Reggio Emilia. Quando Grande Aracri si scontrò per due ore e mezza in aula con la pm Ronchi

Nello stesso momento in cui era uscita fuori la notizia che il boss Nicolino Grande Aracri s’era pentito, in molti, soprattutto in Emilia, avevano pensato a quella ormai famosa udienza del 5 ottobre 2019 quando il boss diede vita ad un memorabile “duello” con il pm Beatrice Ronchi, la stessa che condusse l’accusa nel processo Aemilia. Chissà, forse già da allora il capoclan meditava il salto del fosso perché, a giudicare dalle sue reazioni, probabilmente s’era seccato di ascoltare certe deposizioni e probabilmente aveva capito che l’atteggiamento della giustizia nei suoi confronti era decisamente cambiato. Poi improvvisamente si era appreso che il procuratore Gratteri aveva rifiutato di prenderlo nel programma di protezione perché “non soddisfatto” delle sue prime dichiarazioni. Una presa di posizione che ha sempre fatto discutere e ha lasciato molte perplessità. In ogni caso, è più che mai opportuno ricordare quella drammatica giornata nel racconto di Tiziano Soresina della Gazzetta di Reggio.

di Tiziano Soresina
Fonte: Gazzetta di Reggio

A muso duro per due ore e mezza in aula d’Assise nell’ennesima udienza del processo sui due omicidi del 1992 che costarono la vita a Nicola Vasapollo e Giuseppe Ruggiero.
L’intenso duello è fra l’imputato eccellente e la toga d’accusa dell’Antimafia. Nicolino Grande Aracri — per gli inquirenti il mandante dei delitti — ha grande dimestichezza con interrogatori, testimonianze, processi: vuole sempre farsi valere, da autentico capoclan. Ma sulla sua strada trova la puntigliosa energia del pm Beatrice Ronchi che non arretra di un millimetro e piazza delle stoccate non indifferenti.

L’imputato non perde mai la pazienza, vuole rimanere lucido, ma quando sibila «signor pubblico ministero» per poi riprendere i discorsi contestati, s’intuisce un fastidio soffocato a stento, mal sopporta tutta quella morsa dell’accusa.
Grande Aracri è collegato in videoconferenza dal carcere milanese di Opera e si capisce fin dal primo momento che è inquadrato sui monitor, in maglia gialla canarino, come sia deciso a testimoniare: occhiali al collo, block notes aperto, diversi documenti sul tavolo.
E la nervosa deposizione è già nel vivo da un’ora quando arriva la più dura bacchettata del pm Ronchi all’imputato. Quest’ultimo sta contestando le cose dette nell’udienza del 13 settembre scorso dall’ex moglie del pentito Antonio Valerio quando ci mette dentro questa frase: «Ne ha dette tante di falsità e la devo denunciare».

Parole che fanno scattare il magistrato: «Stia attento, ogni volta che lei farà una denuncia, ci sarà la controdenuncia della Procura per calunnia, basta con questa strumentalizzazione». E il riferimento è anche a quanto accaduto nell’udienza della scorsa settimana, quando l’ex fidanzata di Nicolino Sarcone stava testimoniando su quanto già detto in precedenza agli inquirenti in un interrogatorio e un difensore di Grande Aracri a bruciapelo le fa sapere:
«Per le sue dichiarazioni rese nel verbale, il mio assistito l’ha querelata». Un annuncio che viene mal incassato dalla donna, sempre più impaurita e che da quel momento parlerà con il contagocce.

Proprio sulla scia di questo precedente, ieri il pm Ronchi ha voluto mettere un argine alle denunce di Grande Aracri, mettendo anche al corrente la Corte, depositando i relativi atti, di come quella donna abbia confessato di sentirsi minacciata, parlando con i due agenti che poi l’avevano scortata nel viaggio di ritorno da Reggio Emilia alla Calabria.
Per inciso va detto che se un imputato denuncia un testimone, la normativa prevede che chi depone possa avvalersi della facoltà di non rispondere. Una “mossa” già vista in tanti processi, una “strada” per chiudere qualche bocca, sfruttando il codice.

Comunque Grande Aracri sulle due donne che avevano testimoniato è stato tranchant.
Decisamente feroce sull’ex fidanzata di Sarcone che ha raccontato del viaggio in treno (dalla Calabria al Nord) con le divise e i cappelli da carabinieri poi usati dal commando per la trappola mortale a Giuseppe Ruggiero: «Si vedeva che era una menomata — dice il boss — delirava, capiva poco o niente di quello di cui si parlava». Vuole smentire anche l’ex moglie di Valerio che dice di aver cenato e dormito a casa di Nicolino, per poi rivederlo nell’appartamento di via Samoggia quando il marito era agli arresti domiciliari: «La polacca non è mai stata a casa mia a Cutro — rimarca — perché ha descritto una casa diversa. Non l’ho mai ospitata e non sono mai andato a casa di Valerio a Reggio Emilia».

Per la cronaca: Grande Aracri venne condannato all’ergastolo per l’omicidio Ruggiero e fu la terza condanna al carcere a vita dopo quelle dei processi Kyterion ed Aemilia. La condanna evidentemente decisiva per fargli capire che ormai le “coperture” per lui e per il suo clan erano finite.