconta oggi Sands — formammo una mini coalizione, dai Baltici alla Polonia. Ma ci serviva che si esponesse un Paese più grande. Lo ha fatto la Francia. Poi la Germania, poi il Regno Unito, ora anche gli Usa».

La prudenza italiana
A inizio febbraio, durante una conferenza stampa congiunta con Zelensky, la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ha annunciato la creazione all’Aia di un centro internazionale per le indagini sul crimine di aggressione in Ucraina, che raccoglierà prove per un potenziale futuro processo. L’Olanda si è detta pronta a ospitare il nuovo tribunale. Quanto all’Italia, il ministro degli Esteri Antonio Tajani ha detto di recente che Roma «non è contraria alla proposta di un tribunale ad hoc, ma comunque c’è già l’Aia. Vedremo quello che accadrà».

Le resistenze
La Corte penale internazionale (Cpi), subito coinvolta nell’indagine sui crimini di guerra in Ucraina, non può però perseguire l’atto di aggressione, a meno che non vi sia deferita dal Consiglio di sicurezza, bloccato dal veto russo. E l’emendamento di Kampala, che nel 2010 aggiunse il crimine di aggressione al Trattato di Roma istitutivo della Corte, è stato ratificato solo da 44 dei 123 Paesi dello Statuto. Nonostante questo Karim Khan, attuale procuratore della Corte, è stato duro sulla creazione di un tribunale ad hoc, sostenendo che delegittimerebbe la Cpi e le sottrarrebbe risorse.

Il doppio standard
Anche Emma Bonino, che fu tra le protagoniste della stesura del Trattato e della campagna forsennata per la ratifica – «Ci dicevano che era impossibile, che non ce l’avremmo mai fatta», ricorda – si innervosisce a sentire parlare di un tribunale ad hoc, e non solo per ragioni personali. «Modifichiamo piuttosto lo statuto della Corte penale internazionale», dice, e solleva un’obiezione condivisa da molti: «Allora lo sforzo fu quello di stabilire una corte che non avesse una venatura ultra politica perché decisa dal Consiglio di sicurezza, ora perché tornare indietro?». Il timore è insomma quello di un tribunale troppo «eurocentrico», con gli Stati Uniti che la appoggiano mentre non hanno mai ratificato la Corte penale internazionale.

«Condivido questa preoccupazione – ammette Sands – ma serve anche realismo, la consapevolezza di non avere sostegno da parte del “Sud globale”, dall’Africa, dall’Asia, dal Sud America. E allora cosa si fa? Nulla? Sono sempre dell’idea che il meglio sia nemico del bene, ma non è che non veda l’elefante nella stanza». Quell’elefante si chiama Iraq, la cui invasione da parte della coalizione guidata dagli Usa, senza l’avallo delle Nazioni Unite, si avvicina al ventennale. «Quella in Iraq è stata una guerra palesemente illegale. E capisco che irriti i miei amici in Africa e Sudamerica il doppio standard di Gran Bretagna e Stati Uniti che fanno dichiarazioni sull’illegalità di altre guerre. Quindi Emma ha ragione, ma non c’è via di uscita, questa è la situazione che abbiamo davanti».

I valori di Norimberga
Ma quali sono le opzioni concrete sul tavolo per la costruzione di un tribunale ad hoc? «La prima è un tribunale internazionale a tutti gli effetti, creato con un trattato tra l’Ucraina e le Nazioni Unite o l’Ucraina e l’Unione Europea, da un lato, e dall’altro, quello che viene chiamato un tribunale ibrido o tribunale internazionalizzato, creato cioè attraverso l’internazionalizzazione del sistema giuridico ucraino. La seconda è l’opzione più semplice, ma la mia preferenza va a un vero tribunale internazionale». Un accordo con il consiglio di sicurezza dell’Onu è impossibile a causa del veto russo, allora, spiega Sands, «si può provare passando attraverso l’assemblea generale, ma anche lì non è detto che ci sia il sostegno necessario». L’accordo solo con l’Unione europea (secondo il modello del Kosovo), o con un gruppo di Stati individuali, faciliterebbe il percorso ma aumenterebbe i problemi di legittimità del tribunale. «Anche solo una iniziativa europea però — fa notare Sands — sarebbe un modo per segnalare il sostegno ai valori del 1945 e di Norimberga: non c’è più stato un tribunale per il crimine di aggressione da allora». Anche quella fu una corte dei vincitori, ma grazie alla qualità del suo lavoro contribuì alla costituzione di un meccanismo per la responsabilità penale internazionale.

La domanda è semmai come si può, senza un regime change a Mosca, processare Putin. «La common law del diritto britannico (e anche la Corte penale internazionale, ndr) non prevede processi in absentia, al contrario di molti ordinamenti in Europa, e io personalmente sarei sfavorevole», dice Sands, che però non ritiene questo un motivo per arrendersi: «Queste cose richiedono tempo. Quando il tribunale per la Jugoslavia fu creato nessuno pensava che avrebbero messo le mani su Milosevic, ma alla fine successe, e quando i leader dell’Europa occupata si riunirono a Londra nel gennaio 1942 nessuno pensava che i nazisti sarebbero davvero stati portati alla sbarra». Sands si riferisce alla dichiarazione di Saint James, alla quale lavorò anche Hersch Lauterpacht, giurista di Leopoli la cui storia (assieme a quella del conterraneo Raphael Lemkin) il professore racconta nel suo La strada verso Est (Guanda).

Il nodo dell’immunità
C’è poi un altro nodo, quello dell’immunità dei capi di Stato. «Quando si parla dei cosiddetti crimini internazionali, i crimini di guerra, contro l’umanità, genocidio, non c’è immunità per i capi di Stato, per l’aggressione non è chiaro. Ma c’è una norma di diritto internazionale consuetudinario secondo la quale questa immunità non esiste», spiega una fonte che ha lavorato dentro diverse corte internazionali.

L’incriminazione
Una cosa è certa: intanto la sola incriminazione costituirebbe un duro colpo per lo zar e il suo cerchio magico. Nel giro di meno di un anno, ha scritto Gordon Brown i pubblici ministeri di questo tribunale «potrebbero procedere a incriminazioni in contumacia. Ciò garantirebbe la fine della capacità dei funzionari russi di viaggiare all’estero senza temere l’arresto, riducendo probabilmente la cerchia di sicofanti di Putin. Potrebbe anche creare un incentivo per i consiglieri più stretti di Putin ad abbandonarlo».