Reggio 70, i cortei spontanei e i “quartieri indipendenti” del 14 luglio

Sono passati cinquant’anni dalla rivolta che infiammò Reggio Calabria e l’Italia intera, la più lunga e violenta del dopoguerra. I “Moti di Reggio”, ricordati anche più semplicemente come i “Fatti di Reggio” ebbero il loro periodo più caldo da luglio 1970 a febbraio 1971: otto lunghi mesi di guerriglia che lasciarono sul campo cinque morti (il ferroviere Bruno Labate, l’autista Angelo Campanella, gli agenti Vincenzo Curigliano e Antonio Bellotti e il barista Angelo Jaconis), circa 2.000 feriti, un migliaio di arresti e denunce, danni per miliardi di lire. Oltre a una scia di eventi dalla matrice dubbia, come il deragliamento “del treno del Sole” Palermo-Torino all’altezza di Gioia Tauro il 22 luglio 1970 (6 morti e circa 60 feriti) o l’incidente stradale che provocò la morte di cinque anarchici (26 settembre 1970)  su uno sfondo nel quale si è anche parlato di ‘ndrangheta, servizi segreti, neofascismo.

Il “furto” del capoluogo

Tutto ebbe inizio il 5 luglio quando l’allora sindaco, Piero Battaglia (Dc), con il suo “Rapporto alla città”, informò i reggini dell’accordo politico-istituzionale fatto a Roma, sull’asse Catanzaro-Cosenza, ai danni di Reggio Calabria.

Al centro della questione la decisione, appoggiata da Roma, di scegliere Catanzaro come sede del capoluogo della Calabria, una decisione caldeggiata e favorita in particolare dai politici cosentini Riccardo Misasi e Giacomo Mancini, all’epoca influenti l’uno nella Dc, l’altro nel Psi, e ritenuti i veri responsabili di questo “furto del capoluogo”.  Fu la scintilla di una rivolta che diventerà inarrestabile all’indomani della decisione di convocare a Catanzaro la prima seduta del neo eletto Consiglio regionale della Calabria.  “All’inizio fu solo una protesta – racconta uno dei protagonisti di quei giorni, Fortunato Aloi, ex parlamentare e dirigente del Msi – che non riuscendo a trovare un interlocutore si trasformò presto in rivolta”. L’Italia in quei giorni era senza una guida. Dopo soli 131 giorni si era dimesso il III Governo Rumor e si dovette attendere il 6 agosto per avere un nuovo esecutivo, guidato dal dc Emilio Colombo, con Psi, Psdi e Pri in cui ricoprivano importanti ruoli esponenti della politica catanzarese e cosentina.

L’Italia divisa in due

La mattina del 14 luglio, un corteo spontaneo partì dal quartiere Santa Caterina. Lo guidava proprio Natino Aloi. Da sei che erano all’inizio, divennero trentamila. “Scelsi di difendere la città – spiega oggi Aloi – dal momento che tutti i partiti, nessuno escluso, per motivazioni di ordine regionale e nazionale, anche se il vero potere era concentrato tra Catanzaro e Cosenza, decisero di non pronunciarsi”. E così Reggio divenne teatro di una guerriglia urbana senza precedenti.

Ci furono scioperi (19 giorni solo tra luglio e settembre), cortei, attentati dinamitardi, assalti a prefettura e questura, chiusure prolungate di uffici, negozi, scuole, poste, banche; e ancora il blocco di porto, aeroporto, navi, treni, strade e autostrade. In piazza confluivano giovani studenti, uomini e donne, papà, mamme, nonni, ma i cortei spesso sfociavano in scontri tra manifestanti e forze dell’ordine. Ci furono barricate, con i carri armati, gli M 13, che stazionavano nelle vie principali di Reggio e un afflusso di migliaia di militari (si parlò di diecimila) in assetto antisommossa.

La città divenne un campo di battaglia, anche per la “durezza” con cui le forze dell’ordine provavano a placare le proteste.  In piazza scesero Demetrio Mauro, industriale del caffè, Amedeo Matacena, armatore privato dei collegamenti navali nello Stretto, e l’ex comandante partigiano Alfredo Perna. Fu anche la rivolta delle donne. Persino la Curia, con a capo l’Arcivescovo mons. Giovanni Ferro, tra polemiche e feroci attacchi, difese la protesta per il capoluogo.

Molti quartieri si autoproclamarono indipendenti, come la ‘Repubblica di Sbarre’ e il ‘Gran ducato di Santa Caterina’, e non fu risparmiato il centro, teatro di roghi, assalti, scontri con la ‘Celere’ che culminarono con l’assedio e l’incendio della Questura (nell’evento morì per infarto Curigliano) e che solo grazie alla lungimiranza del questore Emilio Santillo, non si trasformarono in tragedia.

I Moti di Reggio finirono sulle prime pagine dei quotidiani nazionali. “Fu una rivolta di popolo, spontanea ed interclassista”, dice Aloi che assieme a Ciccio Franco, Renato Meduri e Antonio Dieni, ne fece la lotta del Msi. Alla fine rimasero i morti, cinque, tre civili e due poliziotti, i tanti feriti, gli arresti e i processi che continuarono per anni e le oscure vicende che fecero della rivolta di Reggio del ’70 una sorta di campo di addestramento di un più ampio progetto della destra eversiva, quella che voleva sovvertire l’ordine democratico, con la presenza di Junio Valerio Borghese, Franco Freda, Stefano Delle Chiaie. E i legami con oscuri settori massonici e della ‘ndrangheta in un sodalizio politico-criminale con numerosi attentati, come quello che il 22 luglio 1970 fece deragliare a Gioia Tauro il treno Torino-Reggio Calabria, provocando la morte di sei persone.

I Moti di Reggio sono passati alla storia anche per il famoso slogan “Boia chi molla” e hanno visto nel sindacalista della Cisnal Ciccio Franco il leader riconosciuto. Ma era la gente a guidare la rivolta, a rivendicare diritti che sentiva svanire, a mettersi sotto il mantello di alcuni comitati (in particolare il Comitato unitario e il Comitato d’azione) di orientamento politico trasversale. Si andò avanti fino al 1971 quando Il Governo decise di chiudere la partita con la forza, inviando a Reggio reparti dell’esercito e decine di carri armati. Arrivarono le promesse: il famoso “Pacchetto Colombo”: Giunta regionale a Catanzaro, Consiglio regionale a Reggio Calabria, Università a Cosenza. E ancora: promessa alla città di Reggio della costruzione del centro siderurgico a Gioia Tauro e uno stabilimento della Liquilchimica a Saline Joniche (operativa solo per pochi mesi) con il miraggio di migliaia di posti di lavoro. Il tutto è rimasto negli anni solo un bel progetto mai realizzato.

tratto da “Buio a Reggio” di Luigi MalafarinaFranco Bruno e Santo Strati 

Martedì 14 Luglio 1970 – Lo sciopero continua. La protesta si apre con i lunghi cortei attraverso il Corso Garibaldi. Gli uffici, i negozi e le banche sono chiusi. Mentre una parte della folla si ferma in piazza Italia ad ascoltare le parole del Sindaco e del consigliere provinciale Fortunato Aloi (MSI), tanti altri si danno da fare per innalzare le prime barricate: sul Corso, sul Lungomare, in prossimità della Stazione Centrale, in via Pio XI, al rione Sbarre, in via XXI Agosto, al rione S. Caterina. Lo scopo di intralciare il traffico è raggiunto. Il movimento dei veicoli è lentissimo, a volte impossibile. Un blocco stradale che pregiudica il collegamento del capoluogo con il versante tirrenico della provincia è attuato sull’autostrada, allo svincolo di S. Trada con alcuni autobus portati là nơn si sa da chi.
Le barricate sono innalzate con quanto capita sottomano. Si saccheggiano i cantieri edili di sbarre di ferro, tavoloni, sacchi pieni di cemento; sul Corso vengono persino trascinate alcune panchine di ferro divelte alla Comunale.

La polizia e i carabinieri si adoperano per rimuovere i blocchi, ma accade che, mentre essi si prodigano in una certa zona, altrove sorgono nuove barricate. Naturalmente restano fermi per tutto il giorno gli autobus, sia dell’Azienda municipale che delle autolinee private.
Nel pomeriggio, i vigili del fuoco accorrono al Ponte Calopinace, dove i dimostranti hanno dato fuoco alle barricate. Ancora nel pomeriggio giunge notizia da Roma che il Presidente della Camera, Pertini, ha annunciato ai deputati l’avvenuta presentazione della proposta di legge dell’on. Reale, in base alla quale dovrebbe essere il Parlamento a indicare il capoluogo di regione. In serata la situazione precipita improvvisamente. I primi scontri si hanno nei pressi della pineta, in via Marina, tra un gruppo di dimostranti che occupa i binari della ferrovia e agenti di polizia. Nel corso degli incidenti si hanno feriti e contusi tra i dimostranti – che ricorrono alle cure dei medici privati, per evitare di venire identificati e quindi arrestati – e tra gli agenti. Vengono operati dieci fermi.

La notizia percorre la città ed un’immensa folla si raduna in piazza Italia a protestare. Tramite la mediazione del Sindaco Battaglia, il Prefetto De Rossi fa rilasciare i fermati, dopo la denuncia a piede libero per vari reati (resistenza, oltraggio a pubblico ufficiale e blocco stradale e ferroviario). La folla, però, non si disperde e la polizia, verso le 21, opera cariche durante le quali cresce il numero dei feriti e contusi da ambo le parti. All’azione piuttosto decisa della polizia fa seguito la reazione dei dimostranti che con lancio di pietre cercano di frenare l’impeto dei tutori dell’ordine.

Scrive Gazzetta del Sud: «Dopo, il centro della città appariva come un campo di battaglia dopo un’aspra contesa. Dovunque pietre, sbarre di ferro, improvvisati manganelli di legno; numerose autovetture capovolte, qualcuna bruciata. Danneggiati l’edificio della Cassa di Risparmio, sul Corso, parte dell’impianto di illuminazione cittadina e distrutte e date alle fiamme le recinzioni dei cantieri edili».

Intanto il numero dei fermati sale a venti. In serata, Battaglia rilascia la seguente dichiarazione: «La presentazione da parte dei deputati reggini e di altri parlamentari della proposta di legge per la definizione del capoluogo delle regioni a statuto ordinario, restituisce l’iniziativa al Parlamento sottraendola a qualsiasi compromesso…
«Si afferma la linea di serena e responsabile azione perseguita in ogni momento dalla classe politica reggina. L’enormità del sopruso trova finalmente un argine nella iniziativa dei parlamentari. È amaro che incidenti di inaudita gravità abbiano turbato una pacifica manifestazione, che anche in futuro, ne siamo convinti, verrà condotta con serena e responsabile fermezza. «Nel mentre, esprimiamo un augurio affettuoso – continua Battaglia – ai cittadini rimasti feriti negli incidenti di stasera, reclamiamo una severa inchiesta per accertare le gravi responsabilità di chi ha determinato i gravi incidenti. Invitiamo la cittadinanza tutta a tenersi unita e serena nella severità della prova, avendo di mira l’obiettivo ultimo che è quello di salvaguardare gli irrinunciabili diritti di Reggio».
La prima giornata di sciopero si conclude cosi con la totale adesione della popolazione; anche i ferrovieri aderiscono allo sciopero, abbandonando i convogli di manovra in maniera tale che nessun treno possa muoversi, si da paralizzare i collegamenti con la capitale e le città del Nord…