Reggio 70, la morte senza colpevoli di Bruno Labate. Il corteo funebre e l’assalto alla questura

La rivolta di Reggio Calabria di 50 anni fa resta tuttora un “unicum” nella storia d’Italia. L’occasione di questo importante anniversario è il pretesto per ricostruire determinate vicende che ancora oggi fanno sentire il loro peso. Oggi, 15 luglio 2020, ricorre anche il 50° anniversario della morte della prima vittima dei cosiddetti “Moti”, un ferroviere di 46 anni iscritto alla Cgil. Si chiamava Bruno Labate e per il suo sacrificio non ha pagato nessuno. Come da scontatissimo copione. Riteniamo che valga la pena “rituffarsi” in quelle vicende. Soprattutto per la gente di Reggio. Ma non solo. 

Il 14 luglio 1970 viene occupata la stazione ferroviaria di Reggio Calabria Centrale e per tutta la giornata i manifestanti si producono in scontri durissimi con la polizia, senza risparmiare le sedi dei partiti di sinistra e dei sindacati. Neppure la notte placa gli animi e per le vie di Reggio prosegue la guerriglia urbana, con la Prefettura attaccata a colpi di molotov e con le barricate costruite con carcasse di auto date alle fiamme e materiali rubati dai cantieri.

La lotta spontanea di popolo è così facilmente capeggiata dal “Comitato d’Azione per Reggio Capoluogo”, data l’assenza dei partiti di sinistra ma anche di buona parte della Dc rimasta imbrigliata nelle lotte di potere e ritenuta responsabile di un tradimento nei confronti delle rivendicazioni popolari della città dello Stretto.

Il 15 luglio 1970, secondo giorno di battaglia a Reggio Calabria, i “Moti” reclamano la prima vittima. E’ il secondo giorno di sciopero cittadino, e si ripetono i violenti scontri del giorno prima tra dimostranti e forze dell’ordine.

In tarda serata, Bruno Labate, reggino di 46 anni, ferroviere iscritto alla Cgil, è rinvenuto esanime dalla celere della polizia in una strada del centro cittadino (all’angolo di via Logoteta, dove oggi è posta una lapide commemorativa, che è stata battuta in giornata da scontri violentissimi) e muore durante il trasporto in ospedale. Le circostanze della sua morte sono incerte e non sono chiarite dall’autopsia, che ne stabilisce il decesso per «compressione del torace con impedimento del mantice respiratorio». Esse non si chiariscono nemmeno in seguito agli accertamenti giudiziari, da cui non emerge alcun responsabile. Come da scontatissimo copione…

Per questo, ancora oggi le immagini rimaste nella memoria collettiva sono varie e contraddittorie: percosso dalle forze dell’ordine e poi lasciato in strada; schiacciato contro un muro da una camionetta della polizia durante uno dei consueti caroselli oppure colpito da un candelotto lacrimogeno lanciato ad altezza d’uomo. O ancora, al contrario, da un’auto ribaltata dai dimostranti; e persino caduto dall’impalcatura di un cantiere. Sia i favorevoli che i contrari alla rivolta mostrano la certezza, però, che Labate stesse partecipando alla mobilitazione. Di sicuro, la morte di Labate dà un grosso impulso alla mobilitazione collettiva. La morte emoziona i manifestanti, che partecipano in massa ai funerali di Labate.

Il 16 luglio 1970, all’indomani della morte di Bruno Labate, CGIL, CISL e UIL riconoscono testualmente che “alla base di queste spontanee manifestazioni popolari stiano antichi problemi”. In sostanza, le confederazioni sindacali vengono prese alla sprovvista dall’esplosione della protesta popolare durante uno sciopero generale spontaneo. Nel prosieguo della Rivolta, a livello nazionale, prendono una posizione di condanna, lasciando la sola CISNAL a partecipare agli scioperi e alle manifestazioni di piazza. Anche il MSI, inizialmente, condanna la rivolta e la appoggerà apertamente soltanto qualche mese dopo.

La rivolta di Reggio Calabria è il primo movimento di massa e duraturo di fronte al quale il Pci si trova senza avere proprie parole d’ordine capaci di orientare l’intero movimento di una parte di esso. Anzi, dopo un primo momento di titubanza ad appoggiare i manifestanti è – come anticipato – il Msi ad avere l’egemonia delle proteste.  

Il 18 luglio 1970, a Reggio Calabria, si svolgono i funerali di Bruno Labate. Il sindaco Battaglia aveva proclamato il lutto cittadino, come per chiamare idealmente a raccolta tutta la città, quasi a volere placare gli animi e incanalare il sentimento di rivolta entro i limiti di una giusta e dignitosa difesa dei diritti della città. Ma il clima è di altissima tensione. Proprio in occasione dei funerali di Labate, i gruppi di destra fanno la loro prima comparsa tra i manifestanti. Ma è necessario anche ricordare come in quella circostanza viene emesso un comunicato dalle Acli di Reggio, nel quale si sostiene che “il nome di Labate si aggiunge al lungo elenco di operai, contadini, artigiani caduti durante le lotte sociali ed in particolare richiama i morti di Melissa, di Avola, di Battipaglia, località di questo Mezzogiorno d’Italia in cui la collera dei poveri, tutte le volte che esplode, viene compressa e costretta a pagare un durissimo prezzo“.

Ma la morte di Bruno Labate ha un effetto catalizzatore sulle tensioni presenti all’interno della sinistra tradizionale, tanto che il Corriere della Sera scrive: “… il direttivo provinciale della Fiom Cgil si è dimesso per divergenze con la linea assunta dai due partiti a cui si ispira la Cgil… una cinquantina di iscritti al Pci ha riconsegnato la tessera e i ferrovieri si sono allineati sul fronte della protesta…”. Mentre i dirigenti di Pci, Psi e sindacati condannano la protesta, gran parte della base a Reggio Calabria vi partecipa.

Alle esequie, tenutesi nella chiesa di S. Salvatore del popolare quartiere di Tremulini, partecipano migliaia di persone, che accompagnano il feretro per le strade della città. Una particolarità della cerimonia è lo scoppio di incidenti durante il corteo funebre. Prima vengono bruciate le corone inviate dal Pci e dalla Cgil, poi vengono incendiate automobili civili ed alcuni mezzi della polizia. Durante il corteo funebre, ci si sofferma sul luogo in cui è avvenuto il ferimento mortale, così che il punto della morte diventa il luogo in cui si rende omaggio al compagno ucciso.

La morte di Labate ha esasperato l’ostilità nei confronti della polizia, tenuta distante dal corteo funebre, in cui sono innalzati cartelloni con scritte «Polizia uguale SS» o «Qualcuno uccide» e di cui il controllo è affidato a un servizio d’ordine improvvisato (vigili e ferrovieri), senza remore alcuna della presenza massiccia della celere in assetto anti sommossa con i mitra pronti ad aprire il fuoco. Solo la professionalità del questore Santillo evita una possibile strage. Centinaia di dimostranti assaltano la questura anche dopo la conclusione dei funerali, incendiando con bottiglie molotov non solo automezzi ma anche alcuni uffici. Tuttavia, nonostante la recrudescenza dell’assalto e i pericoli corsi dagli uomini delle forze dell’ordine, nessuno di essi interviene, in base agli ordini del questore Emilio Santillo, evitando un’escalation della violenza.