Riace, botta e risposta tra Martina Lucano e Travaglio. “Mio padre non si è arricchito”; “Ma ha usato soldi non suoi”

“Lucano non si è arricchito”. “Ma ha usato soldi non suoi”
Botta e risposta tra la figlia di Mimmo Lucano e il direttore de Il Fatto Quotidiano Marco Travaglio. 

“Mio padre ha fatto il bene della sua comunità”. 

DI MARTINA LUCANO

Nell’editoriale del 14 dicembre (“Furti a fin di bene” https://www.iacchite.blog/travaglio-e-la-deriva-della-sinistra-dalla-questione-morale-ai-furti-a-fin-di-bene/) su sinistra e affari, Marco Travaglio scrive, parlando di migranti e soldi: “Ne sa qualcosa Mimmo Lucano che, a furia di accoglierli a Riace, iniziò a confondere i fondi statali per i migranti col bilancio familiare e divenne il Cetto La Qualunque della sinistra (i viaggi della vorace compagna, la scuola della figlia, la bella vita della sua cricca)”.
Ci ha scritto la figlia dell’ex sindaco di Riace. Il direttore le ha risposto.

Ho un vecchio ricordo di scuola, di quando mi iscrissi alle superiori. Quel giorno mi accompagnò mio padre, al Liceo di Locri. Ci fermammo a un bar a prendere una granita. C’era una villetta lì di fianco, molto bella, oscurata da alti cumuli di immondizia che infestavano la via. Mio padre disse che l’aver pensato al suo bene privato non aveva salvato quel proprietario dalla bruttezza che lo circondava. Questo è un ricordo personale che condivido ora per la prima volta. Quello che tutti sanno invece, è che tanti anni dopo, sempre a Locri, il Tribunale avrebbe giudicato mio padre per presunti illeciti, tra cui l’affidamento diretto della gestione dei rifiuti a una piccola cooperativa riacese, di paesani e immigrati, condotta porta a porta, con asini e carretto. In un suo editoriale Marco Travaglio scrive che Mimmo Lucano, il “Cetto La Qualunque della sinistra”, ha forse confuso il bilancio pubblico con quello della sua famiglia. Ed ha sicuramente ragione, avrebbe dovuto solo aggiungere che ciò è avvenuto a vantaggio della comunità, e con mio estremo orgoglio. E non faccio retorica.

Se Mimmo Lucano è il simbolo (senza averlo ricercato) rimasto in piedi della sinistra è perché è restato saldo al mandato morale del suo ruolo, come sindaco, e già fuori da ogni ruolo, come continua a dimostrare con la stessa passione di sempre, anche ora che istituzionalmente non rappresenta nulla. Quello di cui non vado orgogliosa sono le mie vulnerabilità, riguardo il mio percorso universitario, lungo e discontinuo, portato avanti con difficoltà sempre maggiore, non solo economica. Ma sempre contando sulle mie sole risorse. Due anni fa sono tornata in Calabria, a lavorare a quattro euro l’ora, e a sentirmi grata nonostante tutto.

Tanti, tra cui i difensori legali di mio padre, che lo assistono gratuitamente, hanno insistito sulla nostra condizione di povertà come prova d’innocenza. Il Giudice ha scritto addirittura che si tratta di una copertura, di un’astuzia. Io vorrei replicare ad entrambi in maniera più radicale, rispondendo che questo è proprio il movente. Un assoluto disinteresse verso l’arricchimento personale, è questo che ha animato l’azione politica di Mimmo Lucano sul territorio, per vent’anni, a Riace, un borgo semiabbandonato, non certo dai palazzi di Bruxelles. Questa storia è stata documentata in ogni aspetto e comunque mio padre non si è mai sottratto a nessun esame. Ho un ultimo ricordo legato alla scuola, e si tratta della scuola elementare di Riace. Il primo giorno i miei genitori mi chiesero se avessi con me “la colazione”, e di stare attenta a chi era senza. Oggi quell’istituto è chiuso, era riuscito ad andare avanti negli ultimi anni grazie ai bambini stranieri. Solo grazie alla loro presenza. Il bene pubblico che abbiamo difeso e continuiamo a difendere. Sulle pareti di quell’edificio scolastico c’è un murales che ritrae la testa di un Bronzo di Riace a colori accesi, l’artista l’ha intitolato Il sogno del guerriero, e io spero ancora che non sia un sogno infranto, quello di vedere la vita, e solo quella, venire dal mare.

La risposta DI MARCO TRAVAGLIO : “Nella sentenza sono indicate le somme sottratte”

Cito tre passaggi della sentenza di primo grado del Tribunale di Locri, che ha condannato Mimmo Lucano: egli “non ha detto alcuna parola sulle ragioni di fondo per le quali Zurzolo Rosario (legato alla gestione del progetto Eurocoop di Camini e alle stesse logiche perverse dell’accoglienza da lui poste in essere in Riace) ha versato mensilmente a sua figlia, per svariati mesi, i soldi dell’affitto di una casa in Roma, risultando essere suo debitore per motivazioni che sono apparse più che opache (per come si trae dalle intercettazioni in atti)”.

“Monitorando il conto corrente dello Zurzolo, è emerso che dal mese di gennaio del 2015 fino a quello di novembre del 2016 ha versato mensilmente a tale… il canone d’affitto dell’appartamento romano della figlia di Lucano, a nome Martina, che studiava all’università, per un totale di 9.200 euro; somma che non è stata, quindi, prelevata dallo stipendio dell’ex Sindaco di Riace (che ammontava a poco più di mille euro), il quale, peraltro, per molti mesi non ha mai effettuato alcun prelievo dal suo conto corrente per vivere, come invece avrebbe ordinariamente fatto un normale uomo medio che fosse effettivamente vissuto del suo solo reddito”.

“Le menzogne oramai messe in circolo (da Lucano, ndr) assumevano, però, i toni più drammatici nel corpo della successiva intercettazione telefonica, captata quello stesso 06.10.2017 con il figlio Lucano Roberto. Trattasi di un dialogo doloroso e triste, nel corso del quale il ragazzo chiedeva conto al proprio genitore delle gravi accuse che gli venivano mosse dagli inquirenti e delle motivazioni per le quali aveva compiuto le distrazioni che gli venivano imputate. In tutta risposta Lucano, senza recedere di un millimetro dalla falsa rappresentazione dei fatti che aveva deciso di accreditare, continuava a mentire anche di fronte a suo figlio e, pur ammettendo di aver distratto soldi che servivano per gli stranieri e che non potevano essere impiegati in altre finalità, spiegava che però lo aveva fatto per migliorare l’integrazione complessiva dei migranti, mediante acquisto di un frantoio e di fattorie didattiche. Il ragazzo, tuttavia, mostrando elevata rettitudine e senso dello Stato, a fronte delle poco convincenti giustificazioni che il proprio genitore tentava di dargli, chiudeva il discorso, in modo deciso, dicendogli con estrema semplicità: ‘Questi è ovvio che erano fondi destinati… poi erano soldi della Comunità europea’. E allorché il padre cercava di insistere, riprendendo il discorso di prima, il ragazzo lo stoppava dicendogli: ‘Ho capito, ma… lo so, lo so, però la Comunità europea dice: ‘I soldi non erano destinati a quello’…”.